Rolling Stone Italia

Contro il tecnofascismo

Non c’è bisogno d’essere catastrofisti per allarmarsi di fronte a oligarchi che usano la libertà d’espressione come scusa per manipolare e arricchirsi. Musk fa il saluto nazista, Zuckerberg toglie ogni argine alla diffusione di informazioni false. Concedetemi, concedetevi di aver paura

Foto: Gabriella Vaghini

Questo articolo avrebbe potuto e voluto essere una analisi. Non sono un sociologo, non sono un intellettuale, sono un musicista: dunque la modesta analisi di un musicista, invero accorata. Non credo, per come è venuto, che lo si possa definire tale a tutto tondo: mi sa che è più una raccolta di pensieri in libertà che una argomentazione subordinata a un obiettivo da raggiungere. E non perché non sappia darmi un obiettivo e raggiungerlo, ma perché l’obiettivo è impervio, e scoraggiante è la sensazione di rischiare nient’altro che di arrivare a un risultato vano (mi spiego meglio, anticipando uno dei pochi argomenti concreti del mio articolo: è scoraggiante e snervante al contempo esser presi per il culo perché si ha orrore per il saluto nazista di Musk di qualche giorno fa. Nel mondo in cui sono nato e cresciuto io l’orrore sarebbe stato unanime, in questo è da dare per scontato. Ed è disperante).

Questo articolo riguarda tutti, ma molti lo vedranno, fermandosi abbastanza in fretta nella lettura, come la farneticazione distopica di un sinistrato (o di un pidiota, o di un comunista, o di una zecca, eccetera), nonostante i tentativi disseminati qua e là di invitare a superare questa ottusa limitazione di vedute. La densità della mia visione delle cose di questo mondo pericolante sconfina col tragico e col pessimismo (è la mia indole), e forse non è il modo migliore per tentare di contribuire a prevenire il peggio in arrivo. Penne e voci diverse della mia sanno usare l’ironia e la leggerezza: della prima ho un’altissima considerazione e mi ritengo discretamente dotato, della seconda, se fatta metodo, diffido un po’. D’altronde i Marlene con le loro musiche non sono leggeri: è un fatto, positivo o negativo poco importa. Dunque questo articolo, come d’altronde tutti i miei se affronto i temi dell’attualità, si ammanta del tessuto tragico di ciò che stiamo vivendo, inevitabilmente.

Andiamo a incominciare.

1) La sindrome di Asperger su Greta Thunberg come motivo di dileggio per screditare attraverso le palle del negazionismo climatico la lotta ad esso, e la sindrome di Aspeger su Elon Musk come elemento compassionevole di menomazione della personalità, per giustificare un gesto nazista e terribile compiuto dal padrone del mondo… Nel caso di Greta vene tirata in ballo per screditarla. Nel caso del povero Ellon viene tirata in ballo per giustificarlo. Usi opposti della stessa patologia, a seconda delle necessità…

Un manipolo di persone ricchissime oltre ogni possibile immaginazione sta ingabbiando e manipolando il mondo, rendendolo sempre più povero. Ma anche sempre più in pericolo e in procinto di esplodere. È in gioco la nostra vita, quella dei nostri figli, e la sua qualità. Di tutti noi esseri umani, te compreso che leggi anche se odi i comunisti, che per te sono tutti quelli che non sono come te e quelli come te. Ma non è possibile farlo capire, e anche in questo la storia si ripete: chi ammonisce c’è sempre stato, in ogni secolo dei secoli, e chi non ha avuto orecchie per ascoltarlo, moltitudini su moltitudini, c’è sempre stato a sua volta. Studieremo sui libri anche il prossimo scempio venturo, chiedendoci «come è stato possibile?». Una domanda che mi sono posto cinque anni fa con la mia canzone Com’è possibile?, che ora sa di premonizione, visto che “parla” quasi esattamente di queste cose e di guerre in arrivo. Cinque anni fa. Mi farebbe piacere la scopriste: è nel mio primo disco solista, Mi ero perso il cuore.

2) Vi propongo un altro paradosso grottesco oltre a quello di Asperger messo qua sopra. Musk ha esplicitamente detto in alcune interviste abbastanza recenti che con l’intelligenza artificiale si rischia di perdere molti lavori, la maggior parte. Il motivo è molto semplice: lavoreranno le macchine e i computer al posto nostro. Questo ovviamente solleva il seguente tema: se la gente non avrà lavoro di cosa vivrà? Come troverà i soldi per vivere? Beh, semplice: Musk stesso ha ipotizzato una sorta di reddito di cittadinanza. Il reddito di cittadinanza è un concetto che tutti gli anti-comunisti del mondo (i sobillati che hanno votato Trump ad esempio) aborrono. E in effetti odora di comunismo, no? Reddito di cittadinanza per tutti, e buona notte alle tanto agognate differenze individuali promosse dal capitalismo di ogni generazione. Non vi sa di soluzione comunista? E non è forse grottesca l’inculata con cui gli anti-comunisti che tanto latrano addosso a chiunque non sia come loro verranno messi a posto dal capitalismo che tanto venerano?

Non sono anti-occidentalista, e non ho mai nutrito sensazioni molto negative nei riguardi del capitalismo, nel quale ho vissuto da persona occidentale. Un po’ superficialmente mi è sempre bastato sapere che non sono vittima del consumismo: non compro ciò di cui non ho bisogno. Grazie al capitalismo della sorveglianza però, che ho approfondito come tema, e grazie a un libro illuminante – Capitalismo avvoltoio, uscito per Saggiatore, serio e densissimo, che consiglio – il mio feeling nei riguardi del capitalismo in sé, della sorveglianza o meno che sia, si sta modificando. Sono davvero tante le brutture di questo sistema imperfettissimo, tutt’altro che al servizio della gente e del mito, fallace, del libero mercato. Leggere per credere: si è sempre in tempo a riordinare le proprie visioni… (Ora sì che colgo nella sua efficacia essenziale la mirabile sintesi “Produci consuma crepa” dei CCCP! All’epoca godevo del miracolo letterario in sé – tre parole perfette – e il senso, che coglievo, ne restava leggermente adombrato). In assenza di analfabetismo funzionale, di cui Internet è responsabile, dovrebbe essere un esempio illuminante questo appena suggerito del reddito di cittadinanza universale: ma non lo è e non lo sarà, purtroppo. E non sarà illuminante nemmeno sapere che Trump qualche giorno fa ha stanziato 400 miliardi per l’intelligenza artificiale (ho scritto miliardi, non milioni), perché il trumpiano ormai è un trumpiano, e lo sarà fino allo sfacelo suo, del suo idolo, dei suoi accoliti, dell’umanità stessa.

(Postilla: è lecito non essere dispiaciuti all’idea di un reddito senza far nulla nella vita. Io detesto il pretesto della nobiltà del lavoro usato per schiacciare le vite degli esseri umani. Più che «il lavoro nobilita l’uomo» propendo per «il lavoro debilita l’uomo». Ma questa attitudine, lecita e divertente, poco ha a che fare con le idee fondanti dell’estetica e dell’etica di destra e di estrema destra, e molto semmai coi dread lunghi e polverosi di un ozioso e simpatico fancazzista da centro sociale).

3) Leggete bene qua, molto bene. Nei primi anni del 1900 (speculare: noi siamo nei primi anni del 2000) Henry Ford, quello della macchina Ford, era se non il più ricco uno fra i più ricchi uomini del mondo. L’inserimento nelle sue fabbriche di un nuovo metodo produttivo (la ben nota catena di montaggio, responsabile dell’umiliazione e mortificazione di milioni di vite nel corso dei decenni, caso esemplare di lavoro che debilita l’uomo) aveva dato i suoi frutti. Le sue macchine erano ambite ovunque nel mondo, e anche in Germania, la Germania di Hitler. Ford era fortemente antisemita, e scrisse un libro L’ebreo internazionale che venne pubblicato da un settimanale antisemita di estrema destra controllato da un suo segretario privato. Avete letto bene? Ora leggete anche meglio: Hitler apprezzò molto questo libro, e lo citò più volte nel suo tristemente noto Mein Kampf. E dunque i due si conobbero, si apprezzarono molto, e Ford venne insignito della prestigiosa (si fa per dire) onorificenza dell’Ordine dell’Aquila tedesca. Con la conversione in regime fascista della vita socio-politica del nostro Paese il libro venne anche tradotto in Italia.

La cosa più rimarchevole è però questa che arriva ora: Ford sostenne l’allestimento di quasi tutto l’armamentario della Germania che si preparava alla guerra, tra camion, carrarmati e aerei e quant’altro. Glieli costruì proprio, sostenendo la follia nazista. Un distaccamento a Colonia della Ford americana (evidente caso di delocalizzazione della produzione) impiegò schiavi ebrei per produrre a ritmo serrato. Schiavi ebrei, lo riscrivo. Bisognerebbe non essere obnubilati dalle propagande e dalla lobotomizzazione per intravedere raggelanti rassomiglianze con il saluto nazista di Musk, l’uomo più ricco del mondo, come Ford cento anni fa, esattamente nel periodo dell’inizio dell’avvento del nazismo… Saluto, quello di Musk, fatto qualche settimana fa in mondovisione, un ammiccamento preciso e voluto (è o non è un uomo di comunicazione?) che corrobora e rinforza i suoi vari appelli al popolo tedesco di virare verso il partito di estrema destra a ispirazione nazista AFD.

Questi appelli, espliciti e non velati, Musk li fa sulla sua piattaforma: ne avete letto? Ne avete sentito parlare? Queste sparate assurde e surreali Musk le fa in nome della tanto sbandierata libertà di espressione della rete, che è nient’altro che il più grande raggiro della narrazione dei capitalisti della sorveglianza (MuskBezosZuckerGoogleeccetera) per addomesticarci tutti e imbrigliarci nei loro social, al quale hanno abboccato, oltre alla popolazione poco disponibile alle riflessioni nella sua quotidianità vessata dal lavoro e dalle preoccupazioni, centinaia di migliaia di sedicenti e bepensanti furbi. E siete al corrente di quest’altro fatto? Musk giusto pochi giorni fa ha rivolto al popolo tedesco l’invito a non avere più sensi di colpa per quanto successo sotto Hitler ai danni del mondo. È mai possibile che la lobotomizzazione sia giunti a tali livelli per cui questi deliri vengano visti come normali da molti? Anzi: vengano letteralmente ignorati? Ed è mai normale che se gente come me ne parla allarmata ci sono schiere di persone pronte a prenderla per il culo?

No che non è normale: è un incubo. Penso che tutto ciò sia dovuto alla manipolazione della rete, potentissima e irrefrenabile, e di queste cose parlo da tempo nei miei articoli: sempre più stanno emergendo come la nuova normalità. Ma d’altronde, parliamoci chiaro: quando il nazismo iniziò a crescere, e il fascismo in Italia idem, l’incantamento e la manipolazione del popolo erano già attuati. Se no non si sarebbero affermati. Servirono lo scempio e la distruzione per far capire ai sopravvissuti le gravi colpe dell’indifferenza, e a piangerne per anni. C’è qualcuno disposto a revisionare certe sue vedute o a raddrizzare la pigrizia dell’indifferenza? (La parola indifferenza evoca Gramsci… proprio lui, che visse una vita – venti anni, non quattro o cinque – imprigionato dal regime per le sue opinioni scomode, e, probabilmente, grazie anche all’indifferenza dei più. Fu lui a proferire la famosa frase «Io odio gli indifferenti». E, guarda un po’, fu lui a inventare il termine fordismo, di cui poi si appropriò il mondo per raccontare un gigantesco fenomeno sociale).

L’articolo potrebbe fermarsi qua: è già corposo e denso. Ma in realtà queste sarebbero per me le premesse. Vediamo fin dove lascerò andare a briglia sciolta i miei pensieri prima di decidere che ho sforato qualsiasi limite tollerabile della pazienza di chiunque.

Questo articolo è doloroso tanto quanto quello che scrissi poco tempo fa sul riscaldamento climatico: teoricamente dovrebbe avere il coraggio di trasformarsi in un grido di allarme accorato e ultimativo, ma so che non ne sarò in grado. Troppe le remore di svariata natura che si frapporranno tra il mio stato d’animo impaurito e il timore di andare incontro a troppe insopportabili reazioni ilari, molte di più di quelle che già devo mettere in conto sapendo di non poter far altro che cercare di trovare il giusto coefficiente di persuasività in un contesto di brillante moderazione. Sempre più, ormai, scrivo questi articoli con spirito di rassegnazione e sensazione di assoluta inanità: il mondo ha scelto la sua deriva e sono esageratamente tante le orecchie di chi non vuol stare a sentire. Non le mie parole, chiaro, ma l’allarme diffuso di centinaia di commentatori e sociologi e intellettuali di ogni latitudine del mondo occidentale.

Spiace dirlo, ma la lobotomizzazione in corso è mostruosamente radicata in troppe teste (dopo aver letto Capitalismo avvoltoio so di essere a pieno titolo un lobotomizzato a mia volta), abbindolate in modo strutturato da un sistema – per sintesi: la tecnologia – ben più potente di quanto gli stessi vogliano o possano immaginare. C’è della presunzione? Chi la vorrà vedere l’ha appena vista con queste poche frasi e altra ne vedrà, volendola vedere, in tutte le successive. Ma amen: c’è molto poco da perdere e tutto da guadagnare. Anche una briciola di consapevolezza instillata in una sola persona renderà giustizia a parole semplicemente vere, e non presuntuose. Che si riferiscono a un futuro di cui è giusto essere molto impauriti.

Perché dovrebbe trasformarsi in un grido di allarme? Perché penso che stiamo andando incontro a cose brutte e tragiche: guerre, cambiamento climatico, manipolazione, perdita del primato dell’intelligenza – e della coscienza oso dire – a scapito delle macchine (ricordatevi i 400 miliardi di cui sopra), pericoli immani per la democrazia (le decine di decreti di Trump in queste ultime ore stanno lentamente tentando di smantellare certi pilastri della costituzione americana), incomprensioni, fine della verità, fine della fatticità, nazismi, fascismi, autoritarismi, mondo incattivito, limitazioni del pensiero, restringimenti, inibizioni, catastrofi, povertà, decimazioni, scarnificazione della nostra personalità (l’estrazione dei nostri dati quando navighiamo), ottundimento, propagazione inarrestabile dell’ignoranza (Internet ci risolve tutto, e il nostro cervello smette sempre più di pensare. E guarda caso ai figli dei potenti della rete è vietato l’uso degli smartphone), privazione del lavoro (dopo averci oppresso, beffato e sfruttato con i parossismi dell’h24, che per ora sono ancora vivi e vegeti e mortificanti in attesa di AI).

Sono pericoli letali che riguardano tutti noi, e non vedo come in previsione di contesti funesti simili non ci si dovrebbe allarmare inquietati e impauriti. Tutti lo saremmo. Se non fosse che questo elenco ha l’elevata probabilità di aver fatto sganasciare dalle risate un buon numero di lettori. Tristemente invischiati nella melma di un mondo che esattamente questo vuole da noi – la confusione suprema e polarizzata dei contesti sociali – siamo strattonati qua e là da un turbinio di informazioni che si sono sostitute ai fatti e che offuscano la sostanza di qualsiasi verità trasformandola in una opinione, generalmente urlata. L’opinione è quella cosa che, l’ho visto poco fa sui social, fa dire in una intervista pubblica a una persona come Mel Gibson – che ti aspetteresti non fosse uno stupido – che l’evoluzione non esiste, chiamandola con un ghigno supponente «The Darwin thing». L’opinione è quella cosa che gli fa dire «Io non derivo dai pesci. Io penso che sono stato creato». Il problema è lì, in quel “penso” che vale come anni e anni di studio di centinaia e centinaia di scienziati. Io penso, e tu, scienziato, puoi dire che cazzo vuoi: tanto non ti credo.

La rete pullula di tutto ciò, lo propaga, lo favorisce. O meglio: gli algoritmi di Zuckerberg e degli altri tre o quattro balordi lo favoriscono. E la propagazione di balle, sostenuta e foraggiata dagli algoritmi per tornaconto personale dei capitalisti della sorveglianza, confonde l’umanità, rinforza una opinione pubblica e la sua contraria, e le mette l’una contro l’altra, assumendosi la gravissima responsabilità di sdoganare i negazionismi tipo quello sul cambiamento climatico, che il 99% della comunità scientifica mondiale ha ormai sancito esserci a causa delle nostre attività nocive come l’emissione di anidride carbonica. E se il negazionismo ha dignità di esistere «in nome della libertà di espressione» (in realtà è solo e unicamente in nome di un business smodato di centinaia di miliardi) troppa gente viene convinta che il cambiamento climatico a causa delle nostre attività è una bufala, e questa situazione impedisce all’umanità di trovarsi tutta concorde e impaurita nel provare a arginare il peggio, che arriverà.

Ecco perché abolire il fact-checking da parte di Zuckerberg è stata una schifosa mossa unicamente fatta in nome del business. Ed ecco perché parlo di gravissima responsabilità morale di questi oligarchi. E anche queste sono cose che da circa cinque anni dico, dopo averle approfondite e studiate almeno sette o otto anni fa. O forse anche di più. Il mio libro Il suono della rabbia lo esplica bene con gli articoli redatti tempo addietro e ivi raccolti, e dimostra chiaramente in che senso eliminare il fact-checking abbia a che fare con il business criminale dei billionaires. E la libertà di espressione in tutto ciò è solo uno specchietto per le allodole, che in questo caso, purtroppo, altro non sono se non utili idioti.

Se quel che ho scritto è vero (se quel che ho scritto fosse vero, se preferite), non c’è (non ci sarebbe) un cazzo da ridere. E siccome è vero non c’è proprio un cazzo da ridere. Mi conforta il fatto che sempre più gente questa cosa la stia capendo. Non la maggioranza purtroppo.

Temo però che anziché tentare di illustrare i perché o i percome delle tante cose brutte che stanno accadendo (all’origine avrei voluto unicamente parlare dell’annullamento del fact-checking, che mi ha disgustato tanto quanto è piaciuto ai paladini della libertà di espressione… «Chi controlla il controllore?» sento borbottare in sottofondo… Beh, e chi ci salva dal cambiamento climatico se metà popolo nega o si disinteressa grazie ai negazionismi lasciati liberi di turlupinarlo in assenza di fact-checking, ribatto io? E chiedo: cosa è più urgente?), anziché illustrare i perché e i percome, dicevo, questo articolo potrebbe trasformarsi in un flusso di coscienza in cui dire molto di me stesso: stremato all’idea di sciorinare considerazioni intorno ad argomenti di cui da giorni molti dibattono sui social (e meno male, visto che il dibattito, allarmato, è innescato dalle persone come me impaurite), cosciente che in questo momento storico in fibrillazione chi non vuol sentire non sente, credo che l’avvoltolarmi su me stesso potrebbe avere la valenza di uno stratagemma per provare a persuadere da qualche altro punto di vista sulla necessità al giorno d’oggi della riflessione, del ragionamento, della sua densità, della sua costanza, del pensiero, per difendersi, per stanare ciò che è giusto oltre ogni dubbio.

Posto che il dubbio in sé è sacro, sto parlando di quella fastidiosa specie di dubbio seriale e automatizzato che mette in dubbio ciò che non deve e non può essere messo in dubbio, come il senso del divieto espresso dal rosso di un semaforo, la certezza di una evidenza scientifica, il saluto nazista di Elon Musk… Ma in Internet è ormai necessario dubitare, a costo di ribaltare la verità o di ignorarla proprio, considerandola un orpello inservibile esattamente come le palle di Trump, che della verità nemmeno più si preoccupano. Perché è Internet coi suoi artefici – gli oligarchi del capitalismo che ci dominano tutti e che la rete l’hanno costruita così come ora la abitiamo – che lo vuole. Questo dubbio di cui parlo è il core business della post-verità in cui tragicamente viviamo, figlia di Internet. Grazie al dubbio di ogni cosa, anche di quelle indubitabili, passiamo le nostre ore sui social a scannarci: ed è esattamente ciò che si vuole. Perché più stiamo lì dentro più produciamo dati per la nostra profilazione coi nostri click. Ma queste cose le ho già dette e scritte tante volte…

Non dunque un eccesso patetico di vanità da parte mia nel parlare di/su me stesso, ma la sensazione orrenda di non aver più nessuna possibilità, in rete, di scardinare l’algoritmica essenza della lobotomizzazione in atto.

Come ho già scritto tante altre volte, anche in articoli entrati poi a far parte del mio libro, non sono una zecca, non sono un sinistrato, non sono un pidiota, anche se ho sempre votato PD e sinonimi in alternanza al Partito Radicale. Io non rosico: io temo. Anni addietro lessi un ipotetico decalogo (o era un prontuario? Poco importa) dei valori fondanti dell’essere liberale, che è definizione sgusciante e comprensiva di tante cose, alcune a volte quasi in contraddizione, e scoprii che mi appartenevano: in sintesi quisquilie come diritti e istruzione per tutti, libertà d’azione e di pensiero del singolo individuo, empatia, principio di uguaglianza, pluralismo politico e culturale. Quindi sono uno che ha sempre votato PD e/o Partito Radicale con una coscienza politica non molto raffinata all’insegna del senso del dovere civico, e con un’indole da persona libertaria: spero ci sia la volontà di comprendere che si può essere persona non di destra senza essere per forza degli idioti ideologizzati, per brevità comunisti secondo un certo sovraeccitato disprezzo che ormai infarcisce le constatazioni di moltissime esternazioni provenienti da destra.

Sono un equilibrato signore che usa il cervello con quotidiana applicazione, e che dà valore supremo alla ragione e alla ragionevolezza, alla riflessione, allo spirito critico, alla curiosità intellettuale e alla sua sorella “onestà”, al senso dell’approfondimento culturale, alla lettura (di libri oltre che di link), alla scienza, che oltre a essere quella cosa che Trump e il suo popolo detestano, è anche quella grazie alla quale, per dire, tutti gli ilari del mondo possono sghignazzare in Internet, che non è stato inventato da un influencer o da un opinionista riverito di qualche meandro della rete. (Meandro, per inciso, né più né meno importante di tutti gli altri meandri della rete stessa, che messi insieme fanno il campo da gioco di ZuckBezMuskGoogleeccetera nel quale noi, tutti noi esseri umani, siamo giocatori costretti, asserviti e sviliti). Mi ritengo signore così equilibrato da sapere riconoscere in me la potenziale presenza di molti bias cognitivi, con la consapevolezza di navigare dove gli algoritmi decidono io debba navigare. Sono come tutti voi nella mia bolla, che gli algoritmi giorno dopo giorno costruiscono per me impacchettandomi come un bene di consumo qualsiasi da buttare nel marketplace del capitalismo della sorveglianza. Io come tutti voi, nessuno escluso.

Ma visto come pare evolversi il non-pensiero della moltitudine in rete, ritengo, al confronto, di avere qualche idea-consapevolezza più fondata. Anzi: molto più che qualche… E ce l’ho da parecchio tempo. Perché? Perché da almeno venti anni a questa parte mi pongo la questione di come fare, come musicista, a non farmi fottere da Internet. In cosa mi fotte Internet? Dovreste saperlo tutti ma ve lo riscrivo: Internet da quando esiste mi prende gratis tutta la musica che produco, e mi vanto di essermene accorto più o meno nel 2003-2004 o giù di lì. E da quel fatidico giorno ho provato in tutti modi a capire se c’era un argine o una soluzione: la battaglia è stata persa – anche i Radiohead, potenti e mondiali, non l’hanno mai vinta nonostante i tentativi, e anche Neil Young – ma tant’è, da una ventina d’anni a questa parte bazzico la rete per cercare, anche, di capire com’è fatta. E leggo libri, mi informo, capto, ragiono, e ovviamente mi arrabbio, perché nel frattempo l’oggetto della mia attenzione non è più stato soltanto la mia musica gratis, ma cos’è Internet a tutti gli effetti.

La battaglia che ho intrapreso mi ha condotto alle consapevolezze che, per dire, ho trovato tutte molto bene espresse in Infocrazia, libro di Byung-Chul Han che consiglio (è breve: non più di 100 pagine). Leggere questo libro in questi giorni, nonostante sia uscito nel 2023, è stato per me una confortevole conferma di cose che penso da tempo (sia chiaro: in alcuni passaggi ho acquisito nuove sensazioni, ben sintetizzate dal suo linguaggio efficace e lapidario e dalla sua competenza. Analizzare i contesti sociali con intelligenza è il suo compito, non il mio). In base a tali consapevolezze (torno al fatto che non sono una zecca eccetera) io non sono uno che rosica, capito?, perché a me per certi versi frega un cazzo che la destra vada al potere: credo nell’alternanza in democrazia (ahimè, la democrazia sta per salutarci), e credo che non si possa pretendere di imporre un pensiero unico, anche supponendo che sia ragionevolmente giusto, semplicemente perché troppa gente non la pensa come me/te/noi/voi/loro. Ergo la democrazia teoricamente dovrebbe svolgere la funzione che svolge la retta interpolatrice in statistica: rappresentare una media fra tutti i dati-opinioni divergenti disposti come una nuvolaglia su un grafico per rappresentare una media e, metaforizzando, scontentare il meno gente possibile. È per questo che detesto gli estremismi in politica, a destra come a sinistra, semplicemente perché non rappresentano la più parte della volontà popolare.

Ma il tema è purtroppo complesso: esistono cose che sono semplicemente giuste, che vanno oltre il buon senso e la volontà popolare, e queste dovrebbero essere vigenti come regole. È forse opinabile passare col rosso a un semaforo? No, non è opinabile: il semaforo regola il traffico. È una regola che l’umanità si è data per evitare incidenti e morti. E questa immagine del semaforo si fa metafora per dire di cose che sono non discutibili, come un saluto nazista fatto in mondovisione da un oligarca, che è tale, il saluto nazista, perché basta vederlo. E che in quanto tale ha del tutto senso ritenerlo gravissimo, visto che i nazisti e i fascisti esistono e stanno aumentando. (Il concetto di “regola” è molto caro alle persone di destra: regola, ordine, disciplina, eccetera. Ma io parlo delle regole in Internet, che non sono mai state messe e ce ne sarebbe stato bisogno: lo penso dal 2004-2005). E si dovrebbe anche cogliere che una cosa giusta è a suo modo vera, senza troppe sottigliezze filosofiche… (Ah la verità, che Internet ha letteralmente debellato…). Io sono un artista: credo fortemente nelle regole che mi do quando creo. Dante Alighieri si dette, fra altre, la regola del numero 3 per la sua Divina Commedia: e grazie anche a questa regola la Divina Commedia è un capolavoro. Senza qualche tipo di regola l’artista non va quasi da nessuna parte se non per puro accidente…

Ma torniamo a noi: l’unica cosa di cui mi frega, e che va oltre la corretta essenza dell’alternanza in democrazia, è l’orrore per l’estrema destra (lo proverei anche per l’estrema sinistra se fosse in auge), che è incarnata compiutamente dal fascismo e dal nazismo, e che in assenza di reazioni concrete è sostanzialmente in arrivo. E dunque, io non rosico. Io ho semplicemente paura. E, noto, ora siamo in tanti ad aver paura. C’è una dignità nella paura, che va riconosciuta e rispettata. Non dalle crape vuote, troppa grazia, ma dai potenzialmente senzienti e intelligenti sì, ci sta. Concedeteci di aver paura, non prendeteci in giro: semmai aiutateci con argomenti che ci sappiano convincere realmente che stiamo esagerando. Fatelo con premura e pazienza, abbiate argomenti incontrovertibili, inconfutabili, ragionevoli oltre ogni possibile dubbio, dimostrateci di aver letto molto su cosa è stato il fascismo, cosa il nazismo, cosa il comunismo in Russia, e di aver visto – commuovendovi – certi film, come Schindler’s List, per dire, o di aver letto Arcipelago gulag o I racconti della Kolyma, sempre per dire (ma in Internet questa della verità è ormai una chimera: dovreste leggervi Infocrazia per acquisire una informazione tremenda, che ora vi scrivo per bene: in Internet, per la precisione nei social, la verità e la democrazia non esistono, non sono possibili): se riuscirete a convincerci, non blaterando, non ironizzando, non liquidandoci, saremo disposti a cercare di vedere nel saluto nazista di Musk la gaffe di un Asperger o di uno psicopatico autistico.

Ma dovrete convincerci con la razionalità, non con le opinioni e la caciara, perché per noi quello è un saluto nazista, senza se e senza ma, e dovrebbe inquietare tutti. Ci basta vederlo quel saluto: non mistificate l’evidenza, non con noi, non potrete riuscirci. Quello è un saluto nazista, lo faceva paro paro Hitler, e le immagini lo dimostrano (ma di nuovo: in Internet, con la sua truffaldina libertà di espressione – la bufala che ci ha raccontato lo psicopatico Zuckerberg in tutti questi anni – anche una foto o un fatto sono deprivati della loro inconfutabilità. Di nuovo: qualcuno si legga Infocrazia di Byung-chul Han). In alternativa, continuando a prenderci in giro, pagherete con l’onta della vergogna, ex-post, a danno avvenuto, assimilato, subìto, l’averci preso in giro. Ve lo posso garantire. Non ve ne frega nulla? Staremo a vedere. Perché il danno farà vivere e star male pure voi che ora ridete tanto. (Lo so, questo tono appare protervo, supponente, aggressivo… Ma ci sono due cose da dire: 1) siamo in tanti a non poterne più della grettezza e delle risposte ottuse; e soprattutto 2) «La società tollerante non può tollerare l’intolleranza, se vuole mantenersi tollerante». Si chiama paradosso di Karl Popper, e nello specifico in questi tempi moderni allucinanti permette di tenere a bada, almeno idealmente, chi ti dà del fascista se cerchi di zittire la sua ignoranza aggressiva e spudorata sulle cose giuste e vere, tipo una evidenza scientifica. O tipo un saluto nazista. Il mondo al contrario è questo qua, non quello di Vannacci).

Il puntiglioso mi farà notare che dare dello psicopatico a Zuckerberg è una opinione in assenza di prove. Nessun dubbio: è una opinione. Ma, ehi: una caratteristica della psicopatia è l’assenza di empatia. E sono tremendamente certo, senza nessun dubbio, che a quell’essere, come ai suoi compari BezMuskGoogeccetera, la premura per noi esseri umani, suoi semplici servitori, sia radicalmente aliena. Tutti noi gli serviamo e basta, esattamente come a lui serve Trump. Resta un’opinione, lo so. E amen.

Questo articolo è ormai lunghissimo: avrò fatto il record? Lo porto verso la conclusione dicendo una cosa accorata e rievocando alcune parole non scritte da me.

L’altra sera ero a casa di un mio caro amico. Una cannetta appropriata ha acceso i sensi e le percezioni intellettive, con noi reduci da una lunga chiacchierata in cui tutto quello che avete letto fino a qua era stato sviscerato con costernazione, senso di smarrimento, rassegnazione, timore e voglia di continuare a sperare. Quel bel tipo di conversazioni in cui viene fuori la parte di te più emotiva a sostenere la parte raziocinante e riflessiva: conversazioni che accendono e infervorano. A un certo punto lui è andato a prepararsi per andare a cena, e sono rimasto solo sdraiato sul divano. La mia mente ha cominciato a vagolare, sulle onde di quella estenuazione a cui la consapevolezze ci avevano portato.

Ebbene, ho sognato la bontà che potrebbe esserci fra tutti noi, che siamo mediamente buoni e gentili in così tanti momenti della nostra giornata. Nessun nemico, nessuna rabbia artefatta e comandata, nessun gruppo sociale in guerra con noi. L’uomo è capace di bellezza d’animo, bontà e compassione istintiva, e sarebbe così bello poter andare incontro a questa predisposizione, tutti insieme… È in tutti noi, ma non ce la vogliono lasciar esprimere… Pensate: a un certo punto, durato tre secondi al massimo, ero così emozionato da riuscire a visualizzare un abbraccio indistinto fra me e le persone. Poteva essere chiunque, non c’erano distinzioni di sorta: si era tutti buoni e gentili, e pacifici.

Poi il mio amico è tornato, gliel’ho raccontato quasi commosso, e sulle ali di questa piccola soddisfazione estemporanea siamo andati al ristorante.

Ed ecco le parole non mie, un estratto:

Immaginate che non ci siano patrie
Non è difficile farlo.
Nulla per cui uccidere o morire.
Ed anche alcuna religione.
Immaginate tutta le gente
che vive la vita in pace.

Si potrebbe dire che io sia un sognatore,
ma io non sono l’unico.
Spero che un giorno vi unirete a noi
ed il mondo sarà come un’unica entità.

E dopo aver immaginato ciò, pensate che Trump sostiene che l’essere scampato a un attentato è un segno divino…

P.S. Comunque la soluzione per la propria salvezza personale, almeno quella, per non impazzire, c’è: si chiama “Non entrare più nei social”. Siccome lo sto facendo da ormai dieci giorni, se sarò così abile da continuare in questa virtuosità ve ne racconterò in un prossimo articolo i benefici. Che sono tanti.

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