Il Guardian ha pubblicato un intervento di John Foot (apprezzato collaboratore, tra gli altri, di Internazionale e molto esperto di dinamiche italiane) in cui tratteggia il personaggio di Donald Trump mettendo in guardia l’elettorato americano: un ‘caso Trump’ c’è già stato, il suo nome è Silvio Berlusconi; non trattatelo come un buffone, l’Italia lo ha sottovalutato e per vent’anni non ha riso più nessuno. E le somiglianze sono inquietanti – due narcisisti ossessivo-compulsivi, talmente assorbiti dalle rispettive auto-narrazioni da aver piegato la realtà al proprio disegno e al proprio desiderio, due finti-tycoon sulla cui fortuna si raccontano grandissime luci e profondissime ombre. Due persone talmente convinte della propria “eccezionalità” da poter pensare da incorporare i sogni, le speranze e il ‘rimosso’ di un intero paese (su questi temi, se volete approfondire, leggete La bolla di Curzio Maltese e Citizen Berlusconi di Alexander Stille).
John Foot ha sostanzialmente ragione e disegna un parallelo perfetto. Soprattutto, sottolinea molto bene come opporsi a fenomeni come Trump e Berlusconi con le armi della ragione sia pressoché inutile. Se siamo nella post-truth society (e lo siamo), il movimento dell’elettore non è dato da un pensiero logico. Trump si muove in modo goffo e disordinato, afferma tutto e il contrario di tutto, ha un problema con le donne e qualsiasi categoria che lui considera inferiore (gli immigrati, ad esempio), non si fa nessun problema a ritrattare, a negare anche l’evidenza e disegnarsi come vittima del sistema. Esattamente come Berlusconi e come qualsiasi altro politico di matrice post-ideologica e populista capace di usare proprio il sistema come attacca per guadagnare consenso personale. In questa logica, non ci sarà mai gaffe, figuraccia e sparata che farà perdere punti al candidato. I problemi di Trump col suo maschilismo e le donne – esattamente come il rapporto di Berlusconi con l’universo femminile – non porteranno consensi a Hillary Clinton. Il voto non segue più una dinamica razionale, ma empatica: si vota con l’istinto, con la pancia, a simpatia. La politica della post-truth society è quell’enorme spettacolo che gli studiosi della televisione chiamano infotainment. In questo contesto i fatti non esistono (e, parafrasando il filosofo Maurizio Ferraris, non esistono più nemmeno le interpretazioni). Esiste solo un movimento ‘emozionale’ in cui l’importante è costruire il più grande spettacolo del mondo che vive nel presente e per il presente.
Quello che però John Foot fa passare in secondo piano (e possiamo specificarlo perché, insomma, da Berlusconi ci siamo effettivamente passati) è il differente contesto che ha permesso l’emergere così prepotente di Berlusconi rispetto all’attuale exploit mediatico di Donald Trump.
Berlusconi e Trump sono due risposte a una domanda di crisi della politica e delle istituzioni come concetto “responsabile”. Se però Trump solletica il basso ventre degli Stati Uniti ‘diseredati’ con la narrazione di un paese più americano, Berlusconi ha costruito il suo successo lavorando ai fianchi dell’anima profonda dell’Italia. Berlusconi non è stato un fenomeno politico, ma un fenomeno psichico e sociale. La politica è stata la sua ultima ‘impresa’ dopo aver di fatto disegnato il paese in cui una persona come lui avrebbe potuto (e voluto) governare. Berlusconi è stato prima di tutto il costruttore di un nuovo ‘spazio mentale’ attraverso televisioni che hanno liberato il corpo e la mente di un paese intrinsecamente conservatore ma da sempre animato da una sottile e pruriginosa perversione. Il suo racconto di ‘un nuovo miracolo italiano’ puntava sulla riscossa di un’Italia distrutta suo malgrado dagli scandali della politica. Se Trump dice ‘make America great again’, Silvio dice ‘Forza Italia’ senza nessun again: siamo già grandi e dobbiamo solo volerlo (perché volere è potere: la realtà non esiste).
Donald Trump, bravissimo a vendere il proprio marchio oltre ai suoi (relativi) meriti imprenditoriali, è un uomo di spettacolo che sta scommettendo molto forte: una mano di poker che fino alla fine non sapremo se si tratti di un bluff o meno. Secondo Michael Moore, Trump non vuole diventare veramente Presidente ma alzare il suo valore d’ingaggio per i suoi futuri impegni televisivi. Paradossalmente, questo atteggiamento è molto più pericoloso perché (1) sta correndo per guidare la più grande nazione del mondo; (2) avrebbe la valigetta coi codici per le testate nucleari. Berlusconi, nella sua totale negazione di qualsiasi pensiero razionale e complesso, si muoveva in un orizzonte che aveva sì la sua personale salvaguardia al centro, ma anche un indubbio progetto politico. Trump agisce semplicemente come ‘reazione’, una politica del capriccio, la risposta post-post-moderna al ‘presente permanente’. Berlusconi ha costruito il contesto mentale (il frame, lo chiamano gli studiosi) in cui metterlo in piedi, questo presente permanente.
Questo per dire che Trump non produrrà niente al di fuori di se stesso. La sua ipotetica vittoria (che, lo specifico, sarebbe una CATASTROFE) non darà il via a nessuna corrente di pensiero mentre Berlusconi ha costruito il berlusconismo. Trump agisce già dentro una corrente di pensiero (un mix di white trash, Tea Party e libertarianesimo in salsa iper-maschilista e vitalista) e non ha la forza strutturale per agire sulle vene profonde del suo paese come invece ha fatto Berlusconi. La sua risposta, per quanto idiota, durerà un tempo limitato. Speriamo non faccia troppi danni e che nessuno da noi prenda il suo esempio, che ne abbiamo abbastanza di buffoni che ambiscono a diventare Re.