Alberto Piccinini: Come va? Devo confessarti che dopo una settimana ho capito cosa mi ha tanto attirato nella performance dei Maneskin al Coachella. L’ ho vista live su YouTube alle 7 del mattino di domenica, ci tengo a sottolinearlo perché già questo spiega delle cose. Ecco: Damiano ha arringato la folla come un Pierò Pelù al Primo Maggio del ‘93, quando mandava a quel paese Andreotti e il Papa. Bei tempi. Il crollo del Muro, le prospettive della sinistra, le idee chiare su almeno tre quarti delle cose importanti. Giustamente gli zotici americani del tendone guardavano Damiano come si guarda un rapper azerbaigiano, che ne sanno loro. E oggi che siamo tutti un po’ rapper azerbaigiani a noi stessi dico: pensiamo alla ricostruzione. Dopo le cover di Frankie Valli e Britney Spears, i Maneskin potrebbero lanciarsi in una cover dei Litfiba. El diablo va benissimo. In giarrettiera, negligè, preservativo sul microfono. Abbassare il testosterone, è l’unico orizzonte politico del presente.
Giovanni Robertini: Ma tu che fai il 25 aprile? Lo so, detta così oggi sembra una provocazione da talk show. Non è aria. Certo me lo ricordo quello del 1995 a Correggio, il concertone di C.S.I., Lou Dalfin, Yo Yo Mundi, Mau Mau e Üstmamò, con Mara Redeghieri che cantava Siamo i ribelli della montagna… un’altra era geologica, too much anche per dei boomer come noi. Pure la foto che ha postato su Instagram Nanni Moretti, in piedi davanti alla sezione Antonio Gramsci del P.C.I., ha preso solo 20mila like. La nostalgia non funziona, mentre una foto di Lazza che mangia gli spaghetti fa 131mila like. In mezzo tra questi due pianeti ci dovrebbe essere una galassia libera per l’esercizio critico, “il dibattito sì il dibattito no”, ma nessuno che si prenda la briga di dare un senso alla classifica Fimi dove il trapper di Milano è primo. Il suo successo è inspiegabile e non spiegato perché la critica musicale, da sempre trincea della sinistra, non si è mai schierata, fingendo invece il contrario. Capisci la metafora? Ecco, buon 25 aprile!
AP: Uhm.. Al 25 aprile di Correggio io c’ero. Ero andato con una Regata diesel bianca presa in prestito da mio padre, pioveva che dio la mandava e la tenuta di strada lasciava parecchio a desiderare. Altri tempi. Il fatto è che il trapper Lazza mi fa venire fuori tutto l’istinto boomer. A lui non credo, ad altri sì, abbastanza, insomma. L’80% delle rime che scrive Lazza parlano di quanto è bravo a scrivere rime che parlano di quanto è bravo a scrivere rime eccetera. E Chopin? Satie? Chopin era polacco, romantico, tisico, omosessuale. Troppo testosterone qui, fuori posto.
GR: Ho ascoltato Sirio più volte e non ne sono venuto a capo, per cavarmela direi che è meta trap, o rap in sottrazione: togli lo storytelling, levi il personaggio, via il flow e rimane muzak virtuosa che rimbalza nell’algoritmo, criptovaluta per discografici, pulsione gen Z senza codici di accesso. Poi un mio amico l’altra sera mi raccontava che ha un nuovo vicino di casa, è spesso sul balcone e parla ad altissima voce, o al telefono con la fidanzata o agli amici in strada, si chiamano tutti Fra e c’è sempre un Suv che va spostato, o è in doppia fila o sul passo carraio. Indago meglio e scopro che il vicino è Lazza. Illuminazione: Lazza è il vicino di casa di tutti, conosciamo i suoi spostamenti, sentiamo le discussioni attraverso i muri, la musica che esce dalla finestre, ma non sappiamo mai chi è. Sembrava una brava persona, salutava sempre, come nei pezzi di cronaca nera. Poi è diventato virale su Spotify.
AP: A proposito. Hai sentito? Quattro ragazzini di Verona in gita a Milano che cercavano di incontrare i loro idoli trapper sono finiti menati e rapinati al quartiere Aler di San Siro. Proprio come un qualsiasi inviato di guerra tra Kharkiv e Mykolaiv. Invece se la trap la ascolti su Spotify, adesso ci sono anche i testi, non ti può succedere niente. Spotify è la morte di tutto. Vorrei aggiungere che Kae Tempest, splendid* poet* non binary inglese nella linea di Joe Strummer, Billy Bragg, Lindon Kwesi Johnson ha appena scritto un libretto per dire che dobbiamo smettere di occuparci di quel che gli altri pensano di noi, cercarne l’approvazione (o la disapprovazione), misurare il nostro successo sul loro. Il libretto si chiama Connessioni (e/o). «Prima di guardarci allo specchio, assumiamo sempre una posa», dice. Per uscire dalla schiavitù dei social faremmo bene a concederci una giornata senza telefonino, ogni tanto. Troppo? Troppo poco? Pensi di farcela?
GR: In effetti un tentativo lo potrei fare oggi che è il Record Store Day, pomeriggio solo vinili e birrette, rifugiandomi nell’Arcadia hipster del mio salotto senza Elon Musk che trolla su Twitter, gli amici che spingono i loro libri su Ig, gli eventi a cui cliccare “parteciperò” su FB. Prima spacco il salvadanaio e vado da Volume a comprarmi i dischi che mi sono piaciuti su Spotify, la regola è un vinile da acquistare per ogni cinquanta album ascoltati. Ho qui la lista: C’mon tigre, Aldous Harding e un boomerissimo Calexico. Ci metto pure il nuovo Pusha T, It’s Almost Dry, altro che trap milanese, è il solito paragone NBA – Lega A di basket italiano, il rap americano è un altro sport. Pare che Pusha T l’abbia registrato guardando in loop il film Joker, mettendo la pellicola in muto e andando a sovrapporre poi le rime e i beats. Chissà che disco avrebbe fatto se al posto di Joker Pusha T avesse messo in loop quello che guardavamo ieri sera, il talent da RSA The Band con Carlo Conti, Carlo Verdone, Asia Argento e Gianna Nannini? Forse quello di Lazza?
AP: Lascia stare The Band, dopo dieci minuti mi sono vergognato di me stesso. Con il Record Store Day mi hai steso, una volta di buon mattino andavo in pellegrinaggio nei negozi di dischi del quartiere a parlare del tempo andato col commesso ingrigito e comprare dischi che nemmeno ascoltavo. Adesso me lo sono proprio dimenticato. Sarà un caso? Ti dico due dischi, boomerissimi ci mancherebbe: Air dei Sault l’ho ascoltato stamattina camminando. Philip Glass riscritto da Riz Ortolani, il misterioso collettivo black forse un po’ troppo teorico, Pitchfork entusiasta. Quanto a teoria però la rebajata non si batte, i sound system messicani che suonavano la cumbia col giradischi a 33 e pure a 20 giri negli anni ‘70 li ha collezionati Analog Africa. Sono ottimi. Li ascolterò leggendo i racconti erotici del nostro amico Francesco Pacifico Solo storie di sesso (Nottetempo). Nel quartiere non si parla altro che della “Storia orale della pandemia”, ambientata in queste strade tra gli zozzoni tinderisti del lockdown passato. Sarà la Resistenza der Pigneto, il nostro 25 aprile. Pussa via, fascioputinista.