«Ivrea regge perché siamo provinciali, romantici e felicemente agganciati al passato». Potremmo spiegare, attraverso questa affermazione di un ristoratore locale, il motivo del gigantesco fallimento del M5S alle elezioni di Ivrea, quella che i giornali si ostinano a chiamare, in verità a torto, “la terra dei Casaleggio”. Perché qui da noi, non funziona così. Non è che siamo diffidenti, ma a noi eporediesi (piemontesi atipici) questa storia del Movimento 5 Stelle mica ci convince.
Ok, nel 2007, per il V-Day, la piazza principale era gremita, ma era un altro periodo storico e il Movimento era ancora un magma difficile da interpretare, con quell’offensiva da vaffanculo tutto che, alla fine, nella sua ingenuità populista, poteva anche sembrare interessante (un amico mi confida «io in piazza c’ero, ma ora mi fanno schifo e mi fanno vergognare»). Eravamo nel pieno della crisi, e qui non è che siamo proprio dei campioni nella gestione delle crisi: vedere il tracollo Olivetti, per intenderci. Poi l’ingenuità bonaria dei pentastellati è diventata arrogante ignoranza gremita da censure, epurazioni, sparate. Il populismo è sfociato in nazionalismo, che nelle frange estreme ha sbracato in neofascismo e nemmeno il tempo di distrarci che in un attimo a Roma stavano stringendo la mano alla Lega – ribadisco – LA LEGA!, come se fosse l’amico gentile e umile con cui hai condiviso l’infanzia. E così, mentre a Ivrea si votava, il nuovo Governo gialloverde stava giocando con la vita dei 629 migranti dell’Aquarius come a battaglia navale.
Entusiasta per i risultati elettorali della mia città, roccaforte mancina da decenni, ho deciso di tendere l’orecchio durante la mia routine quotidiana; vox populi sia. Sotto casa, al bar all’angolo, il ballottaggio tra il candidato Pd Perinetti e quello del centrodestra Sertoli era praticamente una certezza da giorni. Le parole dorate si sprecano per la coerentissima Ballurio che, dopo aver perso al fotofinish le primarie PD a gennaio, con un doppio carpiato rovesciato è passata al centrodestra in uno zac, alla faccia di noi stronzi che agli ideali un po’ ci crediamo, almeno qui nella fottuta terra degli Olivetti.
E tutti erano sicuri e assolutamente certi del flop dei cinque stelle. Sarà che era stato un flop il passaggio di Di Maio per spiegare il suo magnifico contratto con la Lega (venti persone su un marciapiede nel disinteresse cittadino). Sarà che Massimo Fresc era un candidato vuoto, o “fantoccio”, come dice il mio vicino di spogliatoio in termini decisamente meno edulcorati. Sarà che siamo stati così vicini agli esperimenti (citando l’inchiesta di Jacoboni de La Stampa) della Casaleggio Associati che “no, proprio no, lasciamo perdere, certa merda nebulosa la sappiamo ancora riconoscere, eh”, come mi racconta la mia erborista di fiducia.
Per la cronaca, Fresc ha chiuso penultimo (al 13,5%), superato anche dalla lista civica legata a Comotto («Una brava persona con una lista debole», si dice in palestra), lasciandosi alle spalle solo il candidato di quel partito di cui fatico a scrivere il nome e che semplicemente ometterò, perché ok la democrazia, ma il neofascismo anche sticazzi («Il loro 1,8% è l’1,8% in più di quanto un paese civile possa concedere», cinque alto a te, amico di caffè). A cena i pensieri sono già più decisi verso il partito gestito dalla Casaleggio: «A Ivrea siamo ricchi e lavoriamo, i Cinque Stelle non lavorano e, se lo fanno, lo fanno senza amore, non hanno mire artistiche o politiche o filosofiche e guardano con diffidenza alle persone che invece ne hanno». Nel dehor del ristorante, proprio sotto la finestra della mia camera, c’è anche chi prova a ribaltare le carte in tavolo: «Non sarà che la democrazia non è la miglior forma di governo?».
Il mio telefona vibra e su WhatsApp una mia compaesana trasferitasi a Milano mi fa scoppiare in una fragrante risata commentando il risultato elettorale: «Ivrea è la ragion pura».