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Chi ha il coraggio di tirare una linea tra sfottò e razzismo?

Atalanta e Napoli scendono in campo per la partita di stasera, e la squadra di Ancelotti ha annunciato che uscirà dal campo in caso di cori contro la città. Ma con quale logica si distingue che un coro sia razzista o sfottò pesante?
I tifosi del Napoli. Foto Getty

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Nel mondo del calcio italiano, da qualche tempo, si è iniziato a parlare di discriminazione territoriale. Un termine piuttosto ampio e ambiguo, un termine-ombrello che, senza grande attenzione storico-umoristica, raccoglie i cori riferiti ad una determinata e specifica tifoseria. Spesso utilizzato, erroneamente, come sinonimo di razzismo, in realtà, è più strettamente legato all’ambiente campanilismo militante di stampo italiano; una storia pluricentenaria.

Il nuovo presidente della FIGC, Gabriele Gravina, dopo gli avvenimenti di Udine e Torino e gli appelli dell’allenatore del Napoli Carlo Ancelotti, ha deciso di intervenire in prima persona sul tema. Dopo un colloquio con Nicchi e Rizzoli, presidente e designatore degli arbitri, ha confermato una politica di tolleranza zero sulla discriminazione territoriale che, in Serie A, colpisce in particolar modo la squadra partenopea. La direttiva sulla tolleranza zero prevede, infatti, che gli arbitri possano fermare, o sospendere, una partita nel caso in cui una tifoseria persista nell’utilizzo di questi cori.

Tutto giusto: il razzismo è S-E-M-P-R-E da condannare. Però qui non parliamo precisamente di razzismo (gli ululati contro persone di colore hanno perso di interesse nell’immaginario collettivo durante questo governo, anche nel nostro campionato), ma di una particolare tipologia di discriminazione, tuttora descritta da quegli stessi organi in maniera frettolosa e vaga. Il problema è più spinoso di quanto Gravina voglia far apparire con questa linea.

Qual è il limite tra sfottò e discriminazione territoriale? E qual è la differenza tra discriminazione territoriale e razzismo? Il giudice sportivo, il vertice legislativo della federazione, non ci viene in aiuto. In passato ha emanato sanzioni contro cori come Vesuvio lavali col fuoco, ma non contro un solo grido, un solo allarme, Milano in fiamme. Napoli colera ha portato alla chiusura della curva di Milan e Inter (anche se, nel 2013, proprio parte della curva B del Napoli polemizzò contro questo provvedimento mostrando, in solidarietà delle tifoserie milanesi, polemici cartelloni Napoli colera, e adesso chiudeteci la curva), mentre non ci sono stati provvedimenti per Romani bastardi e Lazio fogna di questa città, considerati solamente beceri insulti. Con quale logica si squalificano curve che cantano senti che puzza, scappano anche i cani, sono arrivati i napoletani e non quelle che cantano ai tifosi sampdoriani senti che puzza di pesce, avete il mare inquinato, bastardo blucerchiato? Qual è la differenza, diosantissimo? Chi ha il coraggio di tirare una riga ferma e dritta tra sfottò e discriminazione territoriale in questo momento? Ben venga se pensiamo di avere questa facilità di analisi di contesto, umorismo e storia. Ma ne dubito fortemente. Non c’è da fidarsi in tempi di populismi esasperati.

Basta vivere lo stadio, e le curve, per capire che ci si è inoltrati in un territorio fin troppo sfaccettato, con confini labili, da risultare sconsiderato e sbrigativo unificare tutto sotto quell’unico ombrello. Il provvedimento pare dimenticare il percorso storico-campanilistico della nostra nazione e, invece di educare, tende – disgraziatamente – a far da manganello. La tolleranza zero (mi ricorda un po’ quelle campagne anti-marijuana di qualche tempo fa) non educa, non spiega, non apre un dialogo. È un muro, una proibizione, un’imposizione. Come si può pensare di isolare e risolvere un problema insito nella nostra storia con sanzioni e penalizzazioni? Un coro di alcuni tifosi può decidere la sorte di una partita in cui sono coinvolti altri soggetti come giocatori, allenatori, squadre, società, telespettatori, sponsor? Sospendere una partita non è la soluzione. È una punizione che costringe il mondo-ultras alla censura e all’auto-educazione, rendendolo polizia di se stesso. Probabilmente il capo ultras non è la figura a cui affiderei corsi di educazione civica, ma è questo a cui punta la FIGC, ora.

Perché non provare, invece, ad aprire un dialogo con le tifoserie? Perché non provare a decidere, quantomeno, quale sia un possibile confine tra ciò che le curve reputano sfottò e ciò che il giudice sportivo reputa discriminazione territoriale? Un mondo privo di insulti è un’utopia che ci piace annunciare, ogni tanto, sotto forma di tolleranza zero. Sappiamo che è impossibile, non proponiamo alternative, tantomeno un percorso educativo. Ma puniamo. Punita una curva, punite cento. E quindi mi viene da pensare: un mondo sportivo senza sfottò ha senso? Perché il Giulietta è ‘na zoccola dei tifosi napoletani rivolto alla calda tifoseria veronese viene spesso considerato come esempio di genio umoristico? È per via dell’apostrofo? Per il riferimento letterario? O perché è semplicemente uno sfottò, al pari di molti altri che verranno ingiustamente inseriti sotto l’ambiguo ombrellone della discriminazione? La famigerata mamma puttana del portiere avversario continuerà a non dormire la notte, ma di lei ci interessa poco. Nella dialettica delle tifoserie del ‘noi’, i buoni, contro ‘voi’, i cattivi, sappiamo riconoscere, senza dubbio, ogni casistica umoristica da quella discriminatoria? La storia del tifo è storia di sfottò. Difficile districarsi facilmente in essa.

Si rischia che questa tolleranza zero sia un modo, da parte della FIGC, di riparare ad un certo atteggiamento ultras che colpisce in particolar modo il tifo partenopeo, finendo per fare di tutta l’erba un fascio. Una presa di posizione tardiva, poco strutturata e molto molto molto vaga. La FIGC tenta di pulirsi le mani davanti alla UEFA e ai tifosi napoletani. La stessa FIGC che, durante il regno Tavecchio, ha lasciato passare frasi razziste, omofobe e sessiste del suo presidente quali ‘prima mangiava le banane e ora gioca nella Lazio’, ‘non ho niente contro gli ebrei, ma meglio tenerli a bada’, ‘non ho nulla contro gli omosessuali, ma teneteli lontani da me’ e del suo braccio destro Belloli che, riferendosi al calcio femminile, disse ‘non si può sempre parlare di dare soldi a queste quattro lesbiche’. La FIGC ha bisogno di ripulirsi da un passato tragicomico, ma decisioni affrettate e insensate, così vistosamente confuse e generiche, non sono utili a nessuno. Non al mondo del pallone, non alla FIGC, non alla nostra società.

I tifosi dell’Atalanta, prima squadra ad affrontare il Napoli nella nuova epoca della tolleranza zero, non ci stanno. Nel loro comunicato, si legge: “Noi non prendiamo in considerazione la possibilità di essere privati degli sfottò fra tifoserie. Bergamo ha sempre schifato i cori beceri e gli ululati razzisti, ha dimostrato di essere una piazza matura e credibile. È una questione di campanilismo, non di razzismo: ben vengano ‘Bergamasco contadino’ e ‘Odio Bergamo’ cantati negli stadi. Tutto questo vissuto sulla nostra pelle non ci ferisce, tutto questo non lo reputiamo razzismo ma anzi ci lega semplicemente di più alla nostra terra, ci rende ancor più fieri delle nostre origini“.

Siamo sicuri che i tifosi bergamaschi, in questo comunicato, abbiano completamente torto?

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