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I suini, le sirene e Twitter: il basket al tempo dei social

I refresh delle pagine e il ritmo del basket. Una squadra di "maiali" alle prese con un'avventura quotidiana a orari scomodi
La carica di Belinelli durante la partita con la Germania. Fonte: Facebook

La carica di Belinelli durante la partita con la Germania. Fonte: Facebook

Il problema dei tornei nazionali, di qualsiasi sport, a qualsiasi livello, è che il calendario prevede partite negli orari più assurdi. Pomeriggi inoltrati, mattinate di lavoro. Orari strani, parecchio lontani dai comodissimi week-end da italiano medio.

Il basket è uno sport scandito dalle sirene, più che da fischi. A differenza del calcio, il tempo è dato da un’oggettività che misura il tempo. Non si può aspettare di battere il calcio d’angolo, non si può far finire un’azione. Ci sono delle persone a far partire il tempo, ma il regolamento parla chiaro. E il tempo finisce quando suona la sirena. Che sia quella dei 24 secondi, che sia quella di fine tempo, un’entità elettronica superiore fa finire la partita.

Quello che affascina della pallacanestro è che rappresenta un continuo confronto tra uomini e macchine. Ha a che fare con un tempo breve, brevissimo e immutabile. Meglio ancora, chi sta giocando deve fare del proprio meglio in un intervallo di tempo definito. Sono flash, secondi che possono cambiare gli equilibri di una partita.

E qui si scontrano i due grandi problemi di questi giorni: il ritmo frenetico del basket e gli orari delle partite. E no, dai, non possiamo guardare le partite in una finestra microscopica, da nascondere quando passa il capo in ufficio.

Cosa tocca fare, quindi? Un’idea (o meglio, quello che faccio io) potrebbe essere quella dei social, un mondo comodo, che si muove sui ritmi dei refresh, come se fossero delle sirene. Ogni 24 secondi un aggiornamento. Facile e puntuale.

Twitter traduce i ritmi di questo gioco in commenti flash, 140 caratteri bastano per descrivere un’azione. Bastano per aggiornare su punteggio, cronometro e informazioni di base. Basta seguire gli hashtag giusti e si apre un mondo carico di flash direttamente dalle partite.

La palma del migliore, o almeno, del più autentico è #oinkoink. Oink oink?

«Ogni anno Pietro Aradori ci dà un soprannome. L’ultima volta eravamo i “cagnacci”, quest’anno siamo i maiali», racconta Nicolò Melli in un’intervista mattutina, alla radio, con la voce impastata dopo la vittoria con la Germania.

I maiali stanno stupendo, o meglio no, stanno facendo quello che ci si aspettava da una nazionale che in mille hanno indicato come “la nazionale più forte di sempre”.

Ma la nazionale più forte di sempre deve scontrarsi con un Europeo tostissimo, dove tutte le partite si stanno decidendo con scarti minimi. Dove anche l’Islanda può mettere in piedi una squadra arcigna. Ma, finora, il cammino ha avuto solo il micro passo falso (cioè i due punti che mancavano) con la Turchia e il calo abbastanza fisiologico con la fortissima Serbia. Gli “aszszurri”, come li chiamano nelle bizzarre telecronache in lingua tedesca, hanno rialzato la testa da lì in poi, hanno messo insieme una difesa vera che all’inizio doveva essere il loro punto debole.

Ma soprattutto, hanno messo su una mandria di maiali fatta di personalità giganti. Che grugniscono all’unisono.

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