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Conglomerandocene: Cosa ne penso di ‘LOL’

Nella nuova puntata della sua rubrica su Rolling Stone, il più grande scrittore comico italiano (secondo Internazionale) dà il giudizio definitivo sullo show di cui parlano tutti

Conglomerandocene: Cosa ne penso di ‘LOL’

Il cast di ‘LOL – Chi ride è fuori’

Foto: Prime Video & Amazon Studios

Esiste un silenzio. Un silenzio particolare. Lo chiameremo silenzio 44.
Lo riconosci perché ti appare subito come tale, ma dopo qualche secondo ti accorgi che dischiude un lontano rombo conchiuso. E ti chiedi da quanto questo è iniziato. È il tipico silenzio di attesa (notare il corsivo, poi capirete). Hai presente quella volta in cui la tua ragazza ti disse d’essere in attesa (notato niente?) di un bambino? Nella tua testa subito quel rombo. E magari fosse stato il simpatico animale marino cefalocordato! E tu sei rimasto in attesa (e tre) che ti dicesse che scherzava. E invece è arrivata quella notizia inattesa (piccola finezza): saresti diventato padre. Che dire?Una bella situazionc… ina tesa.

Da questa premessa, in cui inanello attese e gioco in maniera geniale e funambolica con la lingua italiana, rinforzando con l’episodio bonus del pesce rombo, si palesa l’evidenza che io sia un comico. Peccato che mi sia sempre calzata stretta la definizione di comico. Una giacca di flanella scomoda, pelosa e un tantinello fuori moda. E non è colpa mia, vi giuro che mi ci hanno portato a pensarmi qualcosa di molto diverso da un semplice comico. Basta scomodare un trattatello che Internazionale mi ha dedicato tempo fa, forse l’articolo più corposo mai pubblicato sulla rivista, dal tonitruante titolo “Lo Sgargabonzi è il miglior scrittore comico italiano”. Pensavo fosse ironico, fino a che l’ho letto e… beh, cari amici, diceva dannatamente sul serio.

Mi fregio di aver portato la standup comedy in Italia più di vent’anni fa, quando tutti, pure quelli che sarebbero diventati i miei futuri colleghi, mi guardavano come un leprecauno uscito da un cespuglio. Negli anni ho collezionato spettacoli in tutta Italia e gran parte d’Europa. Edoardo Ferrario riuscì anni fa a fare il tutto esaurito al teatro Brancaccio e tutti i giornali ne parlarono. Peccato che prima di lui Petrolini l’avesse riempito per tre serate di seguito. E mi è dispiaciuto per l’ottimo Ettore avergli fatto sapere, via seduta medianica, come io abbia rimpinzato il Brancaccio come una torta pasqualina per una settimana di fila. In questi anni ho fatto live nelle più importanti Università italiane, invitato dagli stessi Rettori, ho performato in Ted Talk istituzionali davanti a un pubblico che avrebbe fatto desistere i più (a Bari, poi annullato causa pandemia), uscendone sempre vincitore. “A cazzo duro”, direbbe qualche comico più prosaico di me (Peter Sellers? L’avete pensato voi). Ma, come detto, non sono un comico. Al contrario dei libri dei miei colleghi io non scrivo cazzate, i miei li trovate sugli scaffali della narrativa. Basti pensare che pubblico nientemeno che per minimum fax, la casa editrice che un certo signore coi capelli lunghi e la bandana disse: “Every day of my fuckin’ life I will want my books to be published by her, limited to the italian market obviously”. Beh, quel signore era David Foster Wallace. E non è che abbia inviato il mio manoscritto: mi hanno cercato loro!!!! Ho fatto dare di matto a Daniele Luttazzi, che mi dedicò un’intervista molto arrabbiata su Pixarthinking e poi si pentì (credo). E sarei disonesto se dicessi di non aver collezionato pagine da raccontare anche a livello di “groupie” (tanta roba). Ricordo ragazze madri che mi amavano incuranti del loro bambino che piangeva nella stanza di là. Altre, fidanzate di molti miei colleghi, che si acclimatavano un attimo con me a scosciacapretta nel retro foyer e intanto stavano al telefono col compagno, spesso terminale. Prenderlo in giro ci aveva sempre unito moltissimo. E poi alcune, quelle sì, oltre al sesso più convenzionale mi hanno dato lei: “the mouth” (se semo capiti).

Non sciorino queste medaglie per narcisismo e vanagloria, ma solo per porre le mani avanti dinnanzi a quel silenzio, il silenzio 44, con cui ho aperto il mio peana (questa la capiamo solo fra liceali tosti). I comici hanno un pubblico? Bene, io mi sono accorto ben presto di non averlo. Io non ho un pubblico, ma degli adepti. Sic et simpliciter, avrebbe detto l’ottimo Giovenale in uno sbotto dei suoi. E li sento i loro silenzi 44, i loro rombi d’attesa. E magari fossero i simpatici pesci cefalocordati (piccolo tormentone, concedetemelo)! E sì, sono uno dei pochi che ancora non si è espresso sul programma LOL. E mi dicono, visto il mio ruolo nel mondo della comicità (Marco Damilano dice che viene alle mie serate per tastare il polso di questo paese. “Il minuscolo è d’obbligo”, aggiunge sempre), che sarei l’unico a doverne parlare. Ma a me piace sparigliare le carte, far irrompere il desueto nel prevedibile, sbarattolare, imbrattarmi, cincischiare, farmi attendere come una sciantosa. Così, mentre il pubblico pende dalle mie labbra, queste restano ben serrate. Se non per mangiarmi un ottimo casatiello, tiè! Fra parentesi: napoletani siete incredibili, ma ne parleremo un’altra volta. Tranne quelli di Napoli Afragola: mi fate schifo, sono sincero.

Dieci comici – tra cui colleghi e amici che apprezzo e stimo – sei ore di tempo per far ridere gli altri concorrenti. Un format felicissimo, quello di LOL, azzeccato e di sicuro successo, che sembra pensato a tavolino per deprimermi, farmi appoggiare la pipa al posacenere, mettere in pausa sul sorriso di Mara Maionchi e guardare fuori dalla finestra con aria pensosa. Un format che evoca i miei fantasmi più inquietanti, uno ad uno, come in Canto di Natale, a partire da quello dell’inutilità della mia esistenza. Mi sono sentito naufragare a guazzo in quest’ansia disperata, quest’urgenza senza freno di abbuffarsi di risate. E mi chiedo come ci sia ancora fame della merce più inflazionata e nauseante che c’è in circolazione: il folkloristico fatto delle matte risatine. Oggi ci inciampi per strada, te le danno di resto dal fornaio, alzi la cotoletta con la forchetta perché pensi ci sia una cimice sotto e invece eccone una, t’avverte una prostituta che un’altra ti sta spuntando da sotto il prepuzio, ascolti una conchiglia al tramonto nella spiaggia di Pinarella e da dentro senti ghignare, ti catapulti in un’astronave, vieni spedito nello spazio profondo, ti fai un miliardo d’anni luce in criogenesi bello paciarotto e in una caverna su Nettuno senti Fabrizio Fontana che fa James Tont. Assistere a dieci comici che tentano di far ridere altri comici per farci ridere tutti insieme perché poi tutti insieme se ne ragioni abbracciati, in questa sorta di isterico pow-wow, in questi mesi un po’ difficili (ho saputo recentemente della pandemia, chiaramente spiace), m’ha portato una sensazione patibolare da ultimi giorni di Salò. Ma sono io ad avere torto, perché poi surfo sul web e le opinioni su LOL si dividono grossomodo in due categorie. Prima categoria: “no vabbè ma è un programma geniale”. Seconda: “avrei giurato fosse una schifezza invece devo dire che alla fine è un programma per certi versi geniale, sotchmel!”. E un po’ mi stupisco. Mi chiedo com’è che la collettività non sia saturata da tutto questo spectoriano muro del suono. Senza contare che non c’è niente di selvaggio e tantomeno di eroico. Oggi l’unica attività al mondo in cui è impossibile fallire è quella del comico. Il comico che fallisce non esiste, non ne ho mai visto uno in anni. Sali sul palco e il pubblico ride, perché è l’unica scelta possibile. Come dire: se mi danno un kiwi l’unica cosa che posso fare è mangiarmelo. Oggi se peschi il primo rappresentante Bo-Frost che passa sotto casa tua e lo schiaffi su un palco, quello ti riempie lo stadio di San Siro e ti tocca mettere un widiwall per chi resta fuori.

Quest’ansia d’essere divertenti ventiquattr’ore al giorno, ficcanti, pungenti, sagaci, salaci, sardonici, figli di puttana ma quel figlio di puttana che piace e quando si stacca dal lavoro di far ridere, fiondarsi in mensa a ingozzarsi delle missioni simpa altrui. Della risata cretina a quella con un occhio al sociale, dalla satira politica a quella di costume, il nonsense, il politicamente scorretto, i meme, i layer, il dada, la stupidera, la LOL trap, le one line, la commedia italiana con Papaleo e Giallini, “no vabbè Louis C.K…”, il nuovo personaggio buffo degli autobus romani, le pubblicità della Taffo, i risvoltini nun se ponno vede. Ridere e far ridere sempre e comunque, decidere la vita e la morte di chiunque secondo quanto ti fa ridere, anche un immunologo, un mentalista, un genocida o un console. Questa risata cannibalistica, giudicante, accerchiante, entrante come una rettoscopia. Svegliarsi la mattina e affrettarsi a fare la propria mossa su Facebook e aggiornarsi sulle mosse degli altri per rimanere in pari. Mi chiedo quando la collettività si sarà annoiata di tutto questo e magari inizierà a seguire solo me, capace di una comicità complessa e purificante, inafferrabile ed esoterica, un Elementale d’Acqua che sfugge anche al mio controllo e di cui sono solo l’umile vassallo, credetemi.

LOL è come un colorato pesciolino Nemo che ti si avvicina mentre stai affogando e ti offre un bicchier d’acqua del rubinetto. E magari fosse il cefalocordato di cui sopra (tormentone ormai diventato leggenda)! Io personalmente non vedo l’ora che la gente torni a fare discorsi normali, terragni, logistici, noiosi, banali, sulla bicamerale, i battiscopa in noce e i buoni fruttiferi postali. Magari con qualche battutina ogni tanto, perché ci sta dai. Che la gente da divertente torni ad essere spiritosa. E quella spiritosa rimanga pure un po’ pesante rispetto ai garbatissimi burocrati, un po’ come era fino agli anni del brit-pop. Che l’unico addetto al fatto marginale delle risate sia Forattini. Ma con questo rumore di fondo assordante, questa meravigliosa libertà imposta a fucilate, io ho solo voglia di piangere, chiamare l’infermiera, allungare la mano alla ricerca del flacone di Nembutal e iniettarmelo nella cappella davanti ai miei genitori in lacrime. A LOL avrei preferito “Teardrops: Chi Piange È Fuori”, coi genitori del piccolo Aylan Kurdi cappottato sul bagnasciuga, le spoglie di Corrado sulla sedia a dondolo, George Floyd in limine vitae sotto i tacchi di Isabella Ceola, una macchina tritapulcini, i monologhi di Alessio Boni, la vecchiaccia della Dignitas che alita in faccia ai morenti, il su’ maritino con la pipa che ripiglia col cellulare, Gino Paoli con la Bodeo fumante, Angelo Izzo con un martello, Caponnetto che ripete ad libitum “è tutto finito”, Diodato che canta du’ stronzate, uno nel polmone artificiale che urla per il fuoco di Sant’Antonio e Cappato che arriva in motorino per placarlo.

Detto questo vi saluto, perché scusate ma Claudio Batta è entrato col cappellino coi ricci finti di Gullit e io volevo MO RI RE!!! Gli ho detto “stammi lontano!!!!”. Raga, veramente, pensateci: NON C’AVEVA UN CAZZO DI SENSO!!!! No ti prego non dirmi che ora sta per fare la cosa del paguro ti prego ti prego ti prego TI SUPPLICO dimmi che non la fa… E INVECE LA FAAAAA!!!! OH MY FUCKIN’ GOOOOOOOOOOOOSSSSHHHHHHH!!!!

Aggiornamento:
Babbo lavato e sistemato sulla poltrona. Ora mi sparo un’altra puntata di questo simpatico programmiello. 🙂

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