Datevi una calmata con sta storia del politicamente corretto | Rolling Stone Italia
Boomer Gang

Datevi una calmata con sta storia del politicamente corretto

Nel giornalismo italiano le domande sul politicamente corretto sono completamente a caz*o ormai: contengono già la domanda, la risposta e l’applauso, una tassa da pagare al senso comune di destra

Datevi una calmata con sta storia del politicamente corretto

Guè

Foto: un particolare della copertina di ‘Tropico del Capricorno’

Alberto Piccinini: Esistono studi serissimi di popular music che si basano sui commenti lasciati dagli utenti sotto i video di YouTube. Ti è mai capitato di leggerne uno? Un mondo bellissimo, meno esasperato di quello degli altri social, forse perché è una bacheca casual che non richiede necessariamente il botta e risposta, predilige i tempi lunghi, un po’ di sarcasmo, a volte nostalgia, ricordi, commozione. «Chi qua per Cecilia Sala?» leggo sotto il videoclip di Caramelle (2017) della Dark Polo Gang dove, come ha scoperto giorni fa il glorioso Messaggero con uno scoop da mille punti, Cecilia Sala aveva due o tre inquadrature da comparsa nella gang delle ragazze. (“Mi chiama solo per la droga (…)/ Le vendo a lei, lei le vende in zona”). «Piskelletta dark», risponde uno. La DPG è già nostalgia, che bellezza, e gli ayatollah muti.

«Cecilia si è fatta il gabbio», scrive Carlitow (tipico nome da commentatore di YouTube), «quindi ha più street credibility di chiunque altro in questo video». Lei ha addosso un po’ styling di quando scriveva storie per Vice, giornalismo spericolato o qualcosa del genere. Un giornalismo serio oggi potrebbe indagare i rapporti tra lo stile di Vice, la nascita della trap, il ruolo dei social bla bla. Invece niente. Leggo su Mowmag: «Ma indossa davvero una giacca Barbour? Ecco cosa sappiamo». C’è una foto di Lady D col Barbour. Non so se tratti di un soffietto pubblicitario, non si capisce, sono smarrito. Invece il commentatore Gian, sempre su YouTube, ha su Cecilia Sala nel video una battuta migliore: «Ma quelli che indossa sono i famosi occhiali che non le facevano tenere quando era al gabbio?». Lei conta i foglietti colorati grandi come post-it che se ho capito bene la sceneggiatura dovrebbero essere banconote o allucinazioni di banconote, allucinazioni di sceneggiatura. I ricavi delle caramelle, insomma che la gang delle femmine rivende in giro. «Grande Cecilia ti seguo da quando ti hanno arrestato all’estero», non so perché mi sembra un commento geniale sullo stato delle cose e sul come stiamo.

DARK POLO GANG - CARAMELLE Feat. MARÏNA (Prod. by Sick Luke)

Giovanni Robertini: Le storie Instagram della mia bolla allargata – ma credo pure della tua – in questi giorni si dividevano equamente tra la foto truffautiana dell’abbraccio a Ciampino di Cecilia Sala al suo compagno giornalista Daniele Ranieri e il video dell’inseguimento dei carabinieri che ha portato alla morte di Ramy Elgaml: sirene, telecamere di sorveglianza, TMax, GoPro in soggettiva, Ramy, Tares, videocamere del telefonino. Videogame, poliziesco di genere, tv del pomeriggio, e naturalmente la trap, quella amata da Ramy che sognava di diventare Baby o Simba come i suoi amici “maranenzelli”, così li chiama la fidanzata Neda che spera di trovare nel suo telefonino ancora sotto sequestro qualche barra scritta e lasciata lì, epitaffio in quattro quarti. Ma la trap non va sprecata come colonna sonora di un remake de L’odio al Corvetto. La trap è, nel suo mito fondativo, l’inseguimento tra guardie e ladri, con regole morali d’ingaggio più aderenti alla realtà di quelle di un codice della strada, o penale, o dei tanti signor Rossi da bar sport: nella trap nessuno si ferma a un posto di blocco, le guardie vogliono eliminare i ladri, mica fargli la multa, la giustizia è un cliché borghese, prendi i soldi e scappa. Non ci sono semafori, ci sono la velocità, la fuga, la galera e la morte.

Guardie e ladri nascono nello stesso quartiere, uno deve correre e l’altro deve inseguirlo, è la catena alimentare della strada che racconta il novello Califano Ketama 126 nel suo nuovo pezzo La caciara, folk trap di culto: “Che vita amara / sirene in mezzo alla strada… due piotte sulla tangenziale / senti che caciara” . Il “se si fossero fermati al posto di blocco tutto questo non sarebbe successo” è un racconto distopico, anche romantico se vuoi, l’eden di ogni ossessione securitaria che piazza telecamere ovunque, manco fosse Squid Game. L’esperimento sociale è vedere i topolini che si rincorrono – topi guardie e topi ladri, entrambi in trap-pola – ogni giorno in televisione. E noi che siamo cresciuti con The Revolution Will Not Be Televised di Gil Scott-Heron non sappiamo più che farcene delle telecamere, sentiamo solo le sirene. Ovunque.

AP: Poesia. Pura poesia. Prima o poi farò un elenco dei cantanti che odiano Tony Effe e dei loro anatemi che mi sono arrivati puntalmente ogni «Sogno un futuro in cui a vedere Tony Effe non ci va nessuno». Oppure: «Si tratta della responsabilità di essere cantautori». Peggio la seconda. E mi piacciono molto anche le domande sul politicamente corretto completamente a cazzo ormai, che contengono già la domanda, la risposta e l’applauso, una tassa da pagare al senso comune di destra. Mi sono appuntata quella di Maurizio Caverzan, critico culturale del Giornale, a Carlo Verdone: «Questo politicamente corretto ci sta facendo andare fuori di testa?». E che je voi di’? Poi con Verdone sfondi una porta aperta ormai, ma era peggio il resto su dio, aldilà e religione. Un bel voto invece a Corrado Guzzanti, simbolo di tutti i boomer che invecchiano bene con la coscienza che si dovrebbe avere dei propri limiti. In un’intervistina promozionale per I delitti del Bar Lume dice: «Crozza? È bravo Ma per me non è più una cosa così eccitante, non farei salti di gioia se dovessi imitare Sangiuliano o Valditara. Prima avevi giganti da buttare giù». Di nuovo: che je voi di’?

GR: A proposito non so dirti bene che effetto mi ha fatto vedere Guè e Paolo Sorrentino che chiacchierano sornioni nella suite dell’Hotel Bulgari da 30 mila euro a notte, fotografati sulla copertina del Venerdì di Repubblica. Titolo del servizio: La strana coppia. Non troppo strana dai, Guè è un personaggio sorrentiniano, un po’ Tesorone di Parthenope, e Sorrentino si muoverebbe a suo agio nel pimpatissimo nightclub dell’immaginario del rapper. Ho storto il naso solo su un passaggio dell’intervista, quando il regista descrive Guè come uno che «del politicamente corretto se ne infischia, nelle canzoni e nella vita». Ecco no, ok la suite Bulgari da 30k, potete pure sfasciarla come le vere rockstar, ma datevi una calmata con sta storia del politicamente corretto. Altrimenti vi facciamo pagare il conto della stanza.