«Se sei donna, sei mignotta», confessioni di una pornostar | Rolling Stone Italia
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«Se sei donna, sei mignotta», confessioni di una pornostar

Marika Ferrero racconta perché ha lasciato il mondo dell'hard "tradizionale": «Il porno distrugge la sessualità di chi ci è dentro. Nella vita privata, la maggior parte delle attrici che ho conosciuto non riesce più ad aver orgasmi»

«Se sei donna, sei mignotta», confessioni di una pornostar

Marika Ferrero, foto via Facebook

«In un film porno l’uomo è un figo e la donna è una mignotta, no?» Questa è la frase con cui Marica mi spiega il suo lavoro. Onestamente l’articolo potrebbe finire qui, schiantandosi contro il più grande pregiudizio sessuale. Ma darla vinta all’ignoranza è una resa. E a nessuno dei due piace arrenderci. Quindi proseguiamo.

Conosco Marica perché da pischelli, in città, era la ragazza con il dogo argentino. Poi è diventata Marika, con la k, la ragazza che faceva porno. Quando ci rivediamo è sempre lei, sorridente e struccata, ma ad accompagnarla c’é Wendy, un’educatissima bastardina. Tra il dogo e Wendy sono passati dieci anni, anni in cui Marica è diventata un’attrice hard conosciuta con il nome di Marika Ferrero («volevo tenere almeno il mio nome, per non essere un personaggio costruito, ma una persona»). Ho visto alcuni spezzoni di Marika, quelli che si trovano sui grandi aggregatori video online con nomi terrificanti quali Teen inculata da due cazzoni o Young perverted fuck in the ass (dai regà almeno usate bene l’inglese pleeeease!), e per questo mi permetto di farle notare che senza quel quintale di trucco sugli occhi, tipico nelle sue scene, è molto più affascinante. «Questo è uno dei problemi principali di questo ambiente, cercano di snaturarti, mi dice con parlantina decisa, io volevo stare senza trucco, volevo che la mia parte bimba fosse presente, ma non mi era concesso: non c’è spazio per essere te stessa, vogliono sempre portarti in una situazione di disagio, di debolezza. Se hai tanto trucco, colerà come se avessi sofferto molto e il pubblico gradirà di più».

Il giorno dei suoi diciotto anni corre ad una fiera erotica dove incontra Omar Galanti. Gli racconta la sua ambizione e, poco dopo, è sotto contratto con la Pink’o, una delle principali case di produzioni di film hard in Italia. «Ho iniziato questo lavoro per amore per il sesso e per un senso di ribellione; volevo fare qualcosa di forte per capire le persone che avevo vicino, capire se davvero mi volevano bene senza giudicare». La selezione funziona subito; la sua migliore amica si allontana perché al fidanzato non piace che frequenti un’attrice porno (sono aperte le scommesse su quante volte questo ragazzo ha googlato Marika Ferrero). I suoi genitori, invece, accettano la decisione e, nonostante le naturali paure del caso, la supportano, tant’è che al bar di paese puoi trovare la nonna pronta a difenderla dalle considerazioni sciagurate dei locals ignorantelli.

In cinque anni è presente in una decina di produzioni Pink’o, tra cui il primo film hard europeo in 3D. Mi spiega che per girare una sola scena ci vogliono 5-6 ore di riprese. Bisogna filmare il rapporto in versione soft, hard ed erotica (senza ripresa dei genitali) e con inquadrature da differenti angolazioni. Per una scena semplice con cinque posizioni, a due angolazioni, vengono filmate circa trenta riprese differenti. Penetrazione, STOP!, pausa, MOTORE!, penetrazione, STOP!. In loop. «Il porno distrugge la sessualità di chi ci è dentro. Nella vita privata, la maggior parte delle attrici che ho conosciuto non riesce più ad aver orgasmi e gli attori, con l’assunzione costante di viagra, hanno completamente perso la libido. Il porno è troppo, è troppo tutto».

C’é una frase che ripeto spesso e, visto l’occasione, ripeto anche a Marica: ho finito il porno. Lei ride, ha capito cosa intendo: in questi video il sesso è solo un ordine di scene prestabilito che dal sesso orale finisce con l’eiaculazione maschile. Un unico gigantesco film in cui cambiano gli interpreti. «Io per masturbarmi ero tornata all’erotico, nel porno non trovavo più nulla di stimolante, i registi sono uomini e rappresentano solo un’idea di sessualità che non è educativa, non è quella che vivo, non è quella che prova la maggioranza delle persone. La sessualità non è lo stereotipo che provano ad imporci. La prima volta che ho squirtato era in una scena con due uomini. È stato una cosa bella, dolce, un’energia incredibile. Quando ho rivisto la scena sembrava che mi stessero facendo male. E io sapevo che non era andata così. Da quel momento ho avuto un blocco. È il taglio che i registi uomini vogliono dare: trasmettere la sofferenza della donna. Da quel momento ho smesso di girare».

E così dopo cinque anni Marika inizia a declinare offerte. Gira qualche lesbo, non riesce più ad avere attrazione per gli uomini. Conosce Erika Lust e scopre il porno rosa. Si innamora dell’idea di Erika di rappresentare del «buon sesso, fatto di rispetto reciproco, senza vedere tutto e troppo», ma in parte non sposa l’estremismo femminista di ghettizzarlo nella categoria porno per le donne fatto da donne perché il sesso è per e di tutti, e il segnale che vuole dare è proprio questo: smettere di differenziare gli uomini e le donne e tornare ad una sessualità primordiale, comune ai due sessi. Mi ripete più volte che nel porno manca la naturalezza, «l’ambiente è ostile a causa di registi viscidi e maschilisti» e le donne sono trattate come carne. I limiti palesi sono la stereotipazione del corpo femminile («quando ho firmato il contratto mi han detto ‘quando vuoi ti paghiamo il viaggio per Budapest e l’operazione al seno’»), l’immaginario deformato che costringe l’uomo, e soprattutto i più giovani, a confrontarsi con un modello di erotismo disumanizzante, e la rappresentazione della donna come oggetto sacrificale del machismo. Senza considerare l’estetica no condom che costringe gli attori a rischiare la propria salute per pochissimi guadagni.

È proprio su questo argomento Marika mi racconta un paio di brutti episodi, come il regista che – a causa di un ritardo nella consegna dei test di controllo – le chiede di cambiarne la data di rilascio dei risultati per poter comunque girare la scena, all’attrice che falsificando le proprie analisi contagia due uomini con cui lavora. Perché, a volte, per 150€ (prezzo medio di una scena per una ragazza), c’é chi preferisce rischiare.

Marika ora vive a Ibiza ed è più una gipsy che una pornostar. Sull’isla sta aprendo una galleria d’arte erotica e, nel mentre, a nome SexSens, sta producendo video erotici in cui unire il mondo del porno ad una sessualità adeguata e rispettosa. «Si può fare del buon porno senza che debba – per forza – essere degradante per le figure femminili. Per cui ho deciso di non stare solo dietro la macchina da presa, ma di rimetterci volto e corpo, altrimenti l’avrei data vinta a quei registi maschilisti, a quell’ambiente dopato, a quell’idea sbagliata».

Parlare con una pornostar non ha fatto altro che confermare la mia idea: il porno non dovrebbe essere il luogo dove sfogare le frustrazioni della nostra stupenda vitademmerda in maniera meschina, ma lo spazio in cui conoscere e scoprire la nostra sessualità nell’infinito universo delle fantasie erotiche. In poche parole, molto più terra terra: se il porno fosse più naturale, avremmo un’idea sana della sessualità e faremmo sicuramente più sesso. E lo faremmo molto molto molto (ho detto MOLTO?) meglio.

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