Per arrivare a raccontarci la storia degli androgini, dove gli esseri umani, in origine doppi e felici, sarebbero stati dimezzati dagli dei per indebolirli, Platone l’avevano di certo piantato da poco, povera stella. Eccolo che rimane sul letto, avvinazzato perso, quando tutti gli altri ospiti del banchetto se ne sono andati, addenta una costina d’agnello freddata, scuote le larghe spalle, e piagnucola nel buio: “Perché mi hai lasciato? Io e te eravamo una cosa sola!”. Si svuota in gola il fondo di un’anfora, e gridacchia: “Eureka, ti dedicherò una poesia!”
Dio santo, come si può ridurre un filosofo.
Ma chiunque sopravviva per un paio d’anni a una separazione, per quanto inizialmente dolorosa, capisce che da soli si sta una meraviglia. È che in coppia si disimpara a ragionare da individui, ci si riduce a protesi dell’altro. E in effetti un braccio sintetico, senza un corpo attaccato, non se la passa granché bene. Tutt’al più può corricchiare sulle dita per i giorni e per le notti tipo Mano della famiglia Addams: fa poca strada. La fiducia in se stessi è come la coda delle lucertole: ricresce, però ci vuole tempo. Prima è nera e deforme, indecisa sulla strada da prendere, un timido aborto, poi si allunga in una perfezione di smeraldo.
I primi giorni non te ne rendi conto, ti sembra di avere quella persona ancora attaccata, le passi la bottiglia di birra, ti sbrighi in bagno per lasciarle il posto, vedi in una vetrina un oggetto grazioso e pensi quello glielo compro, programmi mentalmente il prossimo weekend insieme: afferri la vita con un arto fantasma. Poi ti rendi conto che così non afferri proprio un bel niente, ed ecco la tua vita cadere per terra e frantumarsi in mille pezzi.
Dopo una o due settimane prendi coscienza del vuoto, il vuoto ti fa paura, allora lo riempi con l’odio per chi fino a pochi giorni prima incarnava l’amore. Eh sì, c’è da perderci la testa: colui che ti era più vicino nell’universo diventa un nemico, nel migliore dei casi un estraneo. Ma meglio un nemico, che impegna tempo e pensieri assai più di un estraneo. Come ha potuto lasciare te, l’essere più fico e importante del pianeta? Ma l’ha fatto, amico, l’ha fatto eccome, magari per uno che tu reputi all’altezza di una ciabatta. Dunque, se ti ha preferito quell’altro, e cioè la ciabatta, allora tu devi collocarti ancora più in basso di una ciabatta: sei una roba del sottosuolo, una patata, una barbabietola. Sei un tubero! Ti guardi allo specchio e ti ripeti: chi mai se lo piglierà, un tubero come me.
Ed eccoti a spiare la felicità a cielo aperto della nuova coppia. Chiedi informazioni in giro, capiti qua e là per caso. Non esistono frustini o manette capaci di soddisfare il masochismo quanto l’ossessivo monitoraggio dei social network da parte di chi è appena stato lasciato. L’analisi della disposizione dei corpi nelle foto, l’ermeneutica delle canzoni postate, i punti esclamativi delle frasi… tutto diventa un indizio incontrovertibile della sovrumana felicità da cui sei stato escluso per sempre. Ciò che era tuo non lo sarà mai più. È tanto terribile e tanto eccitante questa condanna alla privazione che magari finisci per masturbarti guardando quelle stesse foto. Piangi e ti masturbi e bevi e pisci. Insomma, attraversi mesi in cui la tua principale missione pare quella di disidratarti.
Finché non decidi di provarci, di uscire con qualcun altro. Ci fai sesso ed è gustoso come una cenetta via flebo. Non senti i sapori, la vicinanza di quel corpo invece di scaldarti ti gela. Dev’essere un replicante. Gli esseri umani non sono fatti così, sono fatti tutti come il tuo ex. Vorresti una sua copia perfetta, o almeno molto simile. No, meglio perfetta. Rivorresti il tuo ex. Questo qui parla in un modo strano: dov’è finita la lingua di diminutivi e neologismi che avevate codificato in anni di rapporto? Questo qui non capisce al volo i tuoi gesti, non sa cosa ordinerai sul menù e tu devi stare lì a elencargli intolleranze e traumi infantili con molluschi o formaggi. Che si fotta.
Però, prima che si fotta, aspetta che gli faccio una foto: dimostrerò a chi mi ha lasciato quanto posso godermi la libertà. Magari non la farò vedere proprio intera, la libertà, che a guardarla meglio ha pure il naso storto. Basta una scarpa, un polso, vedo non vedo, capito? Che è pure più elegante. Che poi non si dica… Tanto, chi deve capire, capisce.
E questa pietà umana può durare per mesi e per anni. Due, a volte di anni ne dura due, già. Parecchio tempo, è vero, ma non così tanto a paragone di una vita, e quel tempo ti consente di accomodarti pazientemente nella condizione migliore in assoluto: l’autosufficienza emotiva. Non sarai più un tossico di affetto che elemosina baci e complimenti e attenzioni, un paguro in cerca di una conchiglia di carne nell’abisso notturno. Tu hai già due mani, due piedi, due palle e due tette, almeno due idee per ogni problema. Sei una coppia perfetta. Insieme, tu & tu, potete andare dove vi pare. Se tu ha voglia di litigare, tu lo può sempre calmare. Chi conosce tu meglio di tu? Non dovete giustificarvi con nessuno perché siete voi stessi, nessuna scusa, nessuna spiegazione. Siete rotondi come una mela. Siete così belli, voi due insieme, così salvi, che solo grazie a questa leggerezza quando incontrerete un altro tu & tu giusto per voi sarete in grado di riconoscerlo: non ne avrete bisogno, non lo starete cercando. Capiterà, come un’infilata di semafori verdi o un raffreddore. Sarete due coppie fantastiche.