Ho provato a pensare al modo in cui si è parlato della grande tragedia che si è consumata nel Mediterraneo qualche giorno fa, quando centinaia di bambini, donne e uomini hanno perso la vita nel naufragio del barcone sul quale erano saliti, diretti verso Lampedusa, l’Italia, l’Europa.
In questi casi le ondate retoriche di sdegno si ripetono e sempre si ripeteranno, è una malattia cronicizzata, contro la quale temo non ci sia altro rimedio possibile se non quello di provare a riportare la discussione sul terreno dei fatti – e in questo caso pare opinione condivisa e diffusa, se si eccettuano pochi ipocriti, che tocchi all’Europa fare un passo decisivo per mettere sotto controllo, nei modi più efficaci e solidali possibili, questo stillicidio di vite “impreviste” e per questo cancellate.
Il tema è troppo ampio e non alla mia portata – andare oltre a quanto detto sopra è piuttosto difficile, richiederebbe competenze che non ho e non vorrei unirmi al coro di quelli che hanno la ricetta in tasca. Tutt’al più posso ricordare una frase di Erodoto che si chiedeva come mai noi – la civiltà occidentale – mandassimo navi alla scoperta di altri luoghi e culture e gli altri non facessero altrettanto con noi. La domanda rimane interessante, la risposta che ha dato la storia del colonialismo europeo è piuttosto evidente nella sua lampante, innegabile tragicità.
Sono apparsi, come morti.
Come essere umani, viventi, erano dispersi
E ciò nonostante la notizia fa notizia, per i numeri, per le infinite possibilità di strumentalizzazione politica e perché per fortuna il giornalismo serio esiste ancora – non so questi tre fattori in che percentuale si dividano il campo, ma esistono. Ciò che tuttavia mi ha fatto riflettere a lungo è stato l’utilizzo della parola “dispersi”. Tecnicamente è ineccepibile. Ma mi chiedo: un giorno prima che divenissero “dispersi” nelle acque del Mediterraneo, come avremmo potuto definire queste persone? Inesistenti. Non calcolate. Per questo la notizia veramente terribile è che il loro apparire si manifesti in quanto “dispersi”, quando appunto è il loro esser dispersi e quindi con altissima probabilità morti che li ha fatti apparire. Sono apparsi, come morti. Come essere umani, viventi (e in quali condizioni, possiamo solo immaginarlo) erano dispersi. Questa è l’epifania, questo è lo scandalo con cui dovremmo fare i conti.
Se fossero apparsi prima – a noi, italiani ed europei che comprensibilmente ci lagniamo della crisi economica, dei nostri problemi di bilancio e di disoccupazione mentre la maggior parte degli “apparsi” lotta ogni giorno per la propria sopravvivenza – sia a causa della povertà estrema e in alcun modo paragonabile alla nostra povertà, che pure esiste (siamo mai stati in un villaggio del Sudan?) che a causa di una guerra incomprensibile nelle sue dinamiche se non nelle sue motivazioni (avete mai abitato una casa in un quartiere conquistato dall’ISIS”?), ecco, se fossero apparsi prima, trattandosi di vite umane e posta la condizione indiscutibile che ogni mezzo necessario debba essere messo in campo per salvarne il maggior numero possibile, non sarebbero apparsi poi, già morti, ma prima, vivi e bisognosi d’attenzione.