AP: Come va? L’altra sera sono tornato nel clubbino di San Lorenzo dove ogni settimana si rifà la stand up comedy. All’italiana, da fuorisede per benino, ma pazienza. A me diverte. C’erano Edoardo Ferrario, Luca Ravenna e Francesca Esposito che è una comica di Napoli ma vive a Roma, faceva monologhi da insegnante precaria. Tutto strapieno e prenotatissimo per i prossimi due mesi. Come prima. Bene. Come se il tempo non fosse passato. Benissimo. Tutti seduti sulla sediolina scomoda altro che Lol. Eccerto che un po’ ci scansiamo. Caliamo con più attenzione le mascherine sul viso, le più spesse e nuove che avevamo in casa. Sorseggiamo con circospezione un amaro col ghiaccio. Apri. Chiudi. Apri. Chiudi. Ti spoilero qualche battuta. Edoardo Ferrario che ha avuto il covid settimana scorsa dice che quando chiamava i suoi amici gli rispondevano increduli: «Ma perché il covid? Proprio adesso che non serve a niente!». Luca Ravenna annunciava che in caso di guerra lui sarebbe andato al fronte solo a fare il comico, anche la cantante travestita da Marylin, pronto a sollazzare le truppe nel caso. Francesca infine, che è incinta veramente, ci ha fatto sopra un pezzo buffo e ha chiuso con l’ultima battuta buona: «Prima che rimango incinta io deve scoppiare la terza guerra mondiale». Ecco. È il cabaret di guerra.
GR: A te la stand up, a me il social drama di Rozzangeles. Sono stato in gita nel block dell’hinterland milanese per intervistare il rapper Paky, l’ho raccontato proprio qui su Rolling. Confesso che mi sono sentito un po’ in colpa, ero la parodia – senza le risate vere degli spettacoli comici – dell’inviato nelle zone di guerra che vedo in tv tutti i giorni: il no future del ghetto hip hop, le bombe su Mariupol, McDonald’s che evacua i cheeseburger dalla Russia… Forse è così che ci muoverà nel Metaverso, non avatar ma parodie di noi stessi, tra guerre, disastri ecologici e il prossimo Sanremo. A proposito, te la ricordi la canzone di Gabbani? Occidentali’s Karma, la scimmia nuda balla, comunque vada panta rei? Ecco, la mandava una radio ieri, lo speaker diceva che Gabbani ci aveva visto lungo, la distopia, l’apocalisse, però panta rei… Ho cambiato stazione, c’era il ciao ciao de La Rappresentante di Lista: «La fine del mondo, che dolce disdetta, mi vien da star male, mi scoppia la testa». Uguale a Gabbani, entrambe col balletto perfetto per Tik Tok. E dopo aver visto in rete il video della cantante folk Khrystyna Soloviy che canta un inno alla resistenza sulle note di Bella Ciao, ho pensato che vale tutto e quindi che ne dici di «con le mani, con i piedi, Bella Ciao?». Ho già in mente la coreografia, facciamo ridisegnare le t-shirt verdi militari di Zelenski a Gucci, andiamo all’Eurovision, e poi da zia Mara naturalmente.
AP: Ah, la tv di guerra. In questo momento ho Serena Autieri che canta Imagine con dietro una bandiera ucraina a pieno schermo sul vidiwall. Cringissima. La guerra è ovunque. Sui social si combatte, come spiegano gli analisti che ne sanno (e soprattutto quelli che non sanno un cazzo riciclati nei talk dove prima facevano i no vax/si vax). La guerra è sul mio divano. Hai letto il tweet del ragazzo russo citato da Walter Siti l’altro giorno in un editoriale su Domani: “Non voglio il Donbass, ridatemi Netflix”? E la micidiale predica del patriarca Kirill, che sostiene questa guerra come una crociata contro “il consumo eccessivo” e le lobby gay? Purissimo Meloni Pillon style. Ma così è tutto più chiaro. Il vero fronte della guerra moderna è dentro di noi. Leggo le corrispondenze da Leopoli di Sabato Angioni per il manifesto – lui è giovane, bravo, vestito come un fan degli Autechre e viaggia come avremmo fatto noi prima di tutto ‘sto casino facendo i turisti il meno possibile e cercando di mimetizzarci con la vita del posto. Parla ai vicini di casa coi rasta e i pantaloni larghi e si interessa davvero a come si possa passare da un giorno all’altro dal divano di casa alla guerra combattuta, dall’imbelle cosmopolitismo alla difesa della propria terra. Loro erano tutt’altro che in prima linea e raccoglievano aiuti per i civili. Chissà, una volta o l’altra “Kiev è la nuova Berlino” se lo saranno pure detti no?
GR: Ho letto Le Perfezioni di Latronico, che si svolge in gran parte a Berlino. Quella Berlino. Mii sono perso subito all’inizio in quella bellissima descrizione della casa hipster perfetta: piantine di coriandolo e aneto, bollitore di acciaio spazzolato, piante di ficus lyrata, vini biodinamici, Monocle, locandine del Primavera Sound. L’interior design dei nostri cuori spezzati. E fanculo la trama, così non ci fanno una brutta serie tv, e rimane un bel libro polaroid di quello che siamo appena stati. E che forse non saremo più.
AP: Verissimo. L’ho letto anch’io Latronico. La biografia di un generazione che per farsi una vita a Berlino si è consegnata mani e piedi al capitalismo delle piattaforme. Una specie di natura morta delle nostre esistenze, un’elegia tutta scritta all’imperfetto, fin troppo concettuale, neppure in grado di scegliere un finale tragico per sé. Di questa nebbiolina malinconica che vi avvolge non lamentatevi, inutile farne una bandiera. Sappiate solo che una vita gentrificata e instagrammata può finire da un giorno all’altro sotto i cingolati e addio. Tipo Berlino del dopoguerra. E si ricomincia daccapo.
GR: Io rilancio: “Né Donbass né Netflix”. In America ci sono un sacco di movimenti contro la subscription economy, cioè tutti quei prodotti che vengono resi disponibili attraverso un piano di abbonamenti. La sintesi è: basta pagare a vita, fino alla morte. Di più, basta pagare. C’è chi è per l’esproprio, chi per i prezzi popolari e chi per il do it yourself, il punk insomma. Comunque sta tornando, il punk intendo. Vado a cercare i ragazzini su Tik Tok, per capire che fanno, se da boomer posso giocare anche io, e chi mi trovo? Undici, dodici, tredicenni che fanno cover dei Fugazi. A proposito, le hai viste su Repubblica le immagini dei concerti improvvisati di notte nei bunker di Kiev? È da vent’anni, da Mtv a Lol, passando per i videoclip nu metal e trap, che l’immaginario flirta con la coolness del bunker, che manco ci ricordavamo a cosa servissero davvero.
AP: Lo devo dire. Cent’anni di Pasolini. Mi faccio forza solo perché, come sai, abito a 150 metri dal bar di Accattone, e pongo la domanda: cosa avrebbe pensato Pasolini della trap? Vediamo. Considera che Martin Scorsese, regista di Taxi Driver e Goodfellas, film fondamentali nell’immaginario hip-hop, venne fulminato dalla visione di Accattone. Considera che il protagonista di Accattone è un pimp con le sue bitches che ama le collane e gli anelli d’oro, le belle macchine e la ragazze, e pensa che lavorare per vivere sia una punizione insopportabile. Considera che Mamma Roma racconta la stessa storia da un altro punto di vista: una prostituta si libera dal pappone e cerca una vita piccolo borghese per sé e suo figlio. Considera infine che sia Accattone sia il figlio di Mamma Roma, Ettore, muoiono dopo aver fatto un furto. Black Lives Matters: «Ho visioni di me morto/ Signore ci sei?/ (…)/ Pensavo di avere degli amici, ma alla fine niggers dies lonely (Tupac Shakur)». Pasolini odiava le canzoni sentimentali ma non Claudio Villa. Odiava le canzonette di Sanremo e adorava gli stornelli. Non resisteva se c’erano da ballare calypso, tango, rock’n’roll. Per lui le canzoni erano tutto un piacere colpevole. » appena uscito un disco bellissimo, “The Early Days”, che raccoglie musiche da ballo ascoltate nei suoi primi film, scritte da Rustichelli, Fusco, Piccioni e altri grandi musicisti del nostro cinema di allora.
GR: Pasolini Pasolini Pasolini Pasolini, i dibattiti, le commemorazioni, le articolesse sui giornali. Mi viene in mente il pezzo dei tropicalisti milanesi Selton di qualche anno fa, se fossero andati a Sanremo sarebbero stati accolti come Dargen D’Amico, nella categoria “disimpegno consapevole”. La canzone si chiama Pasolini ma parla d’altro, poi prima del ritornello «E per tutti quelli che pensano che questo sia un pezzo privo di contenuto… Pasolini Pasolini Pasolini Pasolini Pasolini Pasolini Pasolini…».
AP: Bello. Chiudo segnalandoti l’ep delle Chillera, “Pro Fun”, uscito per l’etichetta indipendente ucraina Muscut. Su bandcamp tra l’altro la Muscut devolve le vendite di dischi agli aiuti per i civili coinvolti nella guerra. Tre ragazze di Kiev che fanno elettro dub più o meno come le Slits, ricordi? Leggo su instagram che una decina si sono rifugiate in Moldavia. Ma scusa, ora che ci penso, che fine ha fatto Salvini? Non posso che chiederlo a te che sei l’ufficiale esploratore della sua hauntology liceale.
GR: Ho un buco, quando eravamo al liceo insieme c’era la guerra in Iraq. Occupazioni, manifestazioni, le posse, la cassettina Baghdad 1991 con alcuni degli Assalti Frontali che cantano «My name is Cocciolone, pilota d’aviazione, dall’Italia son venuto con un carico di bombe». E Matteo dove stava? Era già un leghista padano, con l’orecchino, le Clark, ben mimetizzato. Lo cerco, lo cerco, ed eccolo in Polonia, così mimetizzato che per sgamarlo c’è voluto uno più di destra di lui.