Il racconto dei due giorni passati a Parigi per le celebrazioni dei 30 anni di Jordan brand, richiede uno sforzo di lucidità e di elaborazione di quanto accaduto.
Così a caldo so solo che ho realizzato un sogno enorme e per questo mi sento davvero privilegiato. Il resto si vedrà.
Giorno 1
La spedizione che parte alla volta della Francia è composta dalla mia “vecchie” conoscenze Elisa Guarnieri, Davide Chinellato di Gazzetta.it, il volto amico di Sky Sport Paola Ellisse (con il suo cameraman Giovanni), Dario Vismara di Rivista Ufficiale Nba, Walter e Vincenzo di NSSMag e il sottoscritto per Rolling Stone. Mi sento di nominare tutti per la bella compagnia e perché ho parlato con persone non solo altamente competenti sul basket ma con dei veri “malati” in senso buono.
Questo è quello che fa essere speciali gli appassionati di pallacanestro e cioè una competenza media più alta dei tifosi di altri sport.
Ritrovo a Malpensa e partenza a mezzogiorno. Le facce dovrebbero essere ormai sveglie e distese ma qui non se ne parla proprio perché nella notte è andata in scena gara 4 delle Finals Nba (vittoria netta dei Warriors su Cleveland) e gran parte dei presenti ha visto la partita. Arriviamo in albergo (l’ospitalità di Nike meriterebbe un post a parte) e siamo pronti per iniziare.
Dopo essere stati redarguiti perché in ritardo di dieci minuti (in quanto italiani siamo preceduti da una fama tremenda) ci dirigiamo al Palais De Tokyo, rinominato per l’occasione “Palais 23”. Qui si svolge l’esperienza “Jordan” che si concluderà con l’intervista a Mark Smith (direttore creativo senior di Nike), Tinker Hatfield (il designer che ha creato le Air Max, le Jordan dalla 3 in poi, le Huarache ecc. ecc.) e “Sua Maestà Dell’Aria” in persona Michael Jordan.
cosa puoi aspettarti dalla gente che ha creato le Air Max?
Elisa, da stratega superiore, ci indica il modo per sederci in prima fila e noi ci fiondiamo, senza farcelo ripetere due volte. La sala è gremita e io sono palpabilmente emozionato. Introdotti da una giornalista di ESPN arrivano per primi i “creativi” che raccontano le loro esperienze con Jordan, partendo dagli inizi, passando per il primo ritiro di MJ, al secondo three-peat fino ad arrivare ad oggi. La loro attitudine è incredibilmente “cool”, sorridono e scherzano di continuo, si prendono in giro senza spocchia o distacco. D’altronde cosa puoi aspettarti da gente che ha creato le Air Max?!
Da appassionato di sneakers, vedere Tinker Hatfield è un’emozione difficilmente spiegabile. «La prima volta che ho incontrato Mike? – dice – Era nello scantinato di casa sua che stava per ammazzare un suo amico durante una partita di ping pong. Si, lo stava per ammazzare! Mai sfidarlo in qualcosa, non avete idea di quanto sia competitivo». Hallelujah!
Inizia #WEAREJORDAN A due metri da me persone che hanno cambiato la cultura moderna: Tinker Hatfield e Michael Jordan! @RollingStoneita
— Ghemon (@Ghemon) 12 Giugno 2015
Le parole di elogio per il numero 23 si sprecano e aprono le porte al momento più atteso: Michael arriva tra gli applausi e sembra particolarmente di buonumore. Sottolinea quanto negli anni abbia messo input nel processo creativo del brand. Si fa un rapido excursus temporale: la AJ1, addirittura bannata dalla NBA agli inizi perché non conforme alle regole sui colori delle scarpe nelle squadre (tutti i giocatori dovevano averle uguali e con gli stessi colori della maglia – prima regola demolita dalla forza dell’immagine di MJ). La Jordan 3, la prima disegnata da Hatfield, che mischia un design innovativo ala tecnologia “Air” e introduce la “elephant print”, un elemento di moda in una scarpa da performance sportiva. Si arriva al 1994, anno del ritiro di Jordan e si sottolinea come Tinker e la sua squadra abbiamo spinto per continuare a creare materiale col nome di un giocatore che, per tutti non sarebbe più tornato a giocare. Poi Michael durante una conferenza stampa pronunciò le parole magiche «I’m back» e il resto è storia.
Quando dico tre metri intendo tre metri #WEAREJORDAN @Jumpman23 @RollingStoneita pic.twitter.com/Ei53AQ4Bph — Ghemon (@Ghemon) 12 Giugno 2015
Si potrebbe andare avanti all’infinito ma due cose sono cruciali per spiegare la magia di questo evento:
1) Quando Jordan ha parlato dell’ultimo modello, le XXIX, definendole le migliori in assoluto per giocare, ha pronunciato le seguenti parole: «Non avete idea di quanto avrei voluto provare queste in campo. Davvero non avete idea, vorrei avere il potere di portare il tempo indietro ma purtroppo non posso». Avreste dovuto vedere la sua faccia mentre lo diceva, mi da i brividi solo a pensarci.
2) Mark Smith ha sottolineato come Jordan sia passato da essere “icona sportiva” a “cultura moderna”. Voglio dire, si tratta di un giocatore che ha trasceso il suo ruolo ed è diventato un brand conosciuto come la Coca Cola. È la piattaforma su cui l’immagine di qualsiasi sportivo moderno ha provato e prova a rifarsi. Michael Jordan e Thinker Hatfiled hanno davvero cambiato il mondo e la cultura negli ultimi 30 anni.
Il pomeriggio è poi proseguito con la registrazione di un promo video (io ero tra i prescelti) per raccontare la propria storia attraverso le J’s. Poi la cena e un bellissimo afterparty allo Yo-Yo club. Alle 2, stremati andiamo a letto.
Giorno 2
Sveglia alle 7.30, colazione e poi via per la prova del materiale tecnico, sul campo in mezzo alla città. Ci affidano un paio di XXIX (che conosco molto bene, per me è già il terzo paio! – lo so, sono esagerato!).
Tutti gli inviati dei media presenti vengono divisi in due squadre e affidati a due coach che li faranno riscaldare, lavorare sui fondamentali e poi, infine, giocare. Un po’ di ball handling, routine di tiro, penetrazioni a difesa schierata e poi si gioca 3 contro 3. Palla all’attacco e chi fa il primo canestro vince, queste le regole del coach. Dice che usa questo metodo coi suoi ragazzi più piccoli per insegnargli ad attaccare e difendere alla morte.
Mai permettere a chi ha poca immaginazione di limitare la tua
Se fosse al meglio di tre l’impegno non sarebbe uguale. Vinciamo la prima partita ma perdiamo la seconda e ci tocca un’infame ma meritata serie di flessioni. Qui il ragazzo di origini senegalesi che ci segue, ci regala ancora una piccola perla.
Dice ai vincenti: «Si vince e si perde come squadra, perciò in questo momento dipende solo da loro se vederli soffrire o partecipare alle flessioni».
Il risultato è positivamente impressionante: tutti giù e vai di push-ups. Il gioco si rivela di nuovo fonte di riflessione. I messaggi che l’allenatore ci ha passato sono stati dei fulmini di umiltà a ciel sereno. La squadra può esserci in qualunque campo dal lavoro, alla musica, allo studio. Lo sport ci riporta a delle verità semplici ma universali.
Il tempo di una doccia, pranzo e arriviamo a Place De La Concorde per il torneo internazionale di streetball denominato Quai54. Nike ha creato anche delle speciali release di scarpe per celebrare l’evento, uscite solo per l’Europa.
Ho ovviamente tentato il tutto per tutto per le AJ13 Quai54 (sold out in tutta Parigi) e ho potuto vedere da vicino (sbavando) l’MTM pack ma sfortunatamente niente da fare. Tornando al torneo, lo spettacolo è incredibile: una delle piazze più belle e famose al mondo, con al centro un campo da gioco e quattro tribune con più di duemila persone urlanti che ballano, fanno festa e urlano per le migliori giocate. Un evento unico!
Termina tutto così, con i saluti ai ragazzi delle altre nazioni già incontrati in precedenza e l’appuntamento agli Europei di settembre a Berlino.
Conclusione
Dovrò digerire le immagini e la grande dose di energia, frasi, movimenti, auree pazzesche che ho assorbito in questi giorni. Sono stato ispirato da persone che hanno realizzato l’impensabile e ci hanno e ripetuto quanto, per avverare i sogni, è necessario avere vedute e spalle larghe, determinazione enorme e compagni di viaggio con gli stessi obbiettivi ed entusiasmi.
«Mai permettere a chi ha poca immaginazione di limitare la tua» sarebbe da tatuarselo.