I libri degli amici si comprano, dei libri degli amici non si scrive. Contravvengo a entrambe le regole – m’è stato comodamente spedito a casa, conosco chi l’ha scritto da più di dieci anni: gli anni più belli, quelli in cui non ci si offendeva, vabbè ci si offendeva di meno – per un motivo molto semplice. L’amico in questione ha pensato di scrivere anche per me ciò che vado pensando/dicendo da mesi, ma che dico: anni. Ha risparmiato a tutti la fatica, dunque va pubblicamente ringraziato.
In realtà avrei dovuto scrivere “l’amica”, ma so che lei non s’offenderà (ormai non può più offendersi per nulla: dopo aver scritto questo libro, intendo). È che volevo tenere un po’ di suspense, e purtroppo la nostra lingua funziona così, è una lingua sessista, ed è una delle questioni che il libro smonta. (O forse, ed è un altro dei nodi sciolti, avrei potuto usare gli asterischi o le lettere rivoltate, come si fa oggi. L’altro giorno una tizia che conosco ha concluso un post su Facebook con: «Auguro una buona serata a tuttə» –l’ultima parola l’ho dovuta copincollare. Essendo questa tizia un’insospettabile in materia di neolingua sorta in quest’epoca dell’indignazione e del vittimismo e delle offese, ho pensato: è tutto finito. Ma ora non c’entra.)
Il libro è L’era della suscettibilità, l’autrice Guia Soncini, lo pubblica Marsilio, è uscito nella settimana di Sanremo, ed è ciò che rimprovero all’amica e all’editore. Avrei potuto addirittura offendermi: tu pensi forse che sospenderò la visione di tutte le conferenze stampa e di tutte le trasmissioni del pomeriggio di Rai per leggerti? (Lo faccio solo nella semana santa della televisione italiana, per il resto non guardo la tv, anzi proprio non ce l’ho, come Matilda De Angelis da piccolina: dettaglio che ho appreso dalle conferenze stampa di Sanremo, e che la lettura del libro dell’amica m’avrebbe per sempre impedito di sapere. Ma anche questo non c’entra.)
O forse – esco dalla parentesi – c’entra eccome, perché il punto dell’Era della suscettibilità è precisamente questo: oggi ogni fatto, ogni evento, ogni post, ogni film, ogni libro, ogni qualsivoglia cosa può ledere la sensibilità di noi per quello che siamo esattamente, per l’identità precisissima che abbiamo. Dire “avermi fatto mandare il tuo libro nella settimana del Festival, costringendomi a inventarmi un’eventuale scusa per il non averlo letto immediatamente” sarebbe un’affermazione del tutto normale, comprensibile, ragionevole.
Siamo diventati cretini o lo siamo sempre stati? Anche questo si domanda lo spedito volumetto, ce lo domandiamo tutti da un pezzo, noi che ci crediamo intelligenti ma forse siamo (diventati) cretini come gli altri, chissà. Certo è che – e questa è un po’ la chiave di tutto – essere (in ordine sparso) fragili, vittime, indignati, attivisti, censori, conformisti, body-positivisti, epistemologi, neolinguisti (capirete), lettori sensibili (brutto calco mio), barricaderi impegnati ad essere sempre dalla parte dei buoni, e offesi, anzi offesissimi; essere tutto questo, tutto insieme, è «un impegno usurante». E non si può nemmeno ridere, almeno di tanto in tanto, perché anche ridere ormai è ritenuto offensivo. L’impegno usurante sta pure nella mitomania generalizzata dello scorgere ovunque minacce, pizzini, “dici a me?” che manco Travis Bickle. Ed è l’altra domanda chiave: «Quando abbiamo deciso che tutto ci riguarda?».
L’era della suscettibilità è un libro divertentissimo sulla più triste delle epoche: la nostra. L’epoca in cui abbiamo smesso di discutere: «Le idee si combattono con altre idee, mica silenziandole», ma oggi non va più di moda. L’epoca in cui abbiamo smesso di discutere perché «il problema nuovo è la pretesa che abbiamo d’una totale adesione a ogni dettaglio d’ogni opinione da parte di chiunque voglia essere dei nostri». È un libro, dunque, tristissimo, ma pieno di paradossi comicissimi. E di nomi, citazioni, fonti, nel periodo storico in cui (come se non bastasse tutto il resto) facciamo tutti la lezione agli altri, ma usando come bibliografia le dida di Instagram: oltre che fragili siamo sdraiati, anzi sdivanati, non abbiamo mica il tempo e la forza d’andarci a studiare la faccenda, quando – per un po’ di fama istantanea, per stare dentro “La Conversazione” – è sufficiente un meme.
Nell’Era della suscettibilità c’è un sacco di roba: Via col vento e Sapore di mare, Camille Paglia e Genny Savastano, Philip Roth e la babysitter di Bagnara Calabra, Dave Chappelle e Paola Perego, Beniamino Placido e la pasticceria Sissi, René Girard e Lady D, Franca Valeri e Anna Scott (non devo dirvi chi è, vero?). E però, altro pregio, è lungo 190 pagine appena, come i film che riuscivano a dire a tutto in un’ora e mezza e che nessuno fa più. (Leggi: Woody Allen, che non può più lavorare. Si sono offesi in troppi.)