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Scrivere il nostro tempo prima che lui scriva noi, al premio Dubito 2023

L'undicesima edizione della manifestazione dedicata ad Alberto Dubito si è conclusa sabato al Cox18 di Milano. Un racconto tra punk milanesi, cantautori statunitensi, poeti cileni e giovani performer
La premiazione del premio Dubito 2023

Credits: Alessandro Zambon

Oltrepassata l’imponente parete decorata dal murale di Blu, accediamo al cortile aperto che ci accoglie al Cox18, spazio occupato dal 1976 e punto di riferimento della controcultura milanese, a pochi passi dai Navigli. Proseguendo a destra, nella sala che si sta riempiendo di persone, sentiamo i bassi potenti e le parole di un rapper che canta in italiano, con un testo che parla di controllo digitale e di antifascismo. Il pezzo è Disturbati Army, brano dei Disturbati dalla CUiete, e la voce che sentiamo è quella di Alberto Dubito. Quando è stato pubblicato il disco che lo conteneva, nel novembre del 2012, Alberto non c’era più. Aveva deciso di andarsene, qualche mese prima, lasciando una lettera di addio alla sua famiglia e alcuni hard disk con poesie e testi di canzoni. Lasciando tutti, famigliari, i tanti amici, il compagno di band Davide Tantulli, Sospè, attoniti, a interrogarsi per anni, a cercare di darsi una spiegazione. Costretti a sapere che non sarebbe mai arrivata.

 Ma l’energia rabbiosa di Alberto, la sua ironia, i testi profondamente poetici e politici di un duo di ragazzini che a vent’anni aveva già realizzato album, singoli, videoclip, una collaborazione con un programma TV di La7 (e tutto questo in un periodo in cui della musica rap non interessava a nessuno), in qualche modo si era propagata, aveva assunto forme che nessuno si sarebbe aspettato.

 Di quello che è accaduto a Treviso, la città di Alberto, la mia città, ho già scritto tempo fa in un lungo articolo per Vice, che oggi fa parte anche di un libro. La rabbia dei suoi amici, che al rifiuto dell’amministrazione leghista di concedere uno spazio per una commemorazione pubblica di un ragazzo amato perché rapper, poeta, leader del movimento studentesco, si trasforma nella spinta a prenderselo, questo spazio, con decine di occupazioni temporanee in diversi edifici abbandonati in città, fino alla nascita del centro sociale Django, spazio in cui convergono movimenti ambientalisti e femministi, ma anche chi si occupa di diritti dei migranti e gruppi artistici.

Foto: Alessandro Zambon

La famiglia di Alberto – il papà, la mamma e il fratello Lorenzo – decidono parallelamente di ricordare Alberto istituendo un premio che porti il suo nome. Un concorso dedicato alla poetry slam, cioè una gara tra autrici e autori che recitano in versi, in una forma poco ortodossa che include anche il rap e la poesia accompagnata dalla musica. A dare forma all’iniziativa vengono in aiuto il poeta Lello Voce, professore di Alberto alle scuole superiori, che lo aveva indirizzato a partecipare a competizioni di questo tipo (e in cui, come si può immaginare ascoltando le sue canzoni, Alberto Dubito era imbattibile), e la casa editrice milanese Agenzia X, con cui i due fratelli erano in contatto da tempo e che pubblicherà poi una raccolta con tutti i testi di Alberto e dei Disturbati, Erravamo giovani stranieri.

 

Il Premio Dubito, che da undici edizioni si svolge in due serate, la prima a Treviso ogni 24 aprile (data in cui Alberto è morto) e poi a Milano, a dicembre, dove si tiene la finale, ha di fatto creato un piccolo movimento italiano legato alla poetry slam, coinvolgendo ogni anno giovanissimi partecipanti che nei versi recitati trovano una forma di espressione ricca e fluida, sperimentando con i testi e mescolando generi musicali molto diversi. Eels Shous, Voltus, Gabriele Stera, Astolfo 13, Monosportiva Galli Dal Pan, Kyotolp, sono i nomi di alcuni dei vincitori di questi anni. La famiglia di Alberto, fin dalla prima edizione, ha deciso di donare anche un premio in denaro a supporto dei progetti più meritevoli.

 

Sarà una serata lunga. Sul palco, per primo, sale lo scrittore Hermann Esselunga, «il più grande poeta della grande distribuzione», con il surreale dialogo tra un nichilista e un capitalista, in un mix molto divertente tra italiano e inglese. Subito dopo, in un collettivo improvvisato, lo storico del movimento operaio Sergio Bologna, che oggi ha 86 anni, reciterà un pezzo trap, in omaggio a Toni Negri e a Mario Tronti, punti di riferimento del pensiero operaista, entrambi scomparsi quest’anno. Il testo, scritto al volo alla notizia della morte di Toni Negri, parte dalla vicenda degli oltre 400 licenziamenti degli operai della GKN via mail o con messaggi su WhatsApp.

 

La stessa app di messaggistica torna poco dopo, con l’intervento di Laila Sit Aboha, che fa parte del collettivo dei Giovani palestinesi d’Italia. Tutti fanno silenzio mentre lei legge le sconvolgenti testimonianze che la popolazione sotto assedio a Gaza invia impotente attraverso il proprio smartphone. «La casa è piena come una scatola di sardine». «Stanno uccidendo intere famiglie». «Da ieri si fanno operazioni senza anestesia». «Intorno a me sono morte tante persone». «I bambini sono invecchiati molto la scorsa settimana». «Non posso credere a quello che sto vedendo». «Se dovessi morire, tu devi vivere. Per raccontare la mia storia». «Scrivono i nomi dei figli sulle gambe, per rendere possibile l’identificazione. Le nostre gambe racconteranno la nostra storia». In poche parole, ci appare davanti agli occhi la brutalità inimmaginabile che un intero popolo sta subendo. Subito dopo, sale sul palco Dalal Suleiman, attivista di origine palestinese, che reciterà alcune sue poesie accompagnata dalle musiche di Canio Loguercio. Il suo è appello a non perdere la speranza: «Noi insegniamo la vita anche dopo che loro ci hanno occupato l’ultimo cielo».

 

«Mi piace qui, mi ricorda il CBGB», dice sorridendo Eric Andersen, sedendosi con in mano la chitarra acustica, a fianco della moglie che lo accompagna nella sua breve esibizione, la cantante olandese Inge Andersen. Sarà perché al Cox18, come nei migliori locali di qualche tempo fa, tutti fumano dentro. Andersen, 80 anni portati splendidamente, è un nome importantissimo tra i cantautori statunitensi, protagonista della scena folk del Greenwich Village, amico e autore di brani cantati da Bob Dylan, Johnny Cash, Grateful Dead. In un set breve e intensissimo riesce a far calare in pochi istanti la magia sul pubblico presente. La sua presenza qui è dovuta a un’altra intuizione dello staff del premio, che parallelamente ha istituito, in collaborazione con l’università Ca’ Foscari, una sezione internazionale, con un riconoscimento alla carriera conferito finora all’autore afroamericano Ishmael Reed, al poeta cileno in lotta contro la dittatura di Pinochet Raul Zurita, e allo sperimentatore Giovanni Fontana.

 

Ed eccoci, finalmente, alle esibizioni del premio Dubito. A presentare gli artisti ci sono Matteo Di Genova, vincitore del premio nel 2017, e Wissal Houbabi, artista italo-marocchina finalista nel 2019, che dal palco invita a unirsi al suo urlo «Palestina libera».

Credits: Alessandro Zambon

Quest’anno io faccio parte della giuria del premio, insieme a una trentina di giornalisti, critici musicali, musicisti, poetesse e autori, ex-vincitori del premio. Sono 99 i partecipanti che si sono iscritti alla competizione, dai background più vari, espressi dai diversi percorsi dei nomi arrivati fino alla finale. Dopo una preselezione che ha scremato 14 artisti, abbiamo votato i 5 finalisti di questa sera sulla base di tre soli brani più l’intenzione artistica. Siamo tutti curiosi di sapere se i voti che abbiamo dato finora rispecchino il valore di chi si trova oggi a esibirsi dal vivo. Per sapere il vincitore, sarà il pubblico a votare: attraverso la sala girano dei bigliettini con i nomi dei finalisti, chi è qui può esprimere la sua preferenza. Vediamo.

 

Parte Emina, rapper milanese che è anche danzatrice hip hop. Il groove non è niente male, con quell’andamento morbido ispirato dal mondo r’n’b. Dopo di lei c’è il duo formato da Tirgan e Fantini, un progetto di spoken word più teatrale, una performance in cui i due interagiscono alternando canto e versi recitati, in una strana preghiera che chiede «Padre nostro, proteggici dal posto di blocco».

Credits: Alessandro Zambon

 Tocca a Matteo Gorelli, ragazzo toscano che vive a Milano, che si è focalizzato sulla scrittura dopo essere stato arrestato. «Io rappresento il gabbio, rappresento tutti gli esclusi»: la sua energia è viscerale, arriva dal profondo, il dolore che riesce a mettere in parole e versi è autentico e intenso, come nel brano in cui chiama ripetutamente «Mamma». Sul palco è magnetico, ricettivo, sa interagire con il pubblico. A volte è un po’ strabordante, provoca. Ma il suo talento è davvero notevole.

 

Il set dei BumBumFritz è divertente, con quei loro testi surreali e raffinati, l’incontro tra un attore e musicista che dipingono un mondo assurdo quando vero. E poi, a chiudere le esibizioni, c’è Thybaud Monterisi, autore italo-belga che nella fase di selezione era stato il mio preferito, l’unico a cui avevo dato il massimo dei voti: basi electronoise potentissime e testi ricercati, in un connubio perfetto tra musica e parole.

Credits: Alessandro Zambon

Bene, ora tocca alla giuria popolare. Nell’attesa di conoscere i vincitori del premio Dubito di quest’anno, il DJ e scrittore Pablito el Drito si occupa della musica, con una serie di pezzi che vanno dai Run Dmc alla techno. In un frenetico caos si raccolgono i voti, fino a che Marco Philopat, la mente dietro Agenzia X, e Lello Voce salgono sul palco, chiamando a raccolta i finalisti. A vincere sarà Matteo Gorelli, la cui potenza evidentemente ha colpito i molti presenti. Invitato a cantare l’ultimo brano, ci sarà un po’ di scompiglio, qualche provocazione che va troppo in là, fino a che verrà portato giù dal palco. Nei giorni successivi ci saranno le scuse di Matteo Gorelli, che ha comunque vinto meritatamente per la sua poetica e il mondo che è riuscito a trasmettere in pochi brani.

 

A un certo punto, durante la serata, viene trasmesso il videoclip di un pezzo dei Disturbati Dalla CUiete, Non c’è più tempo. È un testo potentissimo, accelerato, che si è rivelato tristemente profetico, dove Alberto Dubito scrive «Se muoio giovane spero sia dal ridere, ti dicevo, di quanto brucio più in fretta di voi», e dove c’è quel verso «Devo scrivere il mio tempo prima che lui scriva me», che esprime tutta l’urgenza che ha riversato nella musica, nella poesia, nella sua vita che è stata un’incessante e incontenibile ricerca di senso e di legami.

Credits: Alessandro Zambon

Una cosa bella è che molti dei suoi brani saranno reinterpretati in un disco che uscirà nel 2024, cui sta lavorando Davide Sospè, l’altra meta dei Disturbati Dalla CUiete, con un collettivo che si chiama Disturbati Altri, di cui fanno parte molti dei progetti vincitori del premio Dubito di questi anni.

 

La serata prosegue ancora, ormai è notte. Federico Dragogna, chitarrista dei Ministri, canterà alcuni suoi pezzi acustici, mentre Gaja Ikeagwuana e Laura Amponsah presenteranno una intensissima performance ispirata a Audrey Lorde, la poetessa e attivista nera, femminista e lesbica.

Credits: Alessandro Zambon

Io nel frattempo mi chiedo quanti, qui dentro, abbiano conosciuto di persona Alberto. Pochissimi, quasi nessuno. Chissà cos’avrebbe pensato di tutto questo, degli spazi occupati, di un premio che porta il suo nome. Qualunque fossero le sue intenzioni, il messaggio è arrivato, si è trasformato, ha preso tante strade inaspettate. C’è vita qui, e dalle periferie arrugginite ha percorso più di mille miglia, per raggiungere punk milanesi, cantautori statunitensi, poeti cileni, giovani performer che provano a raccontarsi attraverso la poesia. Quanta forza possono avere le parole giuste.

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