L’Italia boccia ad ampia maggioranza la proposta di riforma costituzionale voluta dal Governo. Il voto di ieri è stato netto, con un’affluenza record (65,65%) che non si registrava da tempo alle urne. Il “No” ha vinto con il 59,1% contro il 40,9% del “Sì”. La conseguenza immediata è stata la resa di Matteo Renzi: “Volevo ridurre le poltrone, ora l’unica poltrona che salta è la mia”, ha dichiarato poco dopo mezzanotte nel concession speech con cui annuncia le dimissioni lasciando ai vincitori la responsabilità della “proposta”. Ora tocca al presidente Sergio Mattarella, che aprirà le consultazioni per un governo di stabilità con in pole position l’attuale ministro dell’economia Pier Carlo Padoan – la sua scelta potrebbe essere vista come mossa per calmare i mercati: l’economia italiana è considerata molto traballante, l’anello debole dell’Eurozona, e ha bisogno di stabilità e riforme.
Potremmo leggere il voto come una solenne bocciatura nei confronti di Matteo Renzi (e la conseguenza immediata è esattamente questa). Lo scenario, però, è più complesso. Il fronte composito di chi ha sostenuto il “No” copriva l’intero arco parlamentare. Dai post-fascisti di Giorgia Meloni alla Lega lepenista di Matteo Salvini; dall’eterno Silvio Berlusconi e dal Movimento 5 Stelle alla minoranza “sinistra” del Partito Democratico passando per i prodromi di Sinistra Italiana e Possibile. Tutti questi “No” avevano una posizione diversa, un merito diverso. Chi lo leggeva in chiave anti-Euro; chi in chiave anti-establishment; chi per difendere l’attuale assetto Costituzionale contro la minaccia di “deriva autoritaria”. Nel “No” c’è moltissimo (68%) voto Under-35 che, come spiegavamo qualche giorno fa, non si è sentito rappresentato da un governo e un premier “giovane” che non ha fatto niente sul tema delle politiche giovanili. Nel “No” ci sono molte persone che si sono dette a favore dei cambiamenti, ma che hanno ritenuto questa proposta di cambiamento o non necessaria, o dannosa, fatta male, inadeguata.
Secondo le prime analisi, il fronte del “Sì” ha convinto 3/4 degli elettori del Partito Democratico, ma leggere quel 40,9% come un automatico consenso per l’ex Premier sarebbe ugualmente miope, per quanto un dato da considerare: senza girarci troppo intorno, il “Sì” era solo ed esclusivamente Matteo Renzi. Anche in questo caso, però, bisogna considerare uno scenario più ampio. Ci sono i voti “inevitabilisti” (la famosa ex maggioranza silenziosa), i voti di chi temeva una ripercussione sui mercati (l’Euro ha toccato i minimi da venti mesi, ci sono gli aumenti di capitale di otto banche tra cui il Monte dei Paschi di Siena, e tutti stamattina guardano agli indici di borsa, ma secondo il Sole 24 Ore borse e spread tengono) e i voti di chi, entrando nel merito, pensava sinceramente che questa riforma potesse davvero portare un miglioramento nella vita politica e amministrativa del paese.
Palla al centro, tutto da rifare? Più o meno. Adesso bisognerà valutare le conseguenze politiche. Sul fronte del “No”, nonostante l’eterogeneità della composizione, sembra evidente una maggiore esposizione di Matteo Salvini e del Movimento 5 Stelle. I due schieramenti hanno reclamato elezioni immediate (che non ci saranno, non fosse altro perché manca la legge elettorale) e sono stati tra i primi a intestarsi i meriti del risultato. La minoranza Pd aspetterà la direzione nazionale convocata per domani pomeriggio per capire cosa succederà negli organi di partito (dimissioni di Renzi dalla segreteria? Ad oggi sembrano improbabili), quando sarà il prossimo congresso e come comportarsi dopo le continue minacce di scissione dopo un voto che ha visto la posizione del “No” vincere nel paese.
E adesso cosa succede? Oggi Matteo Renzi riunisce il Consiglio dei Ministri per l’ultima volta, poi salirà al Quirinale per rassegnare le dimissioni. A quel punto, Sergio Mattarella inizierà le consultazioni per capire se c’è la possibilità di trovare una nuova maggioranza parlamentare che possa chiudere alcune riforme necessarie e alcuni dialoghi aperti soprattutto con Bruxelles, le istituzioni europee, e i mercati. Inoltre, c’è da dipanare la matassa della legge elettorale. Al momento, in Italia, ci sono due leggi elettorali (l’Italicum alla Camera e il Consultellum al Senato). Senza questa chiarezza, appare difficile andare a votare. Insomma, del domani non v’è certezza e chi vuol esser lieto sia, ma tutti gli indizi sembrano indicare un governo di stabilità per salvare il salvabile.