È la cerimonia degli Oscar 2023, le luci sono basse sul palco e ci sono due uomini alle chitarre e una donna al pianoforte: tutti in silenzio, come i loro strumenti in attesa. Lei è seduta su uno sgabello alto, davanti a loro. Indossa un paio di All Star, dei jeans strappati e una maglietta a tinta unita, di quelle che abbiamo tutti nell’armadio. Ha i capelli raccolti in una treccia che parte alta sulla testa, come le si vede spesso nelle acconciature delle bambine; il viso è struccato. E poi c’è il microfono: lì, vicino alla bocca che ora scandisce le parole di un’artista che in questo momento pare essere più vulnerabile che mai. Forse perché prima che Lady Gaga, prima che performer dal successo globale, è – e, in pubblico, vuole essere sempre di più – un essere umano.
Ma chi c’è davvero su quel palco? La cantautrice di enorme talento e la performer che da quel lontano 2008 ha fatto del camaleontismo (e degli iconici outfit) un suo tratto distintivo? O l’attrice degli ultimi anni, che (pare) siamo destinati a vedere al cinema sempre più spesso? La risposta è solo una, e sta tutta nel pacchetto completo. Perché una cosa è certa: sotto quelle luci non c’è solo la Lady Gaga delle hit Bad Romance, Born This Way, Applause , eccetera eccetera; o la Ally del film A Star Is Born (2018); o la Patrizia Reggiani di House of Gucci (2021); o la prossima Harley Quinn di Joker: Folie à Deux (in uscita nel 2024).
Su quel palco e sotto quelle luci c’è anche la (oggi) trentasettenne Stefani Joanne Angelina Germanotta: un’americana di origini italiane, nata e cresciuta a New York tra Upper East e Upper West Side, da una famiglia cattolica che ha sempre dovuto sudarsi la pagnotta. Una bambina che a quattro anni inizia a prendere lezioni di pianoforte, ché «i suoi primi istinti erano di lavorarci sodo e fare pratica», essendo «una musicista per natura»; ma anche un’adolescente emarginata che vive il bullismo, finendo a quattordici anni gettata da alcuni ragazzi «in un cassonetto della spazzatura all’angolo di una via», tra le risate delle compagne di scuola. Una donna che ha subìto uno stupro da un uomo di potere in quel di Hollywood, e che «ancora oggi non è abbastanza coraggiosa da dire il suo nome», come ammesso nel discorso tenuto nel 2018 all’evento Women in Hollywood di Elle. Una persona che ha ammesso di aver sofferto di depressione e ansia.
Davanti a noi c’è, in pratica, la persona che già nel 2017, con il documentario (targato Netflix) Gaga: Five Foot Two, ci apriva tanto le porte della sua industria creativa (per così dire) quanto quelle delle sue fragilità. Al punto che le prove in studio per la realizzazione dell’album Joanne, il quinto e il più personale di Lady Gaga, e quelle delle coreografie e delle prove abito per l’esibizione dell’halftime del 51° Super Bowl si alternano alle crisi di pianto e alle punture per i dolori della fibromialgia; agli abbracci di quella famiglia che per lei è sempre stata tutto.
Fino al 2021, quando, in un’intervista rilasciata alla CBS, Lady Gaga ci svela il crollo definitivo e la rinascita (anch’essa definitiva?) avvenuti negli ultimi due anni. Un lungo periodo in cui il parallelismo tra la vita artistica – e dalle sonorità ancora una volta dance, come nel singolo Rain On Me con Ariana Grande – e quella personale – che a suo dire necessita di supervisione costante, per gli istinti suicidi che cova – trova un (non) impossibile punto d’incontro nella musica e nei testi del suo sesto album, uscito solo un anno prima: Chromatica. E a ben vedere la migliore summa è quella che fa proprio il giornalista della CBS, quando dice che: «Forse Chromatica è stata solo una grande seduta di terapia; una consulenza di coppia con sé stessa. Qualunque cosa sia stata, ha funzionato: dal momento che lei ha fatto sì che Lady Gaga e Stefani Germanotta arrivassero entrambe al punto di accettare del tutto cosa può, e cosa non può essere cambiato». Con la conclusione finale della diretta interessata: «Non odio più Lady Gaga. Ho trovato un modo di amarmi di nuovo, anche se pensavo non sarebbe più successo».
Ma se c’è una cosa da non dimenticarsi mai, è che noi non siamo la nostra malattia. E questo vale per tutti, anche per una che porta il nome di Lady Gaga; e che nel frattempo non ha mai smesso di comporre musica («Anche se non voglio più essere viva, so ancora come scrivere una canzone», cit.), mentre porta avanti una più recente carriera d’attrice. Infatti, dopo il salto sul grande schermo nei panni della criminale La Chameleòn in Machete Kills (era il 2013) e la consacrazione con quell’Elizabeth Johnson nella quinta stagione di American Horror Story (che nel 2016 le vale oltretutto il Golden Globe per la miglior attrice in una miniserie o film per la tv), ecco che nel 2018 torna in scena la Gaga interprete. Questa volta con un ruolo da protagonista in A Star Is Born (il film diretto e co-interpretato da Bradley Cooper), e un personaggio decisamente meno outsider: quella talentuosa Ally che (guarda caso) diventa una grande cantante; e che con il singolo Shallow fa sì che arrivino Golden Globe e Oscar per la migliore canzone originale, ma anche la più toccante performance live agli Academy Award 2019.
E mentre il pubblico ancora si commuove e la critica rimane in attesa della mossa successiva, già nel 2021 Gaga non perde tempo in chiacchiere. O almeno, lo fa: ma con un marcato accento italiano (o, almeno secondo alcuni, vagamente russo) per interpretare Patrizia Reggiani. A quel punto la storia dell’omicidio (vedi: Maurizio Gucci) attorno a cui ruota il film House of Gucci di Ridley Scott passa quasi in secondo piano di fronte a una Gaga che non ha nulla da invidiare a chi è nel giro da più tempo. Anche se non mancano le critiche: la più chiacchierata, quella della reale Reggiani, che si dice subito indispettita per il fatto di non essere stata contattata per un incontro. E a cui Germanotta, in un’intervista del 2021 a British Vogue, risponde (seppur indirettamente) in perfetto Gaga-style: «[Quando mi preparavo per il ruolo] nessuno poteva dirmi chi fosse Patrizia Gucci. Neppure Patrizia Gucci». Della serie: dite quello che volete, ma qui c’è già tutta la cazzimma che avrà (di certo) la Harley Quinn del prossimo Joker: Folie à Deux.
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Eppure, per qualunque ruolo passato, presente o futuro, ce n’è uno che di certo mette (e metterà) sempre tutti d’accordo: e cioè quello della popstar. Perché piaccia o meno, se c’è una cosa innegabile è che dal 2008 Lady Gaga non ha smesso di arricchire il panorama musicale globale, riuscendo altresì a incarnare l’ideale della straordinaria performer e dell’artista a 360 gradi. Partendo dalla prima trasmissione in radio dei singoli Just Dance e Poker Face, e di videoclip iconici come Bad Romance, Paparazzi, Alejandro (eccetera) su MTV. Confermando il proprio valore con l’incetta di premi. Per dirne alcuni: migliore rivelazione dell’anno agli MTV Video Music Awards del 2009; o i Grammy del 2010 con Poker Face per la migliore registrazione dance e per il miglior album dance/elettronico di The Fame, e quello nel 2011 per il miglior album pop vocal di Born This Way. Facendo dei propri outfit motivo di critica (il vestito di carne bovina agli MTV VMAs del 2010 ce lo ricordiamo tutti); imitazione (nell’espressione di una tale self-confidence); ammirazione (per l’inesauribile dose di iconicità).
Stupendo sempre, infine, con performance live ad alto tasso di creatività, come quella di Yoü and I agli MTV VMAs 2011 (dove si presenta nei panni del suo alter ego maschile Joe Calderone) o quella di Applause (dove i cambi d’abito sono degni di Arturo Bracchetti) all’evento del 2013; se non di pura energia, come nella più recente esibizione agli MTV VMAs 2020 di Rain On Me (con tanto di mascherina).
In ogni caso: di emozione. Tanto che, anche a togliere i ballerini, le luci, il make-up e i costumi di scena, a una come Lady Gaga non ci vuole molto per raggiungere l’obiettivo, in fondo. Qualche volta, tenere solo un microfono in mano.