A Sanremo la sera non c’è in giro nessuno, neanche il fantasma di Tenco, emigrato da qualche parte nel metaverso a diffondere il suo spleen. Noi inviati, corrispondenti, autori, giornalisti e addetti ai lavori, isolati nel compound con colazione a buffet dei decadenti alberghi sanremesi, siamo stati anni luce a distanza dall’evento Festival. È solo una questione di Covid, o sono le prove generali di futuri show fuori dalle mappe di Google, virtuali e reali come le lacrime di Damiano e i vestiti di Orietta Berti? A pochi giorni di distanza dalla sfilata di Dolce e Gabbana in Arabia Saudita, che pareva una distopia anni Settanta di Superstudio, la sensazione è che la mondanità – dalle feste al Morgana, ai concerti alle quattro del mattino al Forte Santa Tecla – non sia più un elemento funzionale alla riuscita della kermesse: bastano gli spettatori dell’Ariston, quasi in tutti in età pensionabile, dei freak appollaiati alle transenne del green (ex red) carpet, e soprattutto i milioni di telespettatori, mai così tanti ad alzare lo share verso l’assoluto. Come scrive su Twitter il collega Giorgio Cappozzo – compagno nella desolazione di questa settimana sanremese – “a questo punto il tema non è quante persone abbiano visto Sanremo 2022, ma cosa abbiano fatto gli altri”.
Quindi, cosa è successo a Sanremo? Niente, se non quello che avete visto in tv: i cantanti rilasciavano interviste dalle loro camere d’hotel, spesso customizzate con due lire a mo’ di piccoli studi tv, nutrendosi di servizio in camera e Just Eat. I discografici nelle pause si mangiavano uno spaghetto ai ristoranti del porto. In sala stampa, ai minimi della capienza, c’erano sempre i soliti, tipo Muppet Show, ma triste. L’unico giornalista buono che ho incontrato era senza pass per il Casinò (nuova sede della sala stampa, sfrattata dal piano alto dell’Ariston dove ora ci sono i camerini) e faceva jogging sul lungomare. Ci siamo seduti a fare due chiacchiere, concludendo che tanto valeva andarsene in Costa Azzurra a seguire il Festival, smart working tropicana ye.
E la sera, quando partiva la diretta? Quasi tutti rimanevano in stanza, a scrivere pagelle ironiche, post sagaci sulla polemica del giorno (Zalone sì Zalone no) con Rai 1 che – scherzo della sorte – frizzava per problemi di sintonizzazione. Altri raggiungevano i ristoranti intorno all’Ariston, tavoli prenotati davanti al megaschermo, i gamberi di Sanremo a la plancha, tortino di carciofi, del Pigato ma senza esagerare che tanto che ti sbronzi a fare. Qualcuno si alzava dal posto a metà pasto – per una diretta Twitch, una battuta in radio, una comparsata in qualche live dal profondo di YouTube – poi tornava per il caffè, decaffeinato naturalmente. Si tornava in stanza attraversando via Matteotti, illuminati dalle luci della nave da crociera Costa Toscana al largo, canticchiando Mahmood e Blanco “e ti vorrei amare, ma sbaglio sempre”, canzonetta sofisticata che porta tutto il peso addosso della mancanza di vita negli ultimi due anni. C’è voglia di casino, ma ci si accontenta delle coreografie su TikTok del pezzo de La Rappresentante di Lista, o della cassa semi dritta di Dargen D’Amico. Nessuna notizia di party illegali in stanze d’hotel, erotismo relegato alle performance dei cantanti in gara, giusto un po’ di movimento di escort riportato da Dagospia e dei rumori di performance all’Hotel Des Anglais, dove si svolgeva un festival parallelo, trash e demodé, di nuove proposte improponibili.
La normalità, invocata e costruita ad hoc da questo Sanremo, non esiste più. E al Festival è come se non ci fossi stato. Insomma: Niente e nessuno, dirige il maestro Beppe Vessicchio.