Anche per distruggere è necessario creare. Questo principio vale tanto nella fantasia (Die Hard? Delitto e castigo? Un giorno di ordinaria follia?), quanto nella realtà. Il compositore Karlheinz Stockhausen ha cercato di esprimere il concetto a proposito dell’11/9/2001 (“La più grande delle opere d’arte”) e quando è morto, sei anni dopo, ancora glielo stavano rinfacciando. Giustamente, sotto alcuni punti di vista.
Una creatività al servizio della distruzione è ciò che accomuna i due titoli con cui si conclude il 2015 dei videogame. Due prodotti che non potrebbero apparire più opposti: da una parte abbiamo Just Cause 3, il trionfo della fantasia più sfrenata, un’avventura esotica (ingredienti base: mare ed esplosioni) che rinuncia volentieri al verosimile per dare al giocatore il massimo del divertimento. E dall’altra c’è Rainbow Six: Siege: la ricerca di realismo totale, una simulazione di azioni di polizia che sembrano uscire direttamente da un rapporto governativo segreto (o da un episodio di Homeland). Si tratta di due strade parallele che i videogame hanno sempre seguito – simulazione vs. arcade – anche se in passato riguardavano soprattutto generi diversi. Just Cause 3 è forse il primo videogame importante ambientato nel Mediterraneo. Una specie di Mediterraneo: sembra un po’ Monaco, un po’ Malta, un po’ la Provenza. Però ci sono montagne innevate. Gli sviluppatori hanno ammesso di essersi presi parecchie licenze, per il bene dell’atmosfera e del divertimento. L’arcipelago che costituisce l’ambiente di gioco è molto esteso: un’area di 400 miglia quadrate, più di Ibiza e Formentera messe insieme. Trasportato nel mondo dei videogame, significa una libertà incredibile. La geografia non è nemmeno l’aspetto in cui la fantasia è più selvaggia: il giocatore ha in dotazione una tale serie di gadget da far sembrare sprovveduti agenti segreti più celebri.
Il gingillo migliore è una tuta alare: permette di planare a piacimento per questo mondo così bello e dettagliato, ed è lo strumento perfetto per seminare un po’ di distruzione. Perché uno dovrebbe fare una cosa del genere in un posto così idilliaco? Perché Medici (è il nome di questo luogo fittizio, che più italianeggiante non si può) è oppressa da un odioso dittatore, il generale Di Ravello. Ed è anche il luogo natale del protagonista, Rico Rodriguez, la cui specialità è, appunto, la liberazione dai tiranni. Il team di sviluppo è svedese: e tutto in JC3, dai nomi agli accenti, all’ambientazione, tradisce il desiderio di creare uno stereotipato luogo da sogno, in cui un nordeuropeo sa di poter trovare caldo, mare, sole e un generale, tranquillizzante malcostume. Del resto, non è anche l’ambizione suprema di ogni italiano andare in un “posto caldo” a Natale? JC3 ti permette di farlo, già che ci sei puoi fare esplodere tutto quello che ti pare, e per questo essere perfino chiamato eroe.
Rainbow Six: Siege, invece, ha un tono molto più serio, che gli eventi internazionali degli ultimi mesi – gli attentati di Parigi, in particolare la presa degli ostaggi al Teatro Bataclan, e la conseguente caccia all’uomo a St. Denis – hanno reso quasi cupo. La massima espressione di RSS è nelle partite online a 5 giocatori contro 5: una squadra controlla i terroristi, l’altra i poliziotti. Il gameplay è strutturato apposta per favorire la comunicazione tra i giocatori: qui la strategia è anche più importante dell’abilità nello sparare. Una mappa iniziale, che raffigura lo scenario dell’azione (ambasciate, aerei dirottati ecc.), permette di studiare l’approccio migliore. La tattica diventa ancora più importante nell’estrema modalità Realismo: quando una sola pallottola è sufficiente a ucciderti, è il caso di presentarsi preparati. La novità di RSS è la specializzazione dei giocatori: la sua struttura asimmetrica permette di trovare uno stile (esperto di esplosivi, operatore di scudo corazzato, ecc.) e portarlo alla perfezione. Non serve essere fan delle forze dell’ordine, però, per apprezzare RSS: come in JC3, il valore è la libertà di scelta data al giocatore, e la possibilità di modificare (leggi: distruggere) l’ambiente di gioco per raggiungere i propri scopi. È il bello dei videogame: a seconda di come ti gira, puoi decidere di essere John McClane o Jack Bauer, un po’ cazzone o un po’ serioso. Ma è sempre fiction, ed è ciò che conta. Tutto il resto è solo una questione di tono.
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