In gergo alpinistico c’è un termine, attacco, che segna il momento in cui si comincia ad affrontare una parete e quello in cui si cominciano a tendere muscoli, nervi e tutto quello che servirà per la salita. In buona sostanza l’attacco è l’inizio della sfida tra lo scalatore e la roccia e proprio a questo termine devono aver pensato con buona probabilità in casa Alfa Romeo, tanto per scegliere il nome (Stelvio, appunto, che di roccia e pareti, ma anche di epiche sfide ciclistiche, ne richiama in abbondanza) del primo Suv prodotto dalla casa automobilistica in centosette anni di storia, quanto per la presentazione della nuova vettura organizzata qualche giorno fa proprio sulle mitiche strade attorno al Passo dello Stelvio, quello delle scalate di Coppi o dello svizzero Koblet.
«Stelvio è un nuovo step della rinascita di Alfa Romeo – ha detto Fabrizio Curci che del marchio Alfa è il responsabile per la cosiddetta area EMEA, ovvero Europa, Medio Oriente e Africa – e anche se forse non l’abbiamo pensata utilizzando il termine rock’n’roll, a pensarci bene è forse così che potremmo definire la nuova arrivata. Volevamo tornare alla grande in un mondo in cui Alfa Romeo è sempre stata e che probabilmente per qualche anno si è trasformato in qualcosa di diverso. Siamo tornati alla nostra essenza e al nostro Dna, quello della prestazione e del guidatore al centro, prima con la Giulia e adesso con Stelvio». Al lavoro sul nuovo modello di Alfa, che per stile e meccanica si infila in scivolata e di traverso nel mercato sempre più affollato dei Suv, ma anche dei crossover e perché no in quello delle berline sportive (per prestazioni e per dna alfista), ci si è messo un team allargato di lavoro che ha sfruttato alcune delle numerose possibilità dell’ormai celebre, nel mondo di chi di macchine italiane ne mastica un po’, ‘Architettura Giorgio’, ovvero quella piattaforma di lavoro che ha portato anche alla nascita della recente Alfa Giulia.
Alla guida del gruppo c’è poi da dire che ci si è trovato un personaggio che qualche indizio musicale nel motore della Stelvio dovrà averlo lasciato per forza. L’ingegnere in questione è Roberto Fedeli, responsabile tecnico di Alfa e Maserati e che, per intenderci, è lo stesso che ai tempi in cui lavorava in Ferrari imbracciava anche la chitarra nella Red House Blues Band (tre album all’attivo e rombi vari di motori mischiati alle note del rock blues). «Lo sviluppo della piattaforma Giorgio è stato un momento importante per Alfa – ha spiegato Fedeli – perché ha permesso il recupero di un modo di lavorare che appartiene a nostra storia. Siamo tornati a mettere al centro le prestazioni e l’eccellenza, contando sulle persone che sono dietro al progetto e su un gruppo di giovani appassionati: 250 con meno di trent’anni. Sono il 25 per cento che può influire sulle scelte da prendere ed è numero da record in questo settore. È là sotto che si trovano le idee migliori che consentono competitività. Dopo il lavoro fatto su Giulia li abbiamo rimandati a studiare per rigenerarsi e approfondire alcuni argomenti specifici di cui avremo bisogno. Li abbiamo sfidati assegnando loro alcuni progetti di innovazione perché sono loro che hanno gli occhi per vedere il futuro».
Due, al momento, sono i modelli previsti per Stelvio, un 2.0 benzina con i suoi 280 cavalli (velocità massima 230 e accelerazione da zero a cento km/h in 5,7 secondi) e un 2.2 diesel da 210 cavalli (velocità 215 e da zero a cento in 6,6 secondi). Cambio, automatico ad otto rapporti per tutte le versioni e uno manuale non previsto. «Una versione come il quattro cilindri suona in Si bemolle – dice l’ingegnere-chitarrista – e ricorda qualcosa come un pop, un po’ italiano è un po’ inglese. Il sei cilindri (che arriverà in un secondo momento, ndr), beh, è un’altra cosa e suona invece indiscutibilmente blues».