Gary Shteyngart è il migliore scrittore satirico contemporaneo | Rolling Stone Italia
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La satira al tempo di Trump

«Ogni superpotenza in cui vivo va a rotoli!», dice Gary Shteyngart, lo scrittore satirico americano nato in URSS, che ci parla di Stati Uniti, di Putin, ma anche dell’Italia

Foto di Brian Schumway/Redux/Contrasto

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Gary Shteyngart è considerato tra i migliori scrittori satirici contemporanei, e non senza ragione.

Acuto, sferzante, capace di assorbire e rimescolare tutto ciò che lo circonda in un flusso barocco di frasi costruite meticolosamente, uno stile massimalista – come lo definisce lui stesso – dove la politica, i sentimenti, la sociologia si fondono nello humor nero, a volte cinico, decisamente apocalittico del suo sguardo stranito e straniante di russo ebreo americanizzato. Guanda ha appena ristampato il suo esordio, Manuale del debuttante russo, e il suo terzo libro, Storia d’amore vera e supertriste, che è più o meno la prosecuzione del primo con il protagonista cresciuto mentre il bipolarismo tracollante degli anni ’80 ha lasciato il posto a una distopia ipertecnologica a metà strada tra Il dormiglione di Allen e Black Mirror. Gli abbiamo fatto qualche domanda su quello che sta succedendo in America.

Come vive uno scrittore satirico russo ebreo americano al tempo di Trump?
Male. Dopo il crollo dell’Urss pensavo che la Russia sarebbe diventata come l’America: una democrazia imperfetta, un mercato libero imperfetto. Invece è l’America a essere diventata come la Russia: una cleptocrazia corrotta. È incredibile che sia potuto accadere. Ogni superpotenza nella quale mi trovo a vivere va a rotoli! Obama è stato un intermezzo, prima che tutto ricominciasse a precipitare. Nel 2006, in epoca Bush, quando scrivevo Supertriste, ero davvero triste: sentivo che qualcosa che non andava, quel ridicolo eccesso di patriottismo mi ricordava la Russia. Poi i destini di questi due giganti hanno cominciato a convergere.

L’Italia non è una superpotenza, ma abbiamo vissuto qualcosa di simile prima di voi.
Berlusconi è stato l’avanguardia. In momenti del genere il lavoro del comico diventa difficile, perché tutto ciò che Trump fa e dice è già satira. La situazione è resa più pesante dal fatto che noi abbiamo armi nucleari, e l’idea di una guerra con la Cina non è più solo ipotetica. Subito dopo l’elezione di Trump, il New Yorker ha chiesto un commento a 16 scrittori, tra cui me: un amico mi ha chiamato e mi ha detto “Santo cielo, è la prima cosa che scrivi che non è per niente divertente!”. In Unione Sovietica pensavamo che l’umorismo fosse un’arma con cui combattere il regime. Non potevi ridere di Breznev pubblicamente, ma in cento milioni di cucine ci si prendeva gioco di lui. Quello è stato il mio apprendistato. Con Trump non devi ancora chiuderti nel tinello. Eppure siamo sempre più isolati.

Ma i tuoi libri sono molto letti.
Philip Roth dice che sono rimasti 30mila lettori seri in America. Tutti pensano che il Paese abbia una vibrante comunità di lettori, ma è qualcosa che succede in zone ristrette. Con tutti gli altri non c’è possibilità di comunicazione. Non è solo dovuto al fatto di non avere tempo o capacità di leggere testi complessi, ma a qualcosa di più profondo, legato all’empatia. La lettura ti fa sperimentare un mondo che non è il tuo, ti fa entrare in un’altra coscienza. Chi vota per Trump credo non abbia la minima intenzione di pensare alla coscienza di altri esseri umani. Odiare gli immigrati significa negare l’esistenza degli altri, di altre parti di noi, di altre parti del mondo. Il grande immaginario americano si basa sull’essere una nazione composita. Quello che stanno cercando di fare persone come Trump e Putin è far passare il messaggio che i bianchi, cristiani, occidentali sono sotto assedio: messicani, islamici, tutti quei mitici nemici dalla pelle marrone. Trump non ha un’ideologia, ma se vogliamo capire cosa succede dobbiamo tenere gli occhi puntati su Putin, e su Steve Bannon, che è il tramite tra i due. Anche per gli ebrei sta cambiando qualcosa: in America si sono sempre sentiti al sicuro. Ora, forse, non è più così. Eravamo un Paese che guardava in alto. Adesso non più.

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