Nella mia vita, sapere che il nostro destino ultimo è la morte ha sempre navigato contro il mio poter vivere in maniera arresa la più sfacciata felicità. Non nego di aver sempre sperato di inciampare in almeno un accadimento scosciatamente paranormale, che mi facesse rimettere in discussione quella mia secolare agnosi da cartesiano puro che tanto fa discutere i miei genitori. Qualcosa che fosse lì, crudo e spogliato, a dimostrarmi che quel giorno non svaniremo nella troposfera come ioni alcaloidi, ma che un’entità superiore esiste e con essa la vita eterna. Non mi hanno mai convinto i racconti degli altri su eventi paranormali vissuti in prima persona, essenzialmente per il fatto che gli altri alla fine della fiera non mi convincono mai, anche quando al pub faccio l’espressione di chi ci crede. Bella roba, gli altri. Sempre con quest’ansia di dire, di stupire, di suggestionare e suggestionarsi, quando un giorno – vista l’ora – è appena finito e un nuovo giorno è appena cominciato. Di solito gli altri sono crogiuoli irrisolvibili di manie e fobie mai codificate, individui con una consapevolezza di loro stessi pari a zero e con addosso un giubbotto Barbour verde cinabro.
Finché un episodio è successo a me e, pur da irriducibile scettico, ho dovuto questa volta arrendermi all’evidenza. Per la prima volta lo racconto e vi invito a credere alla mia parola, per quanto possiate trovare sconvolgente l’accaduto. Era un piovoso venerdì dello scorso mese di novembre, tardo pomeriggio, mi trovavo in treno di ritorno da una conferenza del Cicap di cui sono consulente. Me ne stavo da solo, annoiato, a giocherellare per inerzia con una vecchia moneta da cento lire. È così che oziosamente la lancio in aria, la riprendo al volo, apro il palmo e vedo che è uscita testa. Sorrido beffardo e non mi stupisco più di tanto, d’altronde era una probabilità su due. Così la lancio di nuovo e di nuovo, scontatamente, la riafferro. È con moderata sorpresa che mi accorgo che è uscita ancora testa. Beh, devo ammettere che quella moneta era riuscita a catturare la mia attenzione. Quindi la lancio per una terza volta, ma giusto per confermare la mia ancestrale miscredenza. Solo che apro il palmo della mano e mi accorgo che per la terza volta è uscita testa. Non ci posso credere. Mi strofino gli occhi come per svegliarmi, ma la moneta è sempre lì, sul mio palmo, con il simbolo della testa di Minerva sulla faccia scoperta.
Poi, vabbè, la lancio ancora ed esce croce, poi testa, testa, croce, testa, croce, croce e via dicendo. Ma per tre volte consecutive quella moneta è caduta con in su il simbolo della testa – tutte e tre le volte! – e questo sovverte ogni scienza possibile, financo la quantistica. Da Laureato cum laude in Matematica con master a Orvieto vi chiedo di seguire il mio ragionamento: al primo lancio la moneta aveva metà probabilità (50% diciamo noi scienziati) di uscire dal lato testa e metà dal lato croce. Ma una volta ottenuto un simbolo, era altamente probabile che al secondo lancio sarebbe uscito l’altro. E anche nel caso infinitesimale in cui quel simbolo fosse uscito per due volte di seguito, una cosa era certa: non sarebbe uscito la terza volta. O meglio: c’era una probabilità su miliardi di bilioni di decilioni di fantastiliardi elevati alle potenze multispeculari di Graham. E invece eccolo anche al terzo lancio.
Ieri ero un uomo disperato, perso nella paura di chiudere gli occhi e non svegliarmi mai più, oggi invece ho fede che questa vita sia solo l’inizio e che il bello venga dopo, con la vita eterna e la contemplazione della luce celeste nel Paradiso oltre le nuvole. L’Antico Testamento Dio dice che il Paradiso è come Grosseto, solo – “piccolissimo dettaglio” – quattro volte più grande!