A.P. Sai che ti dico? Sarà dura a tornare alle banalità di Sanremo e del Grande Fratello dopo aver vissuto le montagne russe di questa settimana presidenziale. L’ho capito tardi. Mi sembrava di una noia mortale, alla fine m’è salito eccome. Tutti contro tutti per davvero, lealtà a livelli da Gomorra la serie, trielli messicani tipo Sergio Leone, prima di cominciare non sai nemmeno chi sono i candidati ma se nomini uno lo rovini per sempre, strategie da gioco di ruolo, depistaggi, imboscate, spallate. E peones, franchi tiratori, schede bianche, astenuto, non ritira la scheda, centrodestra centrosinistra. Gente che vota Amadeus, gente che rivota Mattarella, le pellicce della Casellati. Uno su mille. E il mistero assoluto di Berlusconi, o forse del suo cyborg che comanda le elezioni dai sotterranei antiatomici dell’ospedale San Raffaele. Non c’è un format tv che possa competere davvero con Il Presidente. A confronto il Grande Fratello è rubamazzo.
G.R. A un certo punto è spuntato il Kingmaker, doveva essere Matteo Salvini nella sua nuova versione del Kendall Roy di Succession che cerca di salvare la grande azienda di famiglia, il Parlamento dei Grandi Elettori: telefonini accessi fino alle due di notte, chat di whatsapp intasate, c’è l’accordo sui nomi, salta l’accordo sui nomi. E poi il crash, l’auto distruzione come al Papeete. Ma a questo giro provo una strana simpatia per le doti di auto sabotaggio che ha Salvini, sempre più cringe anche senza mojito. In America, dopo il successo della terza stagione della serie HBO, il personaggio di Kendall – antipatico e sfigato, sempre sballato di coca per attutire i colpi del suo continuo fallimento – è passato da meme a icona sexy, forse per “il fascino del principe, triste, amletico, disilluso” come racconta l’attore che lo interpreta, Jeremy Strong al New Yorker. Ecco, oggi Salvini è Kendall Roy all’ennesima caduta in basso, e mi sembra la sua versione migliore
A.P. Io aggiungo questo: prendo uno specchio di luna e lo metto nella sangria. L’hai sentito? Ecco per tornare al Presidente e ai kingmaker Io penso che Francesco Bianconi che fa Baby K sia una specie di psicanalisi del Papeete e dei suoi fantasmi. Come le vecchie commedie di Dino Risi. Luigi Tenco sparato contro il boom economico. Finalmente. Trovo struggente il verso “tutta la vita ad aspettare/ perchè tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”, perché è purissimo Costa Concordia, sposini in viaggio di nozze discount morti in mare come il Titanic, tritati nello storytelling dei programmi del pomeriggio. E il “tramonto sudamericano”! Ah quel nostro fascismo latente, decadente, macho, cialtrone. Mi commuovo quasi.
G.R. Che se ci pensi tutto era iniziato bene, con i toni della soap progressista, l’hashtag Una Donna al Quirinale. E poi? Io me la immagino ancora lì la Donna Presidente, come Yoko Ono in Get Back, in silenzio che osserva scorrere davanti a sé lo scioglimento della band dei partiti, leggendo il giornale. Credo che oggi dovremmo essere tutti come Yoko, altro che resilienza: né king né maker, ‘na mazza proprio dovremmo fare.
A.P. Sai che cosa mi è piaciuto davvero? Lo svacco televisivo. Le ore di diretta inutile, rompete le righe, via i palinsesti. La schiera di presunti direttori, quirinalisti, retroscenisti, politologi ospiti che fanno saltare tutte le luci e le geometrie dei tavoli dei telegiornali, quegli studi di Saxa Rubra come un happening di guerrilla teatro. Linea agli inviati e alle inviate nel deserto di cemento attorno a Montecitorio. I collegati su Skype, che parlano come un pezzo degli Autechre. Che poesia. Non uno che sapesse niente di niente, che è un po’ la cifra di questi anni svagati, e il naufragar m’è dolce nei talk show di rete4.
Amen. Che hai sentito di nuovo in questi giorni?
G.R. È uscito il nuovo singolo di Paky, quello che in molti vedono come il prossimo ragazzo d’oro del rap game: Blauer – che è il marchio di un giubbotto zarro – è il solito pezzo su spaccio & strada, però mi ha colpito l’inizio: “chiedo scusa se non uso internet/un vero ghetto boy non sta su internet”. Non potrebbe essere un pezzo di Bianconi? O di Yoko Ono? Chiamarsi fuori dal circo degli influencer, dal centro del dibattito, guarire dalla sindrome FOMO. Essere semplicemente spettatori, che sia l’elezione del Presidente o la fine della mondo, o Sanremo.
A.P. Ma è quel che siamo da sempre, in fondo. È il vecchio mito della caverna di Platone cioè di Matrix che non ho avuto il coraggio di andare a vedere al cinema sotto casa.. Mi basta l’incubo ricorrente del cyborg di Berlusconi che governa il mondo al telefono. E che probabilmente ha già deciso chi sarà il vincitore di Sanremo. Come Giucas Casella nel 1981. Ricordi? Giucas si presentò all’Italia intera avendo registrato su una cassetta il nome del vincitore di quell’anno: Riccardo Fogli, Storie di tutti i giorni. Pezzone, tra parentesi.
Lo guardi Sanremo? Io no. Quest’anno non mi fregano. Mi leggo le lettere di William Burroughs piuttosto, ho già qui l’Adelphi pronto sul divano.
G.R. Non lo so che fare con Sanremo, scheda bianca sicuro le prime due serate, per i duetti e la finale dirò un tris di proposte, sperando me le brucino tutte.