Forse non lo sapete, ma oggi l’Unione Europea compie 66 anni. Il 9 maggio 1950, con la «Dichiarazione Schuman» dell’allora ministro degli esteri francese si ponevano le basi di quella che adesso conosciamo come Europa. Buon compleanno, quindi? Non proprio. Rispetto a quello che studiavamo a scuola nei nostri libri di storia e di geografia, la situazione non è proprio idilliaca. Noi nati nella seconda metà degli anni ’80 abbiamo iniziato l’università con l’idea di andare in Erasmus, elettrizzati dall’Europa senza confini, multiculturale e in pace. Invidiavamo i nostri fratelli maggiori che partivano zaino in spalla per gli Inter Rail in un continente finalmente unificato e senza muri (fisici e simbolici). Poi l’Euro, il sogno di poter viaggiare ovunque senza dover cambiare moneta. Un’unica grande nazione che permette la libera circolazione delle persone: nasco a Milano, studio a Barcellona, lavoro a Berlino. Senza problemi, senza paure.
Una grandiosa utopia che abbiamo vissuto per anni, ma a sentire quello che succede a Bruxelles il vento potrebbe cambiare. La Gran Bretagna affronterà un referendum sull’uscita dall’Unione Europea, a ogni tornata elettorale i partiti euroscettici di estrema destra guadagnano sempre maggiori consensi (e ritrovano la forza per farsi vedere in giro come recentemente è capitato in Svezia), in Austria il partito di estrema destra di Norbert Hofer ha preso il 35% al primo turno: si tratta di un paese che sta ipotizzando la costruzione di un muro al confine col Brennero. I migranti? Aiutiamoli a casa loro. Una frase che sentite spesso e da anni, vero?
L’anno scorso Eva Giovannini ha pubblicato il libro Europa Anno Zero, un’indagine giornalistica sull’inquietante ascesa della nuova destra europea. Una destra che propone, in tutti i paesi, sovranità monetaria, protezionismo, isolazionismo. Un ritorno all’Europa dei confini, dei muri, con la sospensione del trattato di Schengen (che permette la libera circolazione dei cittadini europei) e in cui ognuno è “padrone a casa sua”. Dalla Lega Nord al Front National di Marine Le Pen, dall’Ukip britannico passando per il regime di Viktor Orbán in Ungheria, sembra che l’Europa abbia paura. La storia insegna che le grandi crisi producono grandi cambiamenti. Gli Stati Uniti affrontarono la Depressione del 1929 con le misure del New Deal (intervento pubblico per creare lavoro); nell’Europa fiaccata dalla Prima Guerra Mondiale, invece, la sindrome del complotto generò regimi fascisti e nazisti. Dopo settant’anni di pace e libertà, una nuova crisi “mista” – economica ma anche umana, con la questione dei migranti destinata ad aumentare – l’Europa rischia di tornare indietro.
Da dove arriva questa paura? Esce oggi su Repubblica un articolo di Ilvo Diamanti (con tanto di tabelle) in cui emerge una realtà molto semplice: a parte i giovani, cresciuti in un contesto privo di confini, multiculturale, in cui la Germania era già unita e c’erano già italiani di seconda generazione, tutte le altre fasce d’età hanno paura. Paura dello straniero, paura del terrorista, paura del pericolo – più percepito che reale. Sorprende soprattutto notare come sia la fascia d’età 35-44 ad avere più propensione a cambiare il proprio stile di vita per paura. I nostri fratelli maggiori che ci passavano le cassettine dei Nirvana e ci raccontavano dei loro viaggi ad Amsterdam, adesso hanno paura di quella stessa libertà che hanno sperimentato. La primissima «Generazione Erasmus» ha preso il potere e adesso sembra dare per scontato la possibilità di poter vivere in un mondo senza più guerre e senza più confini.
Nei giorni in cui Londra saluta il nuovo sindaco, il musulmano di origine pakistana, europeista e difensore dei diritti Sadiiq Kahn – un segnale anche simbolico che, non a caso, arriva dalla metropoli in cui spesso le cose succedono prima che altrove – l’Europa rischia di cedere al fascino delle soluzioni semplici di chi vuole affrontare problemi complessi (l’integrazione, l’occupazione, eccetera) urlando slogan violentissimi e proponendo politiche antistoriche. Solo chi vive già in un mondo senza barriere e non vede le diversità come confini (e non parliamo solo di stranieri, ma anche di omosessualità) può opporsi a questa nuova ondata di paura e violenza. Ogni volta che c’è un muro, si identifica un nemico. E abbiamo già visto cosa succede quando si identifica un nemico colpevole di tutto il male.