Rolling Stone Italia

Cari utenti di YouTube, vi racconto che cos’è davvero ‘La fuga’ dei Marlene Kuntz

«Retorico», «senza idee», «adatto a un target da fighetti», «svolta ambientalista per moda»: ecco le risposte ai commenti più acidi da parte di chi quel pezzo l’ha ideato, suonato, interpretato

Foto: Mattia Biagioli

Il 25 maggio è uscito La fuga, il nuovo singolo dei Marlene Kuntz (per chi non lo sapesse in quel gruppo canto, compongo e scrivo i testi).

È da poco prima che uscisse che ho la tentazione di fare un articolo che ne parli: attitudine autoreferenziale? Spottone? In un luogo (la rete) dove la spudoratezza è l’unica vera arma per provare a ottenere qualche risultato che porti, forse, a qualche forma di monetizzazione o di potere (pensate a certi politici, non dovreste fare troppo sforzo), non vedo come si possa aver da ridire a un musicista che col suo lavoro dalla rete non guadagna nulla, come più del 95% dei musicisti del pianeta.

Lasciate dunque che vi parli del fatto che il 25 maggio è uscito il nostro nuovo singolo dopo circa sei anni di silenzio discografico. Ho questo spazio particolarmente seguito e di cui sono orgoglioso, e non vedo perché non dovrei utilizzarlo approfittandone, visto che gli algoritmi del cazzo non ci lasciano far nulla che non sia sotto le direttive del loro immondo regno di vessazioni e ricatti. Vuoi che il tuo post e il tuo contenuto funzionino per davvero e arrivino a molta più gente del magnanimo 3% di ciò che ti concedono? (Avete letto bene: gli algoritmi ci permettono di arrivare mediamente al 3% del pubblico che ci segue. Lo sapevate? Lo avevate già intuito?) Vuoi che il tuo post funzioni? Bene: paga, se no rimani lì dove loro decidono di lasciarti ammuffire. Non male eh, se si pensa a come nacque la rete… «Puoi raggiungere chi vuoi… puoi far girare la tua musica ovunque nel mondo… hai molte più opportunità di farti conoscere…» Seeee… Mi pregio di non averci mai creduto, neanche per un istante. E poi: i contenuti… Una volta avevano il peso specifico dei libri, dei saggi, degli articoli di carattere culturale, ora sono quattro cagate in croce gestite spesso dei social media manager, scritti in italiano basico e… performante. Bleah. Contenuti! Contenuti! Content is king, dice l’inbound marketing contribuendo ad abbassare il livello medio culturale a livelli deprimenti, e credo che mai come in questi tempi ci sia così tanta gente che si interessa a cose come il marketing… Non ci avete mai fatto caso a quanti siti a tema fioriscano online? Sarebbe da farci una riflessione sui tempi che corrono…

Ecco: ora vi chiedo un secondo di attenzione… Fin qua avete letto l’inizio dell’articolo per come l’ho impostato ieri, giovedì 2 giugno, giorno di festa. Poi, sempre ieri, da qui ho proseguito cominciando a scrivere di digital marketing, promozione, informazione in rete, mondo dei CD e mondo attuale, social, digital burnout, lavoro h24, mail, call, Zoom, estenuazioni varie, perdendo di vista il mio scopo: parlare del nostro singolo. Ci sarei ovviamente arrivato, ma non so se molti di voi sarebbero arrivati in fondo con me. Il senso di tale profluvio era chiaro: farvi capire quanto è assurdo il mondo della musica di oggi, quanto è complicato provarci ancora facendo il musicista e basta, quanto è mortificante sapere che hai ottime probabilità di fare qualcosa che la rete si fagociterà nel giro di qualche giorno di chiacchiericcio e poi il nulla, e di quanto i social ci costringano a un lavoro dietro le quinte sostanzialmente folle e, lo spero ardentemente, destinato a implodere (o esplodere, con deflagrazione tonante). Ne ha parlato recentemente Rolling Stone raccontando di alcune popstar e vi garantisco che le cose stanno esattamente così, a tutti i livelli, dal mainstream in giù. E allora ho deciso: prima vi dico un po’ di cose del nostro singolo. Se lo merita, e merita le vostre attenzioni. Poi riprenderò quanto ho già scritto, che con un copiaincolla e un click ora sto spostando “sotto”.

Per parlarvi del nostro singolo prendo spunto da cinque o sei cose negative che ho intercettato fra i commenti al nostro video su YouTube in data 1/6 (lo ammetto candidamente: faccio parte, come davvero quasi tutti, della schiera di coloro che dopo aver letto 50 commenti positivi uno di fila all’altro, si lasciano influenzare negativamente dal 51esimo, ostile, unico, isolato e a volte “piacciato” da quei due o tre pollici che con immancabile tempismo arrivano a sostenerlo). Mi sembra che così facendo – agganciarmi alle cinque o sei cose negative intercettate per parlarvi del nostro singolo con un espediente originale – io possa anche farvi sorridere. Cercherò dunque di essere tanto ironico e un po’ mordace quanto leggero (sulla leggerezza non scommetto). Qualcuno ovviamente non sorriderà, perché si incazzerà pensando a quella che per lui non sarà nient’altro che la mia spocchiosa presunzione. (Per chi fosse interessato quei commenti sono curiosamente tutti in fondo: non so bene perché, gli algoritmi forse? Non lo so, ma è bellissimo così: laggiù in fondo, relegati, negletti e ignorati).

Commento numero 1: «Insopportabili ormai retorici, appiattiti e ammiccanti a una gioventù di semicolti… inutili».

Il suo autore si firma GianluKant e dunque possiamo presumere sia una persona di altissimo livello culturale con inclinazioni filosofiche spiccate. Con una certa deferenza scrivo commentandolo e donandogli tutta l’attenzione che merita.

Se c’è una cosa che questo nostro pezzo non ha è la retorica. Raramente ho scritto un testo così connesso con uno stato d’animo puro e incontaminato. Molti di voi dovrebbero sapere che abbiamo fatto il disco da cui questo primo singolo è tratto in residenze artistiche di montagna. Il giorno che scrissi La fuga ero solo soletto in cima a una magnifica spianata di neve luccicante, intorno a me cime ovunque, maestosa presenza ravvicinata di cielo e aria, e una vista su uno spicchio di pianura a fondo valle che mi dava la sensazione ben nota a chi sale in montagna: di poter guardare al mondo sottostante per ammirarlo con generoso e grato stupore o compatirlo per le sue difficoltà. Fra questa ammirazione e questa compassione, una moltitudine di stati d’animo. Tutti puri, tutti figli di una sospensione spazio-temporale che le suggestioni d’altura regalano. Il sole era potentissimo, il vento era forte, e io ero appoggiato a una croce con tanto di Madonna protettrice. Il mio umore non era dei migliori, e lo spleen era pronto a farsi sollecitare dall’atmosfera di silenzio arcano – giusto disturbato dai sibili – che quel luogo mi regalava (era un martedì, e non c’erano le frotte di camminatori della domenica).

Quello che dunque le parole del mio testo esprimono è un mood, assolutamente non filtrato dalla retorica. Non c’era tempo per nessuna malizia del pensiero, caro Gianlu: quelle parole sgorgano dal mio io più intimo, corrispondono a un mio sentire malinconico, deluso, sfiancato, e la montagna me le ha offerte in quella foggia, partecipate e vissute. Sul concetto di utilità, poi, ci sarebbe molto da ragionare in tempi in cui tutti noi musicisti facciamo musica aggratis: utile? inutile? No, gratis, è l’unica, amara cosa che si può dire della musica prodotta da un musicista in tempi di Internet. Lasciateci stare dunque con le nostre eroiche voglie di fare qualcosa di bellissimo, perché noi continuiamo a cercare la bellezza ovunque, senza utilità, quella che evidentemente piace a voi.

Per giustificare ancora meglio, qualora ce ne fosse bisogno, la spiegazione appena fornita, aggiungo la definizione dell’aggettivo “retorico” tratta dal Devoto-Oli (mi fa strano doverla riportare niente poco di meno che a Kant, ma qualcosa mi dice che ha senso): «Di atteggiamento dello scrivere, del parlare o dell’agire, caratterizzato da un eccesso di artificiosità o da una vistosa ricerca dell’effetto». Ecco, puoi al limite prendertela col mio stato d’animo, se proprio senti la necessità di confermare la tua convinzione della vistosa ricerca dell’effetto.

(Trascurabile infine il “commento” sui giovani semicolti. Trascurabile come le parole dette a vanvera e come in genere questo tipo di commenti, detti quasi per inerzia, come se fosse la regola non scritta di un giochino di cui ho già parlato in altro articolo, del tutto fuori tempo massimo, proveniente da un’epoca morta, sostanzialmente inutile).

Commento numero 2: «Devono pagarsi le bollette pure loro… solita minestra riscaldata, senza idee, senza sale».

Questo tipo di considerazione piuttosto ricorrente (al posto delle bollette spesso c’è la parola “pensione”, ancora più surreale per un musicista in Italia) è talmente assurda che ci sarebbe da capire come si viva nel pianeta parallelo da cui questo tipo di persone proviene. Per una sorta di indagine antropologica, ai fini della pura curiosità intellettuale.

È così patetico questo sentire, talmente privo di qualsiasi corrispettivo nella vita reale, che vien voglia di cedere alle lusinghe della tenerezza e immaginarsi un amante della musica, forse musicista (in tal caso rosicone), rimasto abbarbicato a un mondo che sta svanendo (e lui con esso… Riuscite a vederlo mentre si dissolve scomparendo? Lasciamolo lì, felice e beato…). Caro Portodeisanti: al netto del fatto che non riesco davvero a capire come tu possa sentire che questo pezzo abbia potenzialità commerciali (ma cosa cazzo ascolti?), hai notato quante visualizzazioni ha il pezzo? (Certo, ora dopo questo mio articolo saliranno di centinaia di migliaia). E vuoi provare a farti un giro su Spotify e vedere gli stream? (Io non li guardo nemmeno: inutile andare a cercare frustrazione). Noi musicisti di un certo tipo facciamo musica che ambisce a rimanere impressa nel cuore di chi la vorrà accogliere: è l’unica cosa a cui possiamo veramente aspirare in epoca Internet. Questa impressione nell’animo altrui è gratuita, nel senso che la gente in genere la accoglie con un click sul device (tranne chi compra dischi: due o tre migliaia di persone in genere) ed è così surreale che ci sia chi come te ancora non l’ha compreso…

Questo pezzo, prodotto magnificamente, con un suono altrettanto magnifico, è cupo, intenso, malinconico, desolato, rabbioso, appassionato, crudo, scorato, accorato, raffinato, genuino, sincero e puro (posto che questi ultimi tre aggettivi servano a definire un’opera artistica, giacché l’arte è finzione, ma qui mi sa che si vola troppo alto). È peraltro privo di ritornello (è un crescendo unico, e dunque non ha nessun requisito di singolo che possa funzionare) e non ha alcuna possibilità di contribuire al pagamento delle nostre bollette, se non nella misura in cui la gente che lo sta apprezzando (tantissima, davvero tantissima, e invero poca, ancora troppo poca) verrà a vederci al concerto, dove gliela suoneremo. E non hai idea di quanto spaccherà dal vivo questo pezzo. Vieni a vederci, constaterai di persona, e prima assaggerai un brodo sopraffino poi una bistecca fiorentina al sangue. Il sale lo metterai tu, a tuo piacimento.

Commento numero 3: «Non mi stupisce questo pezzo dei Marlene nei commenti. Oramai è un genere di musica adatto ad un target da fighetti. Niente a che fare con ciò che fu, Godano negli anni 90 era la cosa più toccante che si potesse ascoltare. Questi commenti filtrati sono tutti positivi e per partito preso, niente di nuovo. Mi mancano i Marlene Kuntz che ho conosciuto venti anni fa».

“They claimed that I had lost the plot, kept saying that I was not the man that I used to be”, canta in Oh My Lord Nick Cave: sono in buon compagnia evidentemente. Genere di musica adatto ai fighetti… Tralasciando il resto, litania che mi scorre sotto gli occhi da più di vent’anni a questa parte, solo questa frase mi può aiutare a parlare del nostro singolo.

Da cosa mai possa originare questa affermazione mi risulta complicato da capire. Forse perché non senti le chitarre ruggire, Luciana? Forse perché non mi senti urlare come un isterico? Forse perché senti delle tastiere e un suono bellissimo? Troppo bello per i tuoi gusti elitari non accessibili ai fighetti? Sei sicura che questi siano buoni parametri di riferimento per sparare sentenze su un lavoro artistico? Non trovi che possa essere offensivo per chi ci ascolta e apprezza? Forse la tua è una forma morbosa di gelosia e di senso di esclusiva… posso comprendere, ma dopo trent’anni (sono trenta Luciana, se parli degli anni ’90) è tempo di rassegnarsi, se proprio non puoi far altro che sentirti offesa e delusa. Non trovi?

In ogni caso: ma sì, hai bisogno di pensare che sia un pezzo per fighetti? E sia: è un pezzo per fighetti. Nessun problema: temo che quelli che per te sono fighetti per la maggior parte siano per me persone adorabili, sveglie e preziose, oltre che brillanti e intelligenti (ne conosco molti, sono parte integrante del target che disprezzi).

Il pezzo è semplicemente bello nella sua raffinatezza, nel suo suono migliore che quasi lo allinea appieno alle cose belle che arrivano dall’estero e che sicuramente anche tu ascolti: cose che nella più parte dei casi hanno un suono nuovo, rinnovato, evoluto, attuale, non certo retrodatato agli anni ’90. (Sarei davvero curioso di sapere cosa ascolti… Magari i Dinosaur Jr? Fanno adorabilmente la stessa cosa da sempre, e il loro suono è sempre quello: eppure prova a sentire come suonavano nei ’90 e come suonano ora). Ascolta con benevolenza e buona disposizione d’animo il finale, che arriva da un magnifico e inesorabile crescendo: senti il pathos dell’interpretazione, che parte prima come una morbida carezza e si trasforma lentamente in una sberla (sono parole di un nostro ammiratore), quasi divenendo il monito che inevitabile affiora fra le righe, e a cui non si può rimanere banalmente indifferenti perché è concreto, vero, reale (leggi meglio il testo, soffermati, soppesa, e nota come non ci sia niente di fighetto in quelle parole intime e accorate, accorgiti del loro portato e della delusione che si portano appresso, che si rivolge a te come a tutti, senza distinzione, perché parla di cose che ci riguardano, che ci fottono, che ci assediano, e che fanno venir voglia di fuggire…): cosa c’è di fighetto in tutto ciò? Io ci sento l’afflato poetico che ho vissuto con emozione quando le parole poco per volta arrivavano a collocarsi perfette nelle strofe che scrivevo, e ricordo l’intima e pura soddisfazione nello star riuscendo a rendere al meglio cosa mi girava nel cuore in quei momenti intensissimi, lassù, solo fra le maestosità della natura, pervaso da stupore, meraviglia e commozione. Ora che ci penso: io mi sento estremamente toccante in quei versi, perché ho ben presente come li ho scritti e come li ho cantati, e grazie alle tue frasi un po’ scomposte sono felice di essermene reso conto per poterlo dire qua con orgogliosa convinzione. Ti invito dunque a tornare e ritrovare quella “toccanza” che tanto ti manca. C’è, rifalla tua.

Commento numero 4: «Ascoltata almeno 5 volte. Non riesco a farmela andare giù. Testo pesante e scontato, la svolta ambientalista palesemente per partito preso e palsemente per moda! Dove sono finiti i Marlene Kuntz con cui pogare ai concerti? Dove è finito Godano? Finita un’epoca, se prima avevo il sospetto adesso ne ho la conferma! Basta ragazzi non rovinate il mito che eravate fermatevi qui. In un album a tema ci si aspetta qualcosa del tipo di The Wall non una cosa modaiola».

Qui, spiace dirlo, siamo dalle parti del grottesco e del surreale. Difficile capire da dove partire. Liquidiamo però ciò che non giova alla descrizione del singolo: pogare? Ho letto bene? Pogare? Caro Claudio, forse la mia sarà una replica da fighetto, ma a 55 anni a me del pogo frega un beato nulla (e me ne è sempre importato poco). Abbi dunque pazienza e rivolgiti altrove. Forse i Dead Kennedys sono ancora in giro. Vai da loro, se ti manca il pogo. E lo dico con affetto. Io nel frattempo mi godo gli Einstürzende Neubauten a teatro, e sto benissimo, seduto, con le orecchie vigili, ammirato dalle dinamiche della loro musica, inondato dal clamore dei loro silenzi e affascinato dal pieno dei loro crescendo, così ben gestiti, così ben suonati, così bene orchestrati.

Cristiano Godano dunque è lì, seduto ad ascoltare, e poi lo troverai ai concerti questa estate, e quando ci sarà da darci dentro esploderà come sempre, pervaso dalle gioie di ciò che starà ottenendo con la sua fantastica band. Faremo Sonica. Nel caso se verrai potrai esplodere.

Le frasi tipo «finita un’epoca», «dov’è finito Godano?», «dove sono finiti i Marlene Kuntz?» come ho già detto le sto leggendo da circa venti anni. Mi hanno ferito, mi hanno frustrato, mi hanno a volte demoralizzato, mi hanno lasciato stupefatto, ma mi hanno anche fatto sempre più continuare a credere in quello che stavo facendo, caricandomi di una forma imponderabile di energia. Mi hanno anche rotto le palle, mi hanno ammorbato, mi hanno stufato, e ora mi fanno ridere (non ho più nulla da perdere, e posso prendermi il lusso di ridere).

Ma quello che conta è la cosa della «svolta ambientalista, palesemente per partito preso e palesemente per moda». Dove sia palese tutto ciò mi è davvero difficile comprenderlo. Noi Marlene diciamo cose in merito all’ambiente da ormai un tot di anni, e qua e là nei miei social o in quelli dei Marlene mi sono espresso contro l’indifferenza e la stupidità dei troppi che non vogliono accorgersi del peggio in arrivo. Viviamo in zona molto vicino alle montagne, e abbiamo dunque innata una attitudine verde di rispetto e protezione della natura, che ci pare meravigliosa e terapeutica.

E in che senso poi la nostra presunta svolta avverrebbe per partito preso? Da cosa si evince? Parole a vanvera…

Ma ciò che segue è davvero importante: il testo de La fuga non ha minimamente a che fare con il riscaldamento climatico. Non esiste una sola parola che sia indizio utile a illazioni fuori luogo. E non è finita qua, perché ci si spinge oltre, verso l’inimmaginabile, quando, sulla base dell’ascolto di un solo pezzo (che non parla di ambiente e di clima ma di società schiacciata e compressa e di un sacro momento di solitudine, fervida, irrequieta, avvolta dai sibili del vento, rapita dall’incanto del sublime, sempre meno agganciata al pianeta terra, pronta alla fuga, fosse anche per evaporazione, svanendo come per incanto da un mondo che non mi piace per nulla), si decreta che tutto l’album non sia all’altezza del concept sull’ambiente. Album che, per inciso, deve uscire in autunno e che nessuno tranne qualche nostro amico ha sentito: non penso di dover aggiungere altro. Ringrazio comunque per l’amore di Claudio e per il fervore che traspare dalla sua impulsiva delusione, perché sono sicuro che in realtà lui è un nostro ammiratore e, come a Luciana, consiglio anche a lui di avere fiducia e di non covare retropensieri. Siamo puri e onesti noi Marlene, e se proprio non ti piacciamo più sii comunque contenuto e amorevole nei nostri riguardi: meritiamo rispetto, te lo posso garantire.

Commenti numero 5 e 6: «Amo i Marlene ma questo è un pezzo che davvero non esprime niente. La svolta ecologista sulla falsariga di Greta Thunberg modaiola poi veramente se la potevano evitare» e «Insomma. È sempre un piacere ma questa svolta ecologista mi sembra fatta apposta per piacere e adattarsi ai tempi».

Anche qui l’equivoco sul contenuto del pezzo. Ma davvero ascoltate con così tanta leggerezza (lecito) e poi avete il coraggio di venire a sentenziare in pubblico? (Questo mi lascia deluso e perplesso). In ogni caso: non riesco davvero a farmi una ragione del fatto che vi siano ancora persone che ignorano il problema del riscaldamento climatico snobbando i moniti della scienza e passando con placida indifferenza le loro estati sempre più congelati nelle scatole dell’aria condizionata (abitacoli d’auto gelidi, stanze raggelate, uffici ghiacciati), trasmigrando dall’una all’altra con l’intermezzo all’inferno dell’aria “là fuori”, umida o secca che sia, in ogni caso bollente, opprimente, asfissiante.

Ero un mesetto fa a una sorta di convegno con tanti ospiti, e il riscaldamento climatico era un collante fra le tante chiacchiere in pubblico di cui anche io ero protagonista insieme al nostro bassista Lagash. In uno degli incontri un altro protagonista era l’amico Stefano Mancuso, biologo di chiara abilità divulgativa, affascinante seduttore di ascoltatori attenti. «Fra non molti anni a Roma ci sarà la temperatura di Tunisi», a un certo punto dice, guardando dritto negli occhi gli astanti. Non deve aver trovato una reazione particolarmente allarmata, perché mentre i romani presenti avranno pensato «beh se a Tunisi ci vivono amen, ci vivremo anche noi», Stefano ha così proseguito: «Il problema sarà che a Tunisi farà molto più caldo di ora, e quella gente semplicemente là non ci potrà più vivere». Questa delle migrazioni inevitabili dei poveri che non si potranno permettere l’accesso alle enclave tipo Dubai (ovvero il 95% del popolo, dico a caso), sarà una delle innumerevoli problematiche a cui si andrà incontro, e tranquilli, molte delle altre riguarderanno anche noi nel brevissimo termine. Non sarà solo un problema dei nostri nipoti, e nemmeno solo dei nostri figli: sarà già nostro, poco per volta.

A me pare davvero strano che queste cose non inquietino tutti, e ancor più strano mi pare che ci sia ancora molta gente che si beve le frottole negazioniste.

Chi sono io per dirlo? Nessuno, come sei nessuno tu che pensi il contrario. Tu, proprio tu che ora lo sta pensando. Il fatto è che io non trovo alcun motivo intelligente per non credere al 99% della comunità scientifica, al contrario di te che ami credere a quel ridicolo 1%. Chi sono io per dire che è l’1%? Che ne so di quanti scienziati in rete dicono il contrario? Chi è che dice che è solo l1%? Beh, ciaone, e chi vivrà vedrà.

(Permettetemi ancora questo: a uno dei due commenti qua sopra una persona brillante fa notare che «del clima non frega un cazzo a nessuno, altro che mossa fatta per piacere e adattarsi ai tempi». E fa poi anche notare che faremo il nostro primo concerto a Ostana, in montagna, dalle nostre parti, l’11 di giugno, un sabato. Non certo uno stadio di massa belante e rincoglionita dai discorsi mainstream sul clima, di cui, per l’appunto, frega un cazzo a nessuno: dei semplici, dignitosi prati, verdi, luminosi, odorosi. Lasciate che vi provi a invogliare a venire a trovarci, a Ostana piuttosto che in altri luoghi simili, come Risorgimarche, dove suoneremo questa estate…. Ostana è un incantevole borgo riqualificato ai piedi del Monviso, che è una montagna di fascino regale svettante sulle altre intorno, al punto tale da essere riconoscibile da ovunque la si cerchi in un raggio davvero esteso di chilometri. Provate a immaginare un concerto alle prime ore pomeridiane a contatto con la natura, quasi come se fosse un happening un po’ frikkettone: perché, fra voi che mi leggete non lontani dal Piemonte, non ci fate un pensierino? Sono cose molto belle, e il Primavera Sound tanto da queste parti non ce l’abbiamo e probabilmente non ce l’avremo mai. Ve lo dice un musicista disilluso e esperto. Immaginate dunque una cosa diversa, alternativa alle cose consuete quando pensate a un concerto rock, e immaginate che possa esser proprio bello ritrovarsi tutti lassù e scambiare parole e impressioni viso a viso, in una atmosfera pacificata e accogliente, magari inebriandosi di Pastis: lo conoscete? Da quelle parti non si scherza, col Pastis… Non trovate che possa prospettarsi una giornata magnifica? Ostana vi aspetta per stupirvi. E anche Marlene vi aspetta per stupirvi).

E poi? Poi i commenti brutti sotto il nostro video su YouTube, almeno sino al 3/6, data in cui sto scrivendo ora, sono finiti: e più di 95 almeno sono semplicemente bellissimi e super positivi. Se avessi preso spunto da quelli non avrei potuto far altro che ringraziare come sto per fare ora: grazie di cuore a tutti voi che ci seguite! Come ho già detto nella nostra newsletter, dove scrivo rivolgendomi a chi è iscritto come se stessi parlando seduto al divano sorseggiando una birra con loro, il vostro supporto è amorevole e prezioso. Sarà molto bello se vorrete far girare il pezzo ai vostri amici per farlo conoscere. Sarebbe una piccola mossa di marketing in fondo, come tante altre possibili, e questa sarebbe accessibile, non dispendiosa, sentita (molti fans dei Marlene lo sono diventati perché il loro amico del cuore ha insistito perché ci ascoltassero più di una volta…). Le altre mosse possibili afferiscono alla sfera del digital marketing, ed è il discorso che ho parcheggiato qua sotto e che da lì parte per arrivare alle tante mostruosità che sfociano nell’ormai dai più conosciuto digital burnout, di cui si sta iniziando a parlare. Ma credo che prenderò le tante parole scritte e le riporrò in un luogo bene al sicuro per poterle organizzare nel mio successivo articolo.

A chi ancora non ha sentito il nostro singolo rivolgo il mio invito a farlo, sperando sia di suo gradimento. E se lo è in modo particolare vi invito a iscrivervi alla nostra newsletter perché in quella vi sono contenuti belli e densi, di tutt’altro spessore e densità umana rispetto alle fredde banalità opportunistiche e scafate dei social.

Alla prossima: Cristiano.

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