È morto «serenamente, dopo una lunga malattia», queste le parole della famiglia, Alberto Arbasino, l’ultimo “grande vecchio” della cultura italiana: aveva compiuto 90 anni il 22 gennaio scorso. Scrittore, giornalista, poeta, critico, pure politico (è stato deputato per il Partito Repubblicano Italiano tra il 1983 e il 1987), intellettuale come non se ne fanno più.
Tra i membri del Gruppo 63, insieme a colleghi illustri come Umberto Eco e Giorgio Manganelli, Arbasino è l’autore del romanzo-fiume più clamoroso della letteratura italiana contemporanea, Fratelli d’Italia. Che è anche il più “rifatto”: uscito nel 1963, è stato riscritto nel 1976 e nel 1993.
Ma ha anche firmato altri romanzi celebratissimi (da La bella di Lodi, uscito a puntate sul Mondo nel 1960, a Super Eliogabalo, che lui stesso considerava la sua opera più surrealista), saggi (su tutti il seminale Un paese senza), raccolte di poesie (da Matinée ai due volumi di Rap!), interventi critici, reportage giornalistici e commedie teatrali.
Nato a Voghera, è stato un vero e proprio innovatore della lingua italiana: «Nell’idea di romanzo di Arbasino le citazioni sostituiscono l’intreccio o l’avventura del romanzo tradizionale: sono altre avventure verso altri mondi noti o meno noti o ignoti», si legge nell’introduzione al Meridiano a lui dedicato.
Omosessuale dichiarato, altro dettaglio che l’ha sempre reso più “avanti” rispetto al suo tempo e all’intera scena culturale italiana, agli inizi degli anni 2000 è stato tuttavia tra i più accesi critici dei Gay Pride, considerati manifestazioni fatte solo per mostrare “l’orgoglio del sedere”.
L’ultimo libro di Arbasino è Ritratti e immagini, pubblicato da Adelphi nel 2016.