Giovanni Robertini: Diciamolo subito, anche quest’anno non siamo andati al Primavera Festival. Non ho manco più la FOMO, mi accontento di leggere i tweet di quelli che dicono che vent’anni fa era meglio – te credo, c’avevi vent’anni di meno, compagno boomer – o la cronaca minuto per minuto di Mattia Barro qui su Rolling Stone Italia, uno di noi – certo, più giovane – a basso tasso di retromania nostalgica per band di maschi bianchi europei di mezza età, e con le orecchie puntate verso i palchi minori, afro, queer, k-pop, drill. Quando Mattia scrive di un “collettivo multietnico cloud rap svedese” ho un brivido di fiducia nel futuro. Scopro che i Blur li puoi vedere pure su Amazon, tra una puntata di LOL e un partita di Champions, purtroppo senza televoto e senza Amadeus, ma rimedieremo. Perché se il futuro sarà sanremizzare il Primavera o primaverizzare Sanremo noi saremo sempre e comunque da un’altra parte, senza pass, senza social, senza un euro, magari con una Peroni da 66 a San Calisto come i ragazzi di Lovegang, o a Peschiera Borromeo con le squalo ai piedi e senza un piano B. Come i pochi maranza che si sono ritrovati lì senza sapere che il raduno del 2 giugno era stato annullato, per la felicità di Salvini. Chissà, forse avevano i cellulari spenti, nessuno li ha avvisati, si sono trovati davanti gli ultras dell’Hellas Verona, più maranza di loro, che li hanno spediti a casa in malo modo. Come al Primavera Festival tutto sta nel palcoscenico che ti scegli: main stage, palco minore, nessun palco.
Alberto Piccinini: Verissimo. Intanto, la filosofia del maranza è che c’è sempre qualcuno più maranza di te. Quanto al Primavera Festival cosa vuoi sarà l’età, la sciatica che si fa sentire dopo un quarto d’ora in piedi, l’insofferenza per le folle e la Barcellona ipergentrificata senza nemmeno più la sindaca compagna Colau, ma a me non mi appassiona. La settimana scorsa ho visto due concerti: Marlene Ribeiro e gli Wow. Chilometro zero, pubblico meno di cinquanta. Lei è una solitaria musicista elettronica brasiliana tutta giungla elettronica, Quarto Mondo e field recordings, in sala ci conoscevamo quasi tutti, mi ero messo comodo e già che era tardi ho schiacciato un pisolino. “Ce ne fai un’altra?”, ha chiesto uno a Marlene dopo mezz’ora. E lei: “No, dai”. Ciao. Ciao. Gli Wow sono una via di mezzo tra Moldy Peaches e Rosanna Fratello, chitarra e voce fanno coppia anche nella vita, avevano tentato di fare il botto indie dieci anni fa ma forse non erano abbastanza Colapesce. Troppo delicati, concettuali, intimi. Tipo quando al bar intercetti una conversazione al tavolo accanto e poi ripensi ai cavoli tuoi. Loro suonavano al tramonto in quella bottega di buone vibrazioni che si chiama Pescheria, sta sotto casa e infatti avevano portato la pupetta appena nata che giocherellava sul tappeto. Ecco: io ho un debole per questo stile neo freak tipo Re Nudo ’71-’72, Franco Battiato che porta in spalla il suo synth su per la montagna diciamo. Magari è un po’ fuori moda. Ma penso anche che l’aria da arrivano i colonnelli che quest’anno abbiamo respirato il giorno della parata del 2 giugno tra frecce tricolori, paracadutisti della Folgore e altri brutti ceffi, meriti risposte. Almeno un esorcismo, un gesto
GR: Vorrei tornare velocemente sulla questione “maranza”. Difficile trovare in rete una definizione esatta, come per ogni subcultura giovanile che si rispetti. Tocca chiedere in giro, io l’ho chiesto direttamente a un mammasantissima dell’ambiente, Baby Gang. Secondo lui i maranza che vediamo su TikTok non sono quelli veri, gli originali “marranni” o “marranza” stavano nei boschi a spacciare o nelle stazioni a bere il caffè nel bicchierino di plastica e fumare sigarette a gambe incrociate, ma non esistono più. Quelli di oggi con il borsello, la tuta e i capelli con i riccioli sono solo tamarri. Capisci comunque che la distinzione tra l’originale e l’imitazione non ha senso, la realtà è la copia contraffatta e a buon prezzo di qualcosa d’altro. Prendi ad esempio il pezzo di Baby Gang con Baby K, Reggaeton, potenziale tormentone estivo ma tarocco, perfetta e voluta imitazione di qualcosa d’altro, e originale proprio per quello. Sono affascinato da questa “teoria del tarocco”, penso che ci tornerà utile presto, in tempi di AI e ChatGPT: se le macchine potranno creare cose e contenuti al posto nostro avremo sempre la possibilità di fare delle ottime umanissime copie taroccate, e saranno le uniche vere. E ancora: non sono forse i Blur di oggi la copia contraffatta dei Blur dei nostri vent’anni? Il Primavera come un grande suk, pensaci, magari l’anno prossimo facciamo il biglietto.
AP: “Blur, New Labour cunt, fake cockey cunt, cunt”. Lo diceva un comico scozzese e ce lo ricorda in un pezzo nel suo substack Canzonette’s Riccardo Scirè. Chi è? Trentacinquenne, vive a Milano, ex cantautore, Scirè è “multiplatinum producer & songwriter” per la Warner Chappell. Ha scritto canzoni per Sangiovanni, Elettra Lamborghini, moltissimi altri. Delle due l’una: o rappresenta la banalità del Male, o l’innocenza suprema del Bene. Oppure il Mutuo Da Pagare. Elettra Lamborghini mi sta simpatica, niente da dire. Mi piace moltissimo quando lei all’inizio di ogni canzone dice il suo nome: “E-lettra E-lettra Lam-bor-ghi-ni”. Le consiglierei di fare un album intero soltanto con gli inizi delle sue canzoni. Molto concettuale, un po’ Residents. Elettraton sarebbe comunque un titolo perfetto, fa yugowave, socialismo sexy, vacanze sul Mar Nero. Il suo nuovo album è pieno ovviamente di reggaeton, molto per bambini, con una sottile presa in giro del machismo estivo. E il tormentone estivo Mani in alto mi pare di conoscerlo da sempre, forse una pubblicità del tè freddo, un Fedez di 4 anni fa, forse Waka Waka boh. L’estate arriva quando/ quando mi rubi il cuore/ mani in alto. L’ha scritto Riccardo Scirè. Ecco. Per una perversione tutta mia ho fatto ricerche su di lui. Non so se sia il solo autore, ma aveva già firmato Pistolero l’anno scorso, sottilissima analisi mozartiana dell’amore come gioco di maschere vs privè e carte di credito (“Dimmi se sei un uomo vero, un pistolero, sai già dove mirare amore criminale”). Non lo conosco di persona e mi scuso con lui se ho scrollato i suoi social. Ho trovato lunghi e appassionati ricordi di Martin Amis, raffinate analisi musicali che gli derivano da studi all’Università, pure un vecchia intervista in cui dichiara: “Fa figo dire che uno ascolta soltanto gruppi indie, poi però torna a casa e singhiozza con Tiziano Ferro”. Spiega tutto. Nel 2018 ha scritto e cantato una canzone per un amore finito e un ex fidanzata ormai lontana: “Ci pensi mai a quando c’era ancora Mourinho/ e credevamo che fosse per sempre/ e speravamo che fosse per sempre”. Si chiama Mourinho e sta su Spotify. L’ho messa nella mia playlist della settimana, le lacrime che te lo dico a fa’.