Fa male alla salute, mentale e fisica, e danneggia i rapporti con la famiglia e con gli amici. Eppure 71 lavoratori italiani su 100 rispondono a telefonate, email e messaggi di lavoro anche fuori orario. Sono al terzo posto nella scala dei più connessi in Europa: il 6% in più rispetto alla media globale si porta a casa il lavoro, secondo l’indagine Randstad Workmonitor sul work-life blend. Sembra quasi che essere sempre online e a disposizione sia un modo per dimostrare la propria professionalità.
Il prezzo, però, è alto, come dimostra una ricerca dell’University of South Australia. Il team – da giugno a novembre 2020 – ha intervistato più di 2200 dipendenti di 40 università. E ha riscontrato elevati livelli di stress e una notevole quantità di mail e messaggi fuori orario. Il 21% degli intervistati aveva capi che si aspettavano una pronta risposta a messaggi, chiamate e mail oltre l’orario, il 55% mandava comunicazioni che riguardavano il lavoro, la sera, ai colleghi, e il 30% inviava mail e messaggi di lavoro ai colleghi anche nei weekend, rimanendo in attesa di una risposta in giornata.
I dipendenti che sapevano di avere capi che si aspettavano una risposta fuori orario ai messaggi di lavoro, rispetto agli altri, hanno livelli più elevati di disagio psicologico (70,4% rispetto al 45,2%) ed esaurimento emotivo (63,5% rispetto al 35,2%). Hanno anche riportato più problemi fisici, come mal di testa e mal di schiena (22,1% rispetto all’11,5%).
Ma non sono solo i capi oppressivi a rovinare salute e umore. Anche i dipendenti che ritenevano di dover rispondere ai messaggi di lavoro dei colleghi di sera e nel fine settimana, rispetto a chi non si sentiva in dovere di farlo, hanno riferito più disagio psicologico (75,9% rispetto al 39,3%), esaurimento emotivo (65,9% rispetto al 35,7%) e problemi fisici (22,1% rispetto al 12,5%).
Quando i confini tra casa e lavoro sono sfocati, le conseguenze sono serie. Ed è anche più difficile recuperare l’energia persa, sia quella mentale che quella fisica, e riposarsi: essere in un costante stato di ipervigilanza -in attesa di notifiche di lavoro – può influenzare il metabolismo e il sistema immunitario, rendendo più vulnerabili alle infezioni, all’ipertensione e alla depressione.
Un altro problema è che pensare al lavoro fuori orario riduce anche il tempo necessario per le attività che servono per mantenere la salute fisica, ma soprattutto quella psicologica: vedere gli amici, fare esercizio fisico e stare a contatto con la natura.
E quindi? In Italia (ma anche all’estero) alcuni gruppi aziendali e grandi imprese, i colossi bancari come le assicurazioni, gli operatori telefonici e le società per la produzione alimentare, hanno già istituito norme a difesa del «diritto di disconnessione», per impedire ai capi di mettersi in contatto con i dipendenti quando non è ora di farlo, e ai colleghi di infastidire gli altri. Un decreto legislativo del marzo 2021, dopo la conversione in legge, ha riconosciuto il diritto alla disconnessione da strumentazioni digitali per l’attività lavorativa in smart working e per il pubblico impiego. Ma quello che nessuna regola può cambiare – e questo sembra essere il problema principale – è la mentalità che spinge sempre più persone a sentirsi in colpa se decidono di non lavorare quando non è ora.