Alla fine dell’evento-Bono, con un collega del Corriere della Sera ci siamo chiesti: «Ma quale altra star potevano chiamare, qui ad Expo, per parlare di queste cose?»
Ah, boh. Un tempo ci sarebbe stato un lungo elenco, di campioni dei diritti umani, pronti a saltare da un appello per Mandela a un festival contro la fame nel mondo. Ma non ne fanno più, di rockstar impegnate. La musica non sensibilizza più. È vero che guadagnando di meno, le rockstar sono soprattutto impegnate a ridurre la propria, di fame. Però è anche vero che a noi, competente pubblico, a un certo punto il cosiddetto impegno nella musica ha iniziato a dare tantissimo sui nervi. Un rigetto basato su due motivazioni. Sostanzialmente, l’impegno, 1) sa di ipocrisia 2) non è figo.
Così, in questa fase della sua vita Bono Vox ha tanti detrattori quanti ammiratori. Che non ne fanno tanto una questione di musica, quanto una questione di buonismo. E di tasse non pagate, di compromessi col capitalismo, lo show con Apple – e insomma come si permette di farci la predica?, è la domanda diffusa.
Così, se nei giorni scorsi a Torino queste critiche hanno perso intensità al ritorno all’antico vigore della rockstar Bono, ieri a Expo2015 si è invece visto il Bono attivista, il Bono buonista. Nota bene, anche durante lo show degli U2 ci sono state parole per i migranti a favore di Amnesty International e un momento a favore di una campagna contro l’Aids. Ma lì giocava in casa. Qui, no, era parte di un altro show. Forse lo show di Expo, o lo show di Matteo Renzi: persino la cocchissima dei media, Maria Elena Boschi, è stata oscurata.
Eppure ad attendere tutti loro non c’era, in verità, tantissima gente: saranno stati in cinquemila, a vivere l’evento-Bono tra il padiglione dell’Irlanda e il piccolo spazio in cui lui, Matteo Renzi ed Ertharin Cousin, direttrice del World Food Programme dell’ONU, hanno parlato di fame e povertà e rifugiati. Certo, cinquemila non sono pochi, e la sicurezza ha avuto il suo da fare: non solo il padiglione dell’Eire ma persino quello confinante del Nepal ha dovuto chiudere i battenti: la gente lo aveva invaso approfittando della vicinanza.
Tuttavia, in questi giorni, cinquemila persone non sono molte nell’economia di Expo. Onestamente, Angela Merkel nel mese di agosto ha scatenato un maggior bailamme. Okay, la Merkel non aveva un gruppo di fan con un tricolore irlandese e la scritta “All I want is you”. Ma almeno la metà degli astanti era accalcata alle transenne più per la foto della celebrity da twittare o mettere su fb, che non per Bono in sé, o per Renzi (che, a onor del vero, non ha ricevuto un singolo “Buh!”) o per la fame nel mondo.
E tuttavia nel momento in cui Bono – che non ha cantato, con dispetto degli organizzatori cui la visibilità di un video con una Pride acustica targata EXPO2015 su YouTube non avrebbe fatto schifo – ha iniziato a parlare di fame e povertà, citando Johnny Rotten (“Anger is an energy”, il ritornello di Rise dei PIL), ebbene, nonostante tutti i filtri del cinismo, dell’ironia, dell’abitudine, della stessa familiarità personale con il percorso del cantante degli U2, un po’ veniva voglia di credergli. Una voglia ingenua, forse, ma senza un po’ di ingenuità babbiona (che altri chiamerebbero sogni, utopie, ideali, quelle robe lì), cosa ce ne facciamo del rock? Sudore e maledettismo cool? E basta?
«Anger is an energy diceva il mio vecchio eroe Johnny Rotten (nella canzone Rise dei PIL, ndr), e io questa rabbia che sento la vorrei usare per cambiare», ha detto Bono. «Possiamo risolvere il problema della fame, della povertà, della guerra? Non so l’ultima, ma sulle prime due sono sicuro. Perché il cibo c’è ma manca la volontà di distribuirlo». «Io non sono un eroe, casomai lo è Ertharin Cousin, qui; io sono una semplice rockstar». «Migranti è una parola politica, persino io sono un migrante, loro invece sono rifugiati, non hanno scelto di cambiare casa, non ce l’hanno più una casa». «Angela Merkel in questi giorni ha dato un’incredibile prova di leadership, e complimenti anche a Renzi per il suo coraggio».
Retorica? Furbizia? Opportunismo, servilismo istituzionale, impegno di facciata?
Questo, decidetelo voi. Però, rimane la domanda iniziale: a parlare di queste cose non c’è più molta gente, e sicuramente la maggior parte delle star sotto i 40 anni non ha nessuna intenzione di farlo.
È davvero, completamente, un bene?