E così mi sono fatto la terza dose.
Non è stato facile, visto che negli hub vaccinali della Val di Chiana mancano le fiale perché dei vassoi purtroppo si sono ribaltati a causa dei classici gatti di campagna penetrativi. Per questo il primo vaccino disponibile me lo dava tre settimane dopo. Solo che io speravo di farmi il cosiddetto “boost” da lì a dieci giorni, pena la scadenza del Green Pass, pena il fatto che non sarei potuto andare al cinema Politeama a vedermi il quinto capitolo di Scream, pena che se aspettavo di vederlo una volta uscito in home-video qualche hater nel frattempo mi avrebbe rivelato il nome dell’assassino o dei – purtroppo, quando capita – assassini. Per fortuna un’amica immunologa, una delle più autorevoli dell’ospedale Careggi a Firenze, professionale mi dice: “Caro Alessandro, t’invito a osservare che, nei siti internet avvezzi, i vaccini novelli vengono squisitamente palesati dopo la mezzanotte, così se ti connetti col computer lungo il ponte delle tenebre potrai trovare, artigliare e acciuffare i vaccini novelli applicati dallo stato italiano nei siti “USL”, “ASL” e “SAUB” e affini… e quanti di paraffini!!!”. La mezzanotte della sera stessa mi collego: tre giorni dopo il primo vaccino iniettabile. Ci clicco sopra e mi stappo un Crodino. Qualche attimo dopo mi arriva il documento per la convocazione. Non avevo idea di che vaccino mi avrebbero assegnato. Devo dire la verità, io speravo nel Moderna, l’hipster dei vaccini (l’ha fatto anche Micol Beltramini e altri intellettuali). Invece vedo che mi esce questo tale Sy-Klone. Mi fido.
Convocazione alla scuola elementare Francesco Mochi di Montevarchi alle 6.55 di mattina. Parto di buona lena con la mia ottima Panda canna di fucile e nel tragitto ragiono su come mai un grande scultore come Francesco Mochi non venga mai citato fra i grandi del Rinascimento. Anche nel gioco da tavolo Florenza è l’artista che ti dà meno punti. Posso dirlo? Lo dico: a me piace più del Ghirlandaio!!!
Arrivo in loco, parcheggio e mi metto in fila davanti all’hub vaccinale che nemmeno era sito dentro la scuola, peraltro chiusa, bensì aveva la foggia di un gazebo retrostante. Mi accorgo di essere l’unico in attesa. Vista l’ora, penso che debbano arrivare pure i dottori, ma dopo qualche minuto mi sento chiamare da dentro: “GORI!”.
Entro. Il posto è molto spartano ed è diviso in due diversi compartimenti da una parete di cartongesso a elle, con sopra il logo della primula. Un medico mi fa cenno di dirigermi da lui. È un tipo imponente, spettinato, con degli occhiali a goccia e una barba brizzolata che fuoriesce da una mascherina azzurra come pasta d’acciughe dal tubetto. È trincerato dietro una scrivania in compensato con sopra un incensino al vetiver e al centro, allineati, una bella penna biro Pigna e un foglio sporco di cioccolata. Me li porge e mi chiede di compilare le mie generalità, intanto fischietta una canzone che inizialmente non riconosco, ma che poi identifico in una versione molto scomposta di Be My Baby delle Ronettes. Riconsegnato il foglio inizia a farmi delle domande, come quelle prima che ti somministrino l’anestesia. Mi chiede di allergie, intolleranze alimentari, operazioni subite, malattie, farmaci che assumo, se fumo, se bevo e fin lì tutto bene.
Meno bene quando inizio a sentirmi chiedere se ho rapporti sessuali regolari, se mi masturbo, se conosco il cantante Michele Bravi, quando mi sono masturbato l’ultima volta e addirittura dove ho eiaculato. Trovo tutto un po’ entrante ma non glielo faccio notare e rispondo diligentemente. Il dottore appunta tutto, poi mette i fogli a protocollo in una cartellina bluastra e mi manda dall’altro dottore, quello dietro la parete di cartongesso.
Quest’ultimo è identico a quello di prima: imponente, occhiali a goccia, barba brizzolata, maschera azzurrina di quelle del vecchio ordinamento. Unica differenza: è stempiato. Senza nemmeno guardarmi, finendo di riempire un plico dell’INPS, mi chiede di sfilarmi i pantaloni. Lo faccio. Quindi, sempre con gli occhi sul plico, mi indica di calare i boxer. “Si metta come me”, mi dice alzandosi. Noto infatti che è nudo dalla vita in giù. Al che mi spiega che il Sy-Klone viene iniettato direttamente sotto il glande. Sempre con gli occhi sul plico raggiunge un armadietto da cui estrae fiala e siringa. Mentre prepara l’iniezione, sempre con gli occhi sul plico, mi chiede di masturbarmi. “Lo farei io, ma ho il problema di non essere gay”, mi dice. Io mi masturbo pensando alla mia ragazza Stefania e intanto lui mi parla: “Anzi, ho il problema opposto… le donne mi piacciono… e tanto…”. Io continuo e lui chiosa: “Pensi che mi sono fatto pure una di Rieti ahahahah”.
Abbozzo un sorriso, ma solo perché se lo aspettava. “Ecco… ecco… si fermi, ora è perfetto”. Finalmente toglie gli occhi dal plico. “Guardi come pulsa, lo guardi… è la perfezione… pare il cuore buono di un santo… C’est tres jolie!”. Quindi lo afferra a strozzo sotto il glande, lo pugnala con la siringa e becca piattola e vena al primo colpo. Mentre il “vaccino” (da non confondersi con “hub vaccinale”) si fa spazio nelle mie vene come una motoruspa dentro un campo agricolo, il dottore mi fissa negli occhi e sorridendomi mi fa: “Sapesse che cosce che aveva quella di Rieti, lei ci sarebbe impazzito sa?”. Sono stranito. “Da cosa lo capisce?”, gli chiedo. “Da questa erezione. Se nota con la mano sto simulando una mini-coscia”. Rimango perplesso. Completata l’endovenosa, prende un batuffolo di cotone, lo imbeve di alcool e me lo appoggia sul glande. Intanto con finta disinvoltura mi sussurra: “Bello il disco Storia di un Impiegato di De André, no?”. Quindi con una pinzetta mi applica un microscopico cerottino tondo. Per tagliarla breve ringrazio, mi rivesto e me ne vado.
Come esco dal gazebo vedo entrare due carabinieri. Un attimo dopo portano fuori quel dottore stempiato, che tenta alla buona di pararsi il viso col mini-depliant di Purina, il cibo per gatti sterilizzati. Lo riconosco e stento a crederci: è lo scrittore Christian Raimo. Lo raggiungo e gli faccio: “Ma quindi Christian… sei fluido?”. E lui in lacrime: “Sì”. Lo portano alla gazzella, aprono lo sportello, gli abbassano la testa e lo fanno entrare. Poi lo lasciano lì da solo. Io lo vedo di profilo che piange, seduto dietro, e mi fa una pena incredibile. Intanto i due carabinieri tornano a prendere l’altro dottore, ma da dentro il gazebo tuona un rombo madornale. Corriamo tutti all’interno: quel dottore s’è sparato. Dalla faccia schiantata sul pavimento, dalla barba, l’alito di Sassicaia e i denti d’oro sparsi lo riconosco: lo scrittore Francesco Pacifico.