Gabriele Del Grande, il giornalista, blogger e regista di Lucca detenuto del centro di detenzione di Mugia, in Turchia, da 13 giorni è arrivato al quarto giorno di sciopero della fame. Venerdì qualcosa sembra essersi sbloccato: il giornalista ha potuto incontrare il console italiano, dopo che per giorni gli era stato impedito, e anche il suo avvocato, Taner Kilic.
La Farnesina fa filtrare un certo ottimismo, ipotizzando la liberazione del giornalista 35enne già per domenica. «Gabriele sta bene. Sta facendo lo sciopero della fame ed è seguito da un medico che io ho chiesto e ottenuto dalle autorità turche, con cui siamo in costante contatto per ottenere la sua liberazione», assicura il ministro degli Esteri Alfano.
Meno ottimista Arturo Scotto, capo della delegazione dell’Mdp, gli scissionisti del Pd e di Sel, che segue la vicenda in Turchia: «Ad Alfano – dichiara in una conferenza stampa convocata a Istanbul diciamo: ‘Non stiamo sereni’. Chiediamo alle autorità turche di smettere di giocare a nascondino e rilasciare al più presto Del Grande».Nonostante gli spiragli che si sono aperti ieri, l’ombra che continua a gravare sulla vicenda è il segreto che la Turchia ancora mantiene sulla vicenda, persino con l’avvocato del detenuto.
Non si sa se esistano e nel caso quali siano i capi di imputazione. Nessuno dice chiaramente perché il giornalista non venga rimpatriato. «Non ci è stato concesso di vedere il suo dossier e al momento il direttore del centro di detenzione non ha informazioni riguardo a una sua possibile espulsione», spiega l’avvocato.
Del Grande è stato arrestato il 10 aprile sul confine tra Turchia e Siria. Giornalista da sempre estremamente attento alla comdizione dei profughi nel mondo e in particolare in Europa, fondatore di Fortress Europe – un centro d’osservazione che registra tutti i decessi di migranti e i naufragi censiti in Europa e nel Maghreb -, si stava occupando anche in questa occasione di profughi, nella provincia di Hatay, al confine con la Siria.
E’ zona vietata e per questo l’italiano è stato fermato e portato nel centro di detenzione più vicino, con l’assicurazione che sarebbe stato liberato al più presto. Pare accertato che al momento del fermo la polizia turca non fosse al corrente né dell’identità né del lavoro e dell’impegno sociale del giornalista. I guai sarebbero cominciati nel centro di detenzione, dove Del Grande parlava con gli altri detenuti, cercava di conoscere le loro storie e, secondo la polizia turca, prendeva anche appunti, circostanza peraltro smentita dal giornalista.
Probabilmente è stata questa seconda e quasi “involontaria” inchiesta a provocare l’irrigidimento delle autorità turche. Del Grande è stato spostato in un altro centro di detenzione, a Mugia, e tenuto per nove giorni in condizioni di totale isolamento, senza poter contattare né la famiglia, né il consolato italiano né il suo legale. E’ a questo punto che Del Grande ha deciso di iniziare lo sciopero della fame, assumendo solo liquidi.
Lui stesso, nella telefonata del 18 aprile alla compagna Alexandra D’Onofrio, antropologa e regista, ha assciurato di non essere stato maltrattato o picchiato. In un Paese in cui i confini del diritto e del rispetto delle garanzie sono diventati negli ultimi mesi più che mai labili, è davvero già qualcosa, anche se il fermo protratto e inspiegato di un giornalista resta una cosa del tutto inconcepibile.
Non si tratta però di un caso isolato: sono circa 150 i giornalisti nelle prigioni turche, e tra questi non mancano gli stranieri. Nella classifica che registra il tasso di libertà di stampa nei diversi Paesi, la Turchia occupa la casella 151 su un totale di 180. Del resto nessuna sa con certezza quante persone siano state arrestate dal fallito golpe del 15 luglio 2016 sino a oggi. Di certo molte migliaia, ma più probabilmente diverse decine di migliaia.
Per sapere se l’aver posto quelle domande, cioè l’aver fatto il proprio lavoro, abbia portato alla formulazione di qualche accusa precisa bisognerebbe conoscere il dossier su Gabriele Del Grande: proprio quello che la Turchia nega anche all’avvocato. Senza imputazioni precise il giovane dovrebbe essere rilasciato al più tardi lunedì. Ma tutto diventerebbe chiaramente molto più difficile, e molto più lungo, se invece la Turchia volesse contestare qualcosa all’italiano.
In Italia la mobilitazione per la sua liberazione prosegue. I familiari hanno annunciato ieri di aver iniziato anche loro il digiuno, a staffetta, per reclamare il ritorno in Italia di Gabriele.
Spiegarsi perché la Turchia si sia imbarcata in una vicenda che lede ulteriormente la già non brillante reputazione democratica del suo governo proprio quando in ballo c’è l’ingresso in Europa richiede però alcune considerazioni sulla situazione in cui si trova oggi Erdogan. Da un lato, il sultano ostenta la massima forza e sollecita un clima di sospetto continuo contro i nemici interni ed esterni.
Ieri a Istanbul campeggiavano le immagini dell’ormai super-presidente a colloquio con Trump e con Putin.
Allo stesso tempo l’esito del referendum che ha modificato la Costituzione turca moltiplicando i poteri del presidente non è stato affatto rassicurante. Erdogan ha vinto di strattissima misura e solo grazie al voto dei turchi all’estero: un esito che riflette la un Paese spacccato a metà.
Scotto, dopo aver incontrato a Istanbul le forze d’opposizione, parla infatti di una stato d’animo per nulla rassegnato: «Dicono che Erdogan è in realtà oggi più che mai debole e che per la prima volta si affaccia la possibilità di un’alleanza tra le opposizioni di diverse etnie». Proprio la divisione etnica, in particolare tra turchi e curdi, è una delle principali cause della debolezza dell’opposizione turca.
E’ da questa situazione contraddittoria, nella quale Erdogan ha in mano poteri quasi assoluti ma nello stesso tempo deve misurarsi con la realtà di un Paese spaccato in due, che orgina probabilmente il gravissimo incidente che coinvolge Gabriele Del Grande.