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Il Gay Pride all’epoca di Trump

Dalle rivolte di Stonewall alla nuova presidenza, ecco uno sguardo dentro il presente, il passato e il futuro del movimento LGBTQ

Le manifestazioni contro Donald Trump durante il 46esimo Gay Pride a New York. Foto di Bryan R. Smith/AFP/Getty Images

Chevy Chase, quartiere borghese di Washington, è stato invaso durante una tiepida serata di Gennaio. Gli invasori – più di 200 – indossavano giarrettiere arcobaleno e tutù e, armati di cartelloni fatti in casa, si sono raccolti attorno alla casa di uno dei nuovi abitanti della zona, Mike Pence, l’uomo che solo 48 ore dopo avrebbe giurato come vice presidente degli Stati Uniti. La manifestazione è stata organizzata come un “queer dance party” su Facebook, e aveva l’obiettivo di far capire a Pence che l’omofobia e la transfobia non sono più tollerate in questo paese. Ascoltando Madonna, Beyoncé e Lady Gaga, i manifestanti si sono messi a twerkare sulle macchine al grido di “Daddy Pence, come dance with us!“.

Pence, impegnato a cena con il governatore del Wisconsin Scott Walker, non era dell’umore giusto per ballare. Questo non ha fermato la disco-manifestazione, durata oltre 3 ore e accompagnata da ampi segni d’approvazione di tutto il vicinato, notoriamente di fede politica Democratica. «Abbiamo colpito l’immagine di Pence, di questo uomo etero e omofobico» ha detto Firas Nasr, uno degli attivisti dietro all’evento. «Eccomi qui a scuotere il culo di fronte a casa sua». Non è la prima volta che Mike Pence viene schernito proprio nel suo giardino. Qualche giorno dopo il suo trasloco, infatti, molti vicini hanno issato bandiere arcobaleno fuori dalle loro case, un rimprovero non proprio discreto.

Nonostante tutto questo supporto, però, il movimento LGBTQ era in modalità-crisi, preoccupato da tutto quello che potrebbe succedere con il nuovo inquilino della Casa Bianca. La storia anti-LGBTQ di Pence è nota a tutti, dal religious freedom bill che ha firmato come governatore dell’Indiana fino alla conversion therapy del 2000. L’atteggiamento tiepido di Trump verso il movimento – soprattutto a proposito del tema del matrimonio omosessuale, definito come una questione “risolta” – è in aperto contrasto con il GOP e la sua base elettorale evangelica e conservatrice. Il contrasto c’è anche con molti dei membri del suo governo. Di recente, infatti, l’amministrazione ha annullato la direttiva di Obama che permetteva agli studenti transgender di usare il bagno in cui si sentissero più a loro agio. I rumor su un nuovo executive order, questa volta dedicato alla riduzione dei diritti sul lavoro della gente LGBTQ, hanno mandato nel panico molti liberal, tra cui Anthony Oliveira, che ha consigliato ai suoi 23,000 followers su Twitter: «Sposatevi, fate assicurazioni e passaporti adesso».

Le proteste davanti allo Stonewall Inn a New York il 23 febbraio 2017 contro l’amministrazione Trump dopo l’annullamento della direttiva di Obama che permetteva agli studenti transgender di usare liberamente i bagni e Stonewall Inn. Foto di Spencer Platt/Getty Images

Resistere a Trump è diventato una sorta di passatempo nazionale, almeno per tutti quelli che hanno riempito le Women’s Marche, assediato aeroporti e municipi e che continuano a controllare la politica, sia che si occupi di health care che di immigrazione. Quest’estate, quando il movimento LGBTQ e i suoi alleati si riuniranno per il Pride – in tutte le città del paese, sia negli stati Repubblicani che in quelli Democratici – avranno occasione per capire come bilanciare la contestazione con la festa. Si tratta di un tema che si è presentato varie volte nei cinquant’anni di storia del movimento per i diritti gay: durante le rivolte di Stonewall, la crisi dell’AIDS, il matrimonio per persone dello stesso sesso e anche lo scorso anno in occasione del massacro avvenuto al nightclub Pulse, a Orlando. L’insediamento di una presidenza così di destra aumenterà ancora la posta in gioco. Gli organizzatori del Pride – che, stavolta, sanno perfettamente che questa sarà molto di più che una parata – guardano alla storia per trovare l’ispirazione. Gli attivisti come Firas Nasr, nel frattempo, vedono il futuro del movimento meno come un campo da battaglia e più come una pista da ballo. Il Gay Pride 2017 ha tre mesi di tempo per capire di cosa vuole parlare.

Il 27 Giugno 1970 circa 3,000 persone LGBTQ hanno manifestato dal Greenwich Village a Central Park, a New York, un percorso di 5km. Drag Queens con parrucche bouffant e serpenti piumati marciavano insieme ad attivisti armati di cartelli: “All Power to Butch Bull-Dykes“, “I am your worst fear, I am your best fantasy“. L’evento, chiamato Christopher Street Gay Liberation Day, fu replicato in contemporanea a Chicago, San Francisco e Los Angeles, dove un migliaio di persone ha manifestato camminando per Hollywood Boulevard. La marcia era organizzata per l’anniversario della rivolta di Stonewall Inn, quando gay, drag-queens, transgender e tanti altri hanno combattuto contro un raid della polizia. I rivoltosi tiravano bottiglie e mattoni, davano fuoco alla spazzatura e si abbandonavano a cori spontanei – tutto questo almeno fino alle 4 di mattina, per due nottate consecutive. Non era la prima situazione del genere – ce ne sono tante altre, come quella della Cafeteria di Compton del 1966 e quella del Black Cat Tavern di San Francisco, nel 1967. Stonewall, tuttavia, ottenne una copertura mediatica imponente, tra cui The Village Voice, e ha ispirato e dato forza al movimento LGBTQ: nacquero il giornale Gay e il collettivo Gay Activist Alliance. Stonewall è spesso indicata come l’inizio della liberazione del movimento gay americano e ancora oggi ispira il Pride.

Le proteste davanti al nightclub gay Stonewall Inn durante il raid della polizia il 27 giugno 1969. Foto di NY Daily News Archive via Getty Images

Negli anni ’80, mentre l’AIDS falcidiava il paese, il Pride si è trasformato in un teatro di contestazione politica. Una delle espressioni più forti del Pride del 1987, a New York City, era la parodia di un campo di quarantena, completo di filo spinato e guardie paramilitari, una risposta alla proposta di isolare i pazienti di AIDS dal resto della società. Un decennio dopo, quando il numero di morti per AIDS cominciava a scendere, il Pride si è evoluto in qualcosa di più corporate, sviluppando un marketing originale e una struttura di PR. Le aziende che volevano rifarsi l’immagine o corteggiare i dollari dei gay – come la Coors, un’azienda boicottata negli anni settanta per le sue attività omofobe – hanno cominciato a sponsorizzare la manifestazione. Il trend non si è fermato. Gli organizzatori del Pride di New York City dell’anno scorso hanno stimato di aver ricevuto 2,4 milioni di dollari di sponsorizzazioni. Attivisti come Ann Jane, a San Francisco, vedono questa cosa come un tradimento delle radici del Pride: «Sembra una cosa più legata all’intrattenimento, per un pubblico etero», dice. Le comunità lesbo e transgender hanno organizzato le loro manifestazioni nel 1993 e nel 2004, manifestazioni che Jane considera più «organiche e vicine alle vere esigenze della comunità queer».

Oggi è normale per i progressisti incolpare il Pride di essere diventato una sorta di frat party pieno di loghi aziendali. Non è facile capire quando questo cambiamento sia avvenuto, ma è sicuramente prima che Burger King presentasse il suo “Proud Whopper” nel 2014, prima che Apple aiutasse il Pride di San Francisco con 8,000 persone, una dimostrazione di bontà aziendale dal sapore quasi militare. Negli ultimi due anni, però, il Pride si è trovato di fronte a eventi importantissimi. La corte suprema ha legalizzato il matrimonio per persone dello stesso sesso nel 2015 e, lo scorso Giugno, gli eventi del Pulse hanno trasformato il Pride in un memoriale delle 49 persone uccise.

«Il Pulse ha avuto un impatto molto serio,» dice Ryan Bos, direttore della Capital Pride Alliance di Washington e organizzatore del Pride della città. «Gente che non sarebbe mai venuta al Pride si è presentata e si è sentita parte della comunità. Quest’anno è la stessa cosa.»

Anche quest’anno, infatti, i membri della comunità LGBTQ hanno subito violenze. Il Southern Poverty Law Center ha dimostrato che 95 degli 867 crimini compiuti dopo le elezioni sono stati diretti contro persone del movimento. ThinkProgress ha individuato 261 crimini d’odio nei primi tre mesi della presidenza Trump, 36 rivolti specificamente contro persone LGBTQ. (Per non parlare degli Ebrei, dei Musulmani, degli immigrati, degli Afroamericani e tanti altri ancora).

«Abbiamo già organizzato il Pride con presidenti ostili, ma Trump rappresenta una cosa nuova,» dice James Fallarino, media director del Pride di New York City. L’uomo è particolarmente preoccupato dalla promessa di Trump di togliere i fondi a Planned Parenthood, un programma che gli consente di prendere la pre-profilassi, PrEp, una pillola che presa giornalmente previene la trasmissione dell’HIV nel 99% dei casi. Quando gli chiedo se il Pride di quest’anno sarà più politico, mi dice: «Dobbiamo trovare un equilibrio tra la politica e la celebrazione – anche durante la crisi dell’AIDS la gente ballava».

Questo equilibrio è ancora più complicato da trovare nell’America più rurale, stati dove le protezioni legislative per le persone LGBTQ sono sempre più a rischio. In Montana, per esempio, è ancora legale discriminare la gente LGBTQ. Il 20 Febbraio il Judiciary Committee dello Stato ha votato contro una legge che avrebbe abolito questa discriminazione. In South Dakota, nel frattempo, il legislatore ha proposto una legge che consentirà alle agenzie di adozione a sfondo religioso di discriminare genitori dello stesso sesso, e un’altra proposta di legge anti-transgender si è fermata in commissione il mese scorso. (Il governatore del South Dakota, un Repubblicano, ha dichiarato che avrebbe comunque esercitato il diritto di veto sulla proposta).

Queste tensioni sono parte delle ragioni che hanno spinto i Pride di Louisville, Sioux Falls, Billings e Birmingham ad alzare il tiro politico della manifestazione. Come dice Fallarino, «i Pride locali possono cambiare le persone in un modo che per noi di New York è impossibile». Il Pride di Birmingham, in Alabama, ha una funzione differente anche secondo il suo organizzatore Destiny Clark, che spiega come per una coppia gay sia ancora rischioso passeggiare mano nella mano. In Montana, il director del Big Sky Pride, Kevin Hamm, dice che la situazione economica di quest’anno avrà un grosso impatto positivo sulla comunità LGBTQ locale.

«Nel 2014 abbiamo generato 175,000 dollari in un weekend», dice Hamm. «Poco meno di 200,000 a Great Falls, nel 2016. Adesso ci amano tutti.» Quest’anno, secondo le sue stime, i partecipanti al Pride di Billings saranno circa 5,000.

Secondo l’organizzatrice del Pride del South Dakota, Ashley Gaddis, anche loro stanno vivendo un cambiamento simile. L’anno scorso, infatti, è riuscita a convincere l’amministrazione di Sioux Falls a illuminare la scritta iconica della città d’arcobaleno – una vittoria incredibile per una città che ha solo un gay bar “non ufficiale” e dove Trump ha preso il 53% dei voti. I cartelli di supporto a Trump sono ancora distribuiti nel quartiere della Gaddis, bandiere confederate issate in tutti i giardini, persino adesivi di Ben Carson.

«La gente non cammina per Sioux Falls vivendo liberamente il suo essere queer», ha detto. «La parola queer è ancora un insulto qui».

Come lo è in alcune parti del Kentucky e dell’Alabama, dove gli organizzatori del Pride hanno dovuto combattere con provocazioni, bullismo e violenza. A Birmingham, per esempio, hanno sparato di recente a due donne transgender. Una è morta; l’altra è in pericolo di vita. A Louisville, in Kentucky, l’organizzatore Rodney Coffman ricorda un suo amico che ha ricevuto un’immagine della morte attraverso i social media.

«Succedono cose che succedevano negli anni ’70 e ’80, quando la gente ti passava accanto in macchina urlando ‘frocio’», dice. «Non avevano le palle di dirtelo in faccia».

Tutte queste comunità LGBTQ rurali sono pronte al contrattacco. Destiny Clark, direttrice del Central Alabama Pride, sostiene che l’elezione di Trump ha unito la comunità in Birmingham più di qualsiasi altro evento, almeno nell’ultimo decennio. In Kentucky, Coffman nota come alcune aziende insospettabili abbiano deciso di supportare il Pride di quest’anno. In Montana, infine, Hamm si aspetta maggiore partecipazione e un tono più politico – in uno Stato dove due gay bar distano almeno 5 ore di macchina.

«Per sopravvivere a tutto questo dobbiamo essere uniti», dice Clark. «Rosa Parks non si è mai fermata. Martin Luther King non si è mai fermato. Sylvia Rivera non si è mai fermata. Stonewall non si è mai fermato».

Come si fa a fare un Pride più politico? C’è un modo giusto per essere politicamente schierati e festeggiare allo stesso tempo?

La storia ci offre alcuni esempi. In un saggio recentemente pubblicato su Bookforum, Sarah Jaffe ricorda ACT UP, il gruppo di pressione che si è occupato dei malati di AIDS e le cui azioni degli anni ’80 e ’90 – il preservativo gigante sulla casa di Jesse Helm, l’occupazione di Times Square – provocarono sia attenzione mediatica che novità legislative. «La lezione di ACT UP è che un gruppo piccolo ma motivato può fare abbastanza caos da far cambiare idea anche all’amministrazione più ostile del mondo», ha scritto.

Andrew Velez, un attivista del Bronx che si è unito ad ACT UP nel 1987, ha tratto dall’esperienza un altro insegnamento: «Il buon senso è troppo costoso». Si ricorda di un’azione compiuta ad Albany, quando i manifestanti si ricoprirono il viso di sangue finto urlando “Il governo ha le mani sporche di sangue!”. Andarono sui giornali di tutto il mondo e fecero capire all’amministrazione che con loro non c’era da scherzare.

Le proteste organizzate da ACT UP durante l’amministrazione guidata da George H. W. Bush. Foto di Dirck Halstead/The LIFE Images Collection/Getty Images

«L’AIDS ha acceso i riflettori su tutto quello che non andava nella nostra società,» dice Velez elencando tutti i problemi: economia, razza, genere sessuale, children welfare. Due generazioni dopo l’amministrazione Trump fa la stessa cosa. Il famoso attivista Peter Staley sostiene che Trump potrebbe politicizzare il Pride esattamente come fece l’AIDS negli anni ’80, a patto che i progressisti continuino a spingere gli organizzatori in questa direzione. L’umorismo e l’umiliazione, dice, sono ancora armi potenti per il Pride come lo erano per ACT UP, Queer Nation, Lesbian Avengers, Guerilla Girls e Stop AIDS Now.

Waiyde Palmer, un altro veterano di ACT UP, la mette così: «La protesta senza umorismo è solo rabbia e insoddisfazione». La sua filosofia da attivista è che ogni movimento ha bisogno di due lati: uno più estremo, la “pitbull portion“, e uno più cortese, la “reasonable legislative portion“, lato che consente di confrontarsi con il legislatore. Le proteste in stile ACT UP, però, oggi devono confrontarsi con legislazioni pesanti verso i manifestanti almeno in 10 stati.

«Riuscivamo a fare queste cose estreme e passarla liscia perchè eravamo disperati e avevamo pochi anni da vivere», dice Staley. «Non sono sicuro di poter contare su questo tipo di risposta oggi».

Nonostante tutto questo, gli organizzatori del Pride 2017 hanno deciso di unire la contestazione alla festa seguendo l’esempio delle Women’s March e del queer dance party. Proprio la marcia delle donne ha ispirato l’Equality March for Unity and Pride organizzata per l’11 Giugno a Washington. Altre marce di solidarietà sono organizzate ad Austin, Seattle, Indianapolis e Portland. «Gli organizzatori dei Pride di tutto il mondo stanno cercando di capire come sfruttare questa nuova energia, come creare cambiamento», dice Ryan Bos della Capital Pride Alliance. «Ormai è un movimento globale».

Come tutte le forme di resistenza, il Pride è qualcosa di più della singola giornata di manifestazione. Molte organizzazioni legate all’evento, sia rurali che metropolitane, supportano ogni giorno dell’anno le no-profit LGBTQ e altre forme di associazione locale. Chris Classen, Presidente del Pride di Los Angeles, dice che «non riesco a pensare a nessun evento vecchio di 50 anni e ancora capace di ispirare le nuove generazioni.» Al netto delle critiche – come quella sulle corporate sponsorship – il Pride è centrale per il movimento LGBTQ da mezzo secolo. Per alcuni un termometro politico, per altri un momento di formazione importantissimo, un modo per farsi ascoltare in città dove la diversità non è ben accolta.

«I gay sanno come festeggiare,» dice Classen, «Ma abbiamo anche lottato per 50 anni. Non abbiamo abbandonato le armi.» Mi dice anche che il Pride di Los Angeles di quest’anno tornerà simile a quello degli anni ’70: ci saranno una marcia di solidarietà e un’assemblea, gli attivisti si riprenderanno le strade della città. A Washington il tema di quest’anno è “unapologetically proud”, termine che per l’organizzatore Ryan Bos significa essere orgogliosi della propria razza, genere, orientamento sessuale e individualità – un grido di battaglia di tutti che richiama i giorni di Stonewall e di ACT UP. Come dice l’attivista Andrew Velez, questo movimento è nato dai movimenti per i diritti civili e per i diritti delle donne: «Non siamo mai stati violenti, ma siamo stati arrabbiati – dice – c’era un pensiero dietro alle cose che facevamo, un coraggio e un’ironia che ha unito gente di età, genere e background diversi». La sua voce trema mentre ricorda amici, morti da tempo, che non rimasero in silenzio: «Quei froci erano così coraggiosi».

Il movimento LGBTQ americano si trova, nel 2017, di nuovo alla ricerca di strategie audaci e coraggiose per affrontare minacce nuove. Forse la cosa più audace di tutte – scaturita da Birmingham, Billings, Washington, Louisville, Sioux Falls e San Francisco – è anche la più ovvia: continuare a combattere e manifestare, non importa cosa succeda.

«Quando facciamo due passi avanti e uno indietro puoi vederla come una regressione, o come un po’ di cha-cha-cha», dice Kevin Hamm. «Io preferisco il cha-cha-cha. Non c’è niente di peggio che attaccare chi è queer. Abbiamo combattuto da malati, e abbiamo vinto».

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