Alla Galleria d’arte Moderna di Torino, per gli amici e per i più scafati sabaudi “la GAM”, ha appena aperto una mostra imperdibile: Opera prima di Roy Lichtenstein. Rimarrà in esposizione fino al 25 gennaio 2015, quindi non avete scuse.
Magari non vi ricorderete subito chi sia questo artista, ma riconoscereste le sue opere di primo acchito: le avete viste ovunque, dalla pubblicità ai poster sul muro di mille camerette “alternative”, parodiate e riprodotte in ogni dove. Ormai parte del patrimonio culturale inconscio di ognuno di noi. Nato a New York nel 1923, Lichtenstein è uno dei principali esponenti dell’arte americana del ventesimo secolo, uno dei caposcuola di quella che verrà chiamata la “Pop Art”.
Alla GAM hanno fatto le cose in grande: la mostra è la prima a presentare, tutte insieme, più di duecento opere dell’artista. Dagli schizzi su carta ai dipinti, dagli studi preparatori alle sculture e infine alle fotografie di Lichtenstein stesso al lavoro. Praticamente sono esposti quadri che arrivano direttamente dal salotto della famiglia Lichtenstein. Scherzi a parte, per la prima volta in Italia, le 235 opere arrivano da prestiti della National Gallery di Washington, del Museum of Modern Art, del Whitney Museum di New York, dell’ArtInstitute di Chicago e da collezioni pubbliche e private europee e italiane. La mostra torinese, curata da Danilo Eccher, direttore della GAM, segue un filo conduttore ben preciso: mostrare le idee primigenie, la fonte d’ispirazione primaria, gli schizzi e i bozzetti preparatori e infine l’opera compiuta nella sua interezza.
Tutto il museo, sin dall’anteprima, è stato completamente travolto dalla “pop culture”: si aggiravano modelle in abiti a pois coordinati e con grandi occhiali anni’60, macchine Cadillac dell’epoca sono esposte all’entrata, sono stati anche organizzati, per coinvolgere gli spettatori, laboratori di trucco e nail-art in tema. Potete andare alla GAM, godervi la mostra e poi farvi pittare le unghie come fossero piccoli quadri da make-up artist preposti all’uopo. Oppure, potete fare l’esperienza “Cup Pop Art…Made in GAM”, in cui tazze e tazzine di porcellana vengono decorate a mano. Dopo un percorso tematico all’interno dell’esposizione, potrete dipingere la vostra mug personalizzata, ovviamente in rigoroso stile pop, e portarvela a casa. O ancora, potreste partecipare a un workshop, in cui analizzare l’influenza del fast food nelle opere di Lichtenstein. Si parlerà dell’utilizzo del cibo come protagonista, per raccontare il contemporaneo, attraverso la raffigurazione di cibo in scatola, hamburger, alimenti precotti, un mezzo per raccontare e astrarre il quotidiano. I visitatori, a conclusione della visita alla GAM, appena i primi morsi della fame si faranno sentire, potranno sperimentare il rapporto cibo-arte in modo originale preparando il proprio sandwich, il tutto presso la Citta del Gusto. Naturalmente, su prenotazione.
Potete trovare tutte le informazioni necessarie su www.gamtorino.it
All’inaugurazione Dorothy Lichtenstein, moglie dell’artista americano scomparso (che sembra la bionda raffigurata in una delle opere più famose del marito, la celebre “Oh, Jeff…I Love You, Too…But…”), ha ricordato il modus operandi dell’autore: «Per Roy disegnare era l’essenza dell’arte. Per ogni opera, dipinto,stampa, poster o scultura che fosse, Roy partiva sempre da un disegno. Con le sue immagini ha riempito taccuini, quaderni di carta fiorentina finemente rilegati, blocchi per appunti e pezzi di carta, modificandole continuamente finché non ne era soddisfatto. Solo allora poteva passare al dipinto o alla scultura. Quei piccoli disegni erano la base del suo lavoro -conclude Dorothy- tanto che spesso li riportava sulla tela. Credo che quelle prime ‘concettualizzazioni’ incarnino l’integrità dell’arte di Roy».
«In quasi mezzo secolo di carriera ho dipinto fumetti e puntini per soli due anni. Possibile che nessuno si sia mai accorto che ho fatto altro?» si lamentava sconsolato Roy Lichtenstein. Come dargli torto, vista la varietà delle sue opere, che spaziano dal puro fumetto alle riletture surrealiste dei paesaggi classici dell’iconografia asiatica, cinese e giapponese? La pop art non è solo lattine di zuppa Campbell, per citare l’opera più iconografica di Andy Warhol e se visiterete “Opera prima“ sarà facile capire perché la celebrità di alcuni dura molto più di quindici minuti.