Le fanzine, dette anche zine, sono un tipo di pubblicazione circoscritta per numero di copie, numero di persone alle quali si rivolge, nonché per la metodologia di realizzazione, basata sul DIY, ossia il fai da te, e spesso sono rappresentative di cosiddetti movimenti ed estetica contro culturali. Particolarmente diffuse tra persone appassionate di fumetti e musica – in particolare punk – negli ultimi anni sono tornate particolarmente di moda, tant’è che l’anno scorso è persino uscito il volume Out of the Grid. Italian Zines 1978-2006, una raccolta di 400 pagine che racconta e mappa le fanzine italiane dalla fine degli anni ’70 agli inizi del 2000. Come raccontava Giulia Giamberardino in un articolo, grandi marchi di moda come Bottega Veneta, Marc Jacobs, Loewe e altri brand di lusso hanno fagocitato questa modalità di presentarsi e raccontare le proprie creazioni, non senza successo. Anche noi non siamo stati da meno.
In questi anni ho tenuto sott’occhio una zine chiamata Cavie Project fondata da Paolo Coppolella, la cui storia mi sembra la sintesi perfetta tra controcultura e mondo della moda, non fosse altro perché Coppolella ha un background nei movimenti antagonisti e successivamente ha fatto carriera nel mondo del fashion con uno stile molto personale e originale. Cavie è passata dall’essere una semplice zine a una vera e propria casa editrice senza perdere lo slancio degli inizi. Abbiamo così fatto qualche domanda a Coppolella
Perché hai realizzato Cavie?
La prima fanzine Cavie Project nasce 7 anni fa dall’esigenza di riportare su carta i miei scatti realizzati in analogico. È una miscellanea dove ambienti desolati, ritratti, nudo, street photography e non sense si combinano in modo armonioso grazie al lavoro editoriale a quattro mani con Milo Mussini, che è un caro amico nonché interior designer. Non aveva una periodicità e non sapevamo nemmeno se avrebbe avuto un seguito. Abbiamo stampato 150 copie numerate a mano con una rilegatura in totale fanzine style, ma la curatela era degna di un libro o un buon magazine. Il progetto era totalmente autofinanziato nello spirito DIY. Attualmente è felicemente sold out e non abbiamo nessuna intenzione di ristamparla.
L’idea di aprire una casa editrice omonima è il tentativo di allargare gli orizzonti in termini di distribuzione, aspetto, soggetti fotografici? Cosa cambia, eventualmente, con questa trasformazione?
Dopo quella prima zine, che è la mia comfort zone per il mio lavoro fotografico – sono cresciuto nella controcultura, dove per sapere di musica, politica, fumetti, letteratura, eccetera ti nutrivi delle autoproduzioni –, io e Milo abbiamo deciso di definirci collettivo di editoria indipendente. In un paio di anni sono seguite altre pubblicazioni sempre concentrate sui miei scatti: Cavie Project 2, seconda miscellanea, e le monotematiche The Wall 1 e 2, LeftOver 1 e 2.

Foto: Paolo Coppolella
E Cruda…
Due anni fa, insieme a Senza Futuro Studio di Torino con il quale collaboro da tempo, abbiamo deciso di fare una call e creare una zine collettiva, Cruda, per cui ho selezionato il lavoro di 36 fotografi su oltre 100 progetti arrivati da tutto il mondo. Solito formato, solita rilegatura, 68 pagine molto intense e decisamente vietate ai minori, dove fotografi completamente diversi tra loro per stile e background raccontano attraverso la fotografia cosa è crudo dal proprio punto di vista. Abbiamo prodotto 50 copie numerate che sono finite molto in fretta. Il processo creativo, i feedback di fotografi e acquirenti e la voglia di uscire dalla mia professione principale per dedicarmi anche ad altro, mi hanno fatto pensare che sarebbe potuto esserci uno spazio per iniziare a produrre anche il lavoro di altri. Ho iniziato a guardarmi intorno per cercare profili adatti a quella che volevo fossero sia l’estetica che il racconto narrativo di Cavie. Gli autori internazionali pubblicati sono uno più incredibile dell’altro, autentiche leggende, una su tutte Gavin Watson. Poi ci sono artisti come per esempio Mike Spears e Lilia Carlone e altri alla loro prima pubblicazione come Sharon Ne, Bagni Misteriosi e Valeria Bissanti. Il passo successivo è stato semplice: dedicarmi a tempo pieno a Cavie Project che è diventata ufficialmente una casa editrice specializzata in fanzine fotografiche. Per me è bello e importante aver mantenuto lo stesso nome per un progetto del genere, molto più ampio, un po’ come ricordare le proprie origini ma sempre con lo sguardo al futuro.
Sembra successo tutto molto velocemente. E ora?
Di recente abbiamo fatto uscire la call per la fanzine collettiva Cruda III, aperta fino al prossimo 15 Aprile, sempre in collaborazione con Senza Futuro Studio. Normalmente riceviamo circa un centinaio di proposte, poi seleziono i migliori scatti per far uscire una zine di 60-68 pagine massimo. La presenteremo a Maggio e saranno solo 50 copie numerate a mano, una vera chicca per collezionisti. Ora abbiamo invece appena pubblicato The Others, la zine di Lulù Withheld sulla raccolta di fototessere di estranei o vecchi amici, presenti nel suo immenso archivio anni ‘90.
Sembra che le cose stiano girando bene per voi.
Stiamo anche iniziando a sviluppare prodotti che, partendo dalla fotografia surreale o di nudo, diventano oggetti da collezione ma anche di uso quotidiano come il set di 5 sottobicchieri ognuno con foto diverse ma sempre audaci.

Foto: Attilio Solzi
Come individuate e reclutate chi e cosa pubblicare?
Da appassionato, faccio costantemente ricerca, tendenzialmente cerchiamo l’autore adatto e gli proponiamo la collaborazione lavorando in prima persona sul suo archivio, ma devo dire che ormai riceviamo anche tantissime candidature, alcune più in linea di altre. Quelle che ci emozionano e che ci colpiscono vengono messe in agenda.
Non sei un fotografo professionista e scatti solo con una macchina fotografica compatta: come mai? Affezione, ortodossia a un tuo stile, altro?
Non essere un fotografo professionista mi perseguita da tanto tempo, una sorta di sindrome dell’impostore, a maggior ragione quando sono gli altri fotografi a non considerarmi tale. Nulla di grave, ma forse inconsciamente è uno dei motivi che in questo momento mi fa preferire produrre il lavoro di altre persone anziché il mio. Il mio rapporto con la fotografia è morboso e viscerale, è amore puro a ogni livello, perciò poco importa che lo scatto sia mio o di un altro autore. Col tempo ho capito che quelli che inizialmente erano miei limiti tecnici potevano diventare un valore aggiunto, una sorta di cifra stilistica, quindi, sì, continuo a scattare solo con compattine analogiche e a fregarmene della luce, usando quella naturale e il flash. Per quanto riguarda i soggetti sono molto ciclico e mi lascio trasportare dalle sensazioni del momento: per oltre un anno ho praticamente scattato solo nudo erotico, per mesi ho passato le nottate sui bus della linea 90 di Milano a fotografare la fauna notturna, non senza pericoli. Ho fotografato diverse campagne pubblicitarie per uno dei miei vecchi progetti legati alla moda e allo streetwear. Torno al nudo quando un progetto mi appassiona oppure agli spazi desolati della campagna padana. Ho prodotto due fanzine piene zeppe di oggetti assurdi trovati per strada a ogni ora del giorno e della notte durante i miei viaggi o vagabondaggi. Posso dire che vale quasi tutto, purché fatto con la compattina che porto sempre con me. Inoltre la cifra stilistica, almeno nel mio caso, è data anche dal fatto che non faccio post produzione. Spesso è one shot e quel che viene, viene.