Sono passati 16 anni ma quella notte tra il 21 e il 22 luglio del 2001, a Genova, chi c’era non la dimenticherà mai. Sarebbe bene che non la dimenticasse nessuno. L’irruzione nella scuola Diaz, dove dormivano alcuni dei ragazzi che avevano partecipato alle manifestazioni dei 3 giorni precedenti, segnate da violentissimi scontri e dall’uccisione di un giovane di 23 anni, Carlo Giuliani, poi il trasferimento di quegli stessi ragazzi fermati senza alcun motivo nella caserma di Bolzaneto, dove si verificarono pestaggi e violenze inaudite.
A tutt’oggi quella notte di follia resta inspiegata. Le manifestazioni erano finite. I ragazzi che dormivano alla Diaz, molti dei quali provenienti da Paesi esteri, aspettavano solo di ripartire. I processi hanno confermato che l’irruzione, i pestaggi nella scuola, le torture nella caserma di Bolzaneto erano stati completamente gratuiti, in apparenza del tutto immotivati. Amnesty International denunciò una vera e propria “sospensione dei diritti democratici”, la più grave verificatasi in un Paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale. Il Parlamento europeo indicò e deplorò la “sospensione dei diritti fondamentali” verificatasi a Genova in quei giorni. La stampa di tutto il mondo mosse critiche durissime all’operato delle forze dell’ordine in Italia e chiese chiarezza.
Per i fatti di Genova, e in particolare per le torture a Bolzaneto, nessuno ha mai pagato davvero. Al processo d’appello per Bolzaneto, nel 2010, sono state emesse ben 44 condanne, cadute però nella stragrande maggioranza dei casi in prescrizione. Le sole 7 condanne non prescritte sono state confermate in via definitiva dalla sentenza di Cassazione del 2013. Le pene erano però state nel frattempo quasi totalmente cancellate dall’indulto. La procura di Genova aveva chiesto di contestare ai condannati il reato di tortura che, come l’omicidio, non è soggetto a prescrizione. La Cassazione ha respinto la richiesta per la semplice ragione che in Italia quel reato ancora non esiste.
La settimana scorsa la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha approvato la risoluzione amichevole del contenzioso tra sei delle sessanta persone che hanno fatto ricorso alla Corte per le violenze di quella notte. L’Italia, ammettendo le torture, pagherà a ciascuno di loro 45mila euro. Restano in sospeso gli altri 54 casi. Due anni fa la Corte, a proposito del caso di un manifestante, Arnaldo Cestaro, fermato alla Diaz, emise una sentenza di condanna, affermando che Cestaro era stato torturato già nel corso della perquisizione alla Diaz e che i colpevoli erano rimasti impuniti. Sulla base di quella sentenza, il 13 marzo scorso, il comitato dei ministri del Consiglio d’Europa ha di fatto intimato all’Italia di sbloccare la legge che dovrebbe introdurre il reato di tortura, ferma al Senato dal luglio 2016. Il Comitato dei ministri, infatti ,“nota con preoccupazione che, malgrado le chiare indicazioni fornite dalla sentenza della Corte di Strasburgo, la legislazione italiana non si è ancora ad oggi dotata di disposizioni penali che permettano di sanzionare in modo adeguato i responsabili degli atti di tortura”.
Di quelle “disposizioni penali”, per la verità, l’Italia avrebbe dovuto dotarsi già da un pezzo, da molto prima che la mattanza della Diaz e di Bolzaneto mettesse sanguinosamente in evidenza la portata del problema: da oltre 28 anni, per la precisione. Sono infatti passati più di 28 anni da quando l’Italia sottoscrisse la Convenzione contro la tortura dell’Onu, che nel suo primo articolo impegnava appunto tutti i Paesi firmatari a varare immediatamente un’apposita legge che istituisse il reato di tortura.
Non se ne è fatto niente sino al marzo 2014, quando il Senato approvò finalmente l’apposita legge. La Camera, anche sull’onda delle pressioni di Strasburgo, approvò a sua volta la legge l’anno successivo, ma con alcune modifiche che imposero pertanto il ritorno al Senato, ed è proprio a palazzo Madama che, nel luglio 2016, la legge si è arenata. Lo scoglio principale è tutto in una paroletta, “reiterate”, presente nel testo recapitato dalla Camera e che M5S e Sinistra italiana, ma anche lo stesso Pd, vogliono cancellare.
Nella versione attuale della legge si può contestare il reato di tortura solo se le violenze sono “reiterate”. In questo modo, ad esempio, la difesa avrebbe avuto ottimo gioco nel negare che alla Diaz e a Bolzaneto ci siano state torture dal momento che le violenze, pur se efferate, non erano mica state reiterate. Faccenda di una sola notte. Poche ore di botte.
I numeri per approvare la legge al Senato ci sarebbero stati comunque. Il punto dolente è che del fronte contrario a eliminare la “reiterazione” facevano parte i partiti centristi della maggioranza, capeggiati dal leader dell’Ncd (partito oggi non più esistente) e allora ministro degli Interni Angelino Alfano. Pur di non spaccare la maggioranza e di non irritare troppo Alfano, il governo e il Pd preferirono mettere la legge nel cassetto e dimenticarla lì per mesi.
La settimana prossima, dopo questa lunga “pausa di riflessione” e soprattutto dopo la pressione aperta del Consiglio d’Europa, la legge dovrebbe tornare nell’aula del Senato. Non succederà. Nel frattempo sono infatti arrivate le nuove norme sulla sicurezza urbana varate dal successore di Alfano, il ministro Minniti, e quindi la tortura dovrà slittare. Poco male, una legge che ha già aspettato 28 anni può ben pazientare ancora un paio di settimane. Purtroppo non è affatto detto che quel paio di settimane basti.
Il governo sta infatti considerando l’ipotesi di sbloccare il braccio di ferro inserendo di suo alcuni nuovi emendamenti e riportando la legge in commissione Giustizia. A quel punto l’intero dibattito ricomincerebbe da zero e le chances di approvare la legge prima della fine della legislatura, che arriverà al più tardi nei primissimi mesi del 2018, caleranno vertiginosamente e se ne riparlerà nella prossima legislatura. Forse.