Finalmente abbiamo una data. Il Referendum costituzionale che cambierà radicalmente l’Italia (per i sostenitori del “Sì”) e che metterà a serio rischio la democrazia nel paese (per i sostenitori del “No”) si terrà il 4 dicembre. Possono votare tutti gli aventi diritto e non è previsto – diversamente dalla recente consultazione sulle trivelle – il quorum. Quindi, vada come vada, e in quanti si vada a votare, il 5 dicembre sapremo se la riforma della Costituzionale Italiana con prima firmataria il ministro Maria Elena Boschi sarà passata o meno. È molto probabile che negli ultimi mesi siate incappati in un post su Facebook dove i vostri amici si stavano scannando su questo argomento, con i sostenitori del “Sì” – tendenzialmente favorevoli al Governo – a magnificare le sorti di una riforma che propone meno politici, un processo legislativo più veloce, l’abolizione del senato elettivo e il sempreverde ritornello ‘populista’ del taglio dei costi della politica; e i sostenitori del “No” a ribattere che si tratta di un golpe, di una rinuncia agli anticorpi democratici che riduce il parlamento a mero esecutore del governo. Se avete notato un inappropriato innalzamento dei toni, non siete i soli. Un giorno analizzeremo i perché di quella che è, ad oggi, la peggiore campagna elettorale della storia italiana. Oggi invece cerchiamo di capire cosa c’è effettivamente dentro – e attorno – a questa proposta di riforma.
Bicameralismo paritario
In Italia le leggi e la fiducia al governo devono essere approvate sia dal senato, sia dalla camera dei deputati. Questo ha provocato, per i sostenitori della riforma, un pachidermico ritardo legislativo dovuto ai continui rimpalli tra le due camere (se un testo viene modificato alla camera dei deputati deve essere riapprovato dal senato, dove può essere modificato a sua volta e così via). Se passa la riforma, il Senato non sarà più elettivo, ma diventerà una “camera delle regioni” composta da consiglieri regionali che andranno a Roma a fare i senatori senza ricevere alcun indennizzo. Le competenze di questa nuova camera – i cui criteri di composizione saranno oggetto di una legge ad hoc e che rappresenta uno degli aspetti più controversi dell’intero impianto della riforma – saranno creare contatto tra stato e regioni. I senatori, inoltre, potranno proporre (ma in un lasso di tempo definito) modifiche alle varie leggi proposte dalla Camera dei Deputati. Queste proposte potranno essere rigettate senza problemi. Per i sostenitori del “No”, quello che sembra un grande passo avanti esecutivo rischia di essere un processo pericoloso e non tutelato.
Riforma del Titolo V
La Costituzione è sempre stata modificata (per dirne una recente: il governo Monti ci mise dentro il pareggio di bilancio). Con questa proposta, diverse materie oggi appannaggio delle regioni tornano competenza dello stato centrale, nobilitando quindi il ruolo dei senatori come raccordo con le istituzioni locali. Si tratta di materie sensibili come: ambiente, trasporti, politiche energetiche e per l’occupazione, sicurezza sul lavoro e ordinamento delle professioni. I comitati per il “No” si stanno opponendo a questa proposta perché, secondo loro, si rischierebbe un eccessivo accentramento di poteri nello stato centrale, ma anche tra i critici si è consapevoli che il rapporto stato/regioni va riconfigurato.
Leggi di iniziativa popolare e referendum abrogativi
Secondo gli aggressivissimi comitati del “Sì” (per quanto cerchiate di disintossicarvi dalla politica avrete sicuramente un contatto che su qualche social network dice cose tipo “basta un sì”), questa riforma favorisce la partecipazione attiva del popolo perché obbliga il parlamento a esprimersi sulle proposte di legge di iniziativa popolare. La raccolta firme, però, diventa più complessa: non basteranno più 50 mila firme (che già non sono poche), ma 150 mila. Se passa la riforma, addio banchetti alla domenica per chiedere pressoché qualsiasi cosa. Un bene? Un male? Discutiamone.
Per quanto riguarda i referendum abrogativi, invece, si tratta di riconfigurare il quorum. Ci sarà sempre in vincolo del 50% degli elettori +1. Se la richiesta di abrogazione invece arriva da 800 mila cittadini al posto di 500 mila cittadini, basterà il 50% +1 dei votanti alle ultime elezioni politiche, non degli avanti diritto. Se non ci avete capito niente, tranquilli. Non siete gli unici.
La questione della Legge elettorale
Pur non essendo direttamente dentro la riforma, c’è la questione della legge elettorale a tenere banco. È uno dei grandi nodi su cui si stanno battendo le opposizioni (anche quelle interne, come la minoranza Pd). Questa riforma costituzionale, così come è stata inizialmente concepita, sembrava collegata a doppia mandata con la riforma della legge elettorale: l’Italicum, che prevede capilista bloccati e preferenze su collegi molto grossi; un premio di maggioranza esagerato e il ballottaggio tra i primi due classificati al primo turno. Nelle intenzioni del Presidente del Consiglio, è tutto studiato (legge elettorale + riforma) per garantire al paese una maggiore governabilità e stabilità politica. Per i supporter del “No”, si rischia la deriva autoritaria perché, per farla breve, the winner takes it all. Alcune componenti della minoranza Pd hanno vincolato il loro voto sul referendum alla possibilità o meno di cambiare la legge elettorale. È un argomento interessantissimo, vero?
Ci sarebbe ancora molto da dire, soprattutto sul perché sembrano uscire tutti di testa cercando di convincervi che il 5 dicembre, in un modo o nell’altro, si vivrà in un paese radicalmente diverso. Non avendo nessuna sfera di cristallo, non possiamo prevedere che cosa succederà di qui in poi. L’unica cosa che ci sentiamo di dire è che attorno a una riforma costituzionale, una materia che dovrebbe essere trattata con cura e rispetto, si sta costruendo un circo di un livello talmente basso che rischia di essere la pietra tombale della partecipazione alla vita pubblica di questo paese. Almeno per un po’ di anni.