Degli attori figuranti di Bucha e delle balle di regime | Rolling Stone Italia
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Degli attori figuranti di Bucha e delle balle di regime

La guerra è propaganda, ma perché credere proprio ai russi? Un consiglio: se tentennate a condannare certe nefandezze, ascoltate il podcast di Alessandro Barbero sullo scoppio della Seconda guerra mondiale

Degli attori figuranti di Bucha e delle balle di regime

Cristiano Godano

Foto: Michele Piazza

I miei articoli sono sempre lunghissimi, lo so, lo sapete. Ma oggi vorrei trovare una sintesi efficace e veloce per esprimere uno sdegno di molti.

Lo sdegno… È quasi sempre stato il motore principale della mia ispirazione qua per voi, e non son sicuro di esserne contento. Nel senso: possibile che io mi ispiri soltanto per tramite dello sdegno? Non sarei, almeno sulla carta e con i miei cantati, uno che cerca la bellezza ovunque? Epperò: se dico e canto che cerco la bellezza è ovunque vorrà pur dire che la trovo anche nello sdegno… E allora si torna ai miei intenti qua: cercare la narrazione, rifuggire dall’idea dell’articolo in sé con le sue esigenze di sintesi, e proporre come primo scopo una prosa che possa catturare l’attenzione paziente del lettore, come se leggesse un libro (prosa sdegnata o sgravata di ogni pesantezza che sia). L’ho già scritto altrove, e so che molti qua mi leggono con quegli intenti, aspettando i miei elzeviri per gustarseli con calma: motivo ampiamente sufficiente e molto gratificante per continuare su questa strada. Anche se oggi vorrò essere agile, veloce e sintetico.

Lo sdegno di cui sopra origina dalle foto di Bucha, il quartiere di Kiev dove sono stati commessi i soliti efferati crimini che una guerra porta con sé, in qualsiasi latitudine e in qualsiasi guerra. (Per chi non lo sapesse, ma dubito, quelle foto mostrano i morti lasciati come i bianchi sassi di Pollicino lungo il percorso di ritirata dei russi nelle strade della città – ma senza nessuna possibilità di servire a sconfiggere l’orco come nella celebra fiaba – e un po’ di gente le considera fake perché la propaganda russa gliel’ha messo in testa).

Ma per arrivare lì vorrei partire da un podcast che ho sentito proprio ora, giratomi da mio fratello. Prima di mettermi a scrivere ho deciso infatti di ascoltarlo intuendolo potenzialmente connesso con ciò di cui desideravo argomentare. Sembra essere uno dei podcast più ascoltati di sempre fra quelli fatti da Alessandro Barbero, storico di chiara fama qui in Italia e ottimo intrattenitore nelle sue lezioni di evidente e indiscutibile competenza: al netto della presumibile pruderie dell’estremismo intellettualoide di qualche studioso intransigente votato alle conventicole, le sue capacità divulgative non dovrebbero intaccare la profondità della sua preparazione, autorevole, che io sappia, presso praticamente chiunque. Una fama particolarmente bipartisan oso dire, visto che è molto difficile sentire nella sue parole una provenienza politico-ideologica. Dunque il mio dovrebbe essere un suggerimento potenzialmente accettabile a destra come a sinistra, e anche fra molti degli irriducibili contestatori di tutto ciò che puzza di mainstream.

La puntata del podcast si chiama La seconda guerra mondiale: come scoppiano le guerre. Io che l’ho appena ascoltato ho il batticuore e fremo: vorrei che tutti sentissero con attenzione e molta intelligente dedizione questa potentissima esposizione, per rintracciare fra i detti e i non detti le incredibili, stupefacenti e innumerevoli analogie a tutto campo che, mutatis mutandis, si possono adattare con incredibile aderenza alla situazione attuale. C’è da dire in verità che questo esercizio dello scovare le analogie col passato è stato molto sostenuto e praticato dalla parte a me invisa dello schieramento in corso, che dalla pandemia in avanti ha “mietuto” vittime fino a portare molte persone a vaneggiamenti vari, tipo, caso estremo, le orrende messinscena di chi simulava i lager nazisti “vestito da ebreo” per additare la dittatura sanitaria in corso e paragonarla al nazismo omicida della Germania del secolo scorso. E quindi anche questo mio invito ad ascoltare un podcast per rintracciare le analogie col passato si inserisce in un solco che, purtroppo, rischia di collocarsi comunque da una parte invisa all’altra, senza quasi convincere nessuno. Ma conto sull’autorevolezza bipartisan di Barbero per decidersi comunque a dargli un ascolto intelligente, e valutare come sia tutto tremendamente già stato vissuto un’ottantina di anni fa (noi per ora siamo un passo al di qua del peggio, ovviamente, ma in merito a tutto il resto… beh ascoltate il podcast!). Ci troverete le rivendicazioni delle minoranze che si sentono marginalizzate nel territorio dove si ritrovano, il dittatore di turno che fomenta la pancia della gente dello stato-madre per far lievitare un sentimento che sostenga questa rivendicazioni fino a determinare schieramenti, odi e giustificazioni a invasioni di stati sovrani, la stampa di regime – c’è sempre stata, a ogni latitudine, con differenti gradi di evidenza e spudoratezza – costretta a alimentare la propaganda per orientare l’opinione pubblica, le difficoltà di ogni classe politica di tutti gli altri stati a gestire un pericolo nascente, tra la tolleranza conveniente – “la pace costi quel che costi” è un passaggio emblematico della puntata, in tutto paragonabile agli spesso comprensibili tentennamenti pacifisti di oggi – e la necessità di intervenire prima che sia troppo tardi, la capacità del dittatore di turno di approfittare di questi tentennamenti per proseguire nelle conquiste, uno stato via l’altro, e poi un altro, e un altro ancora, fino allo scoppio della guerra mondiale, i pasticci inevitabili delle diplomazie, l’inaffidabilità del cinismo politico che diventa tremendamente pericolosa se di mezzo c’è una guerra, i costi assurdi e folli di ogni guerra. Il tutto senza mai stare di qua o di là, nella semplice valutazione della successione dei fatti, e nonostante il senno del poi, esponendo e surfando in chiave retrospettiva fra i revisionismi e i “sì, ma” della fazioni in gioco… Fatti, i nudi fatti).

È veramente accorato il mio consiglio di dedicare un’ora del vostro tempo a questo podcast: per favore, soprattutto voi che tentennate a condannare senza “se” e senza “ma” le nefandezze in corso, dategli un ascolto. E che sia intelligente e in grado di leggere fra le righe, perché è già tutto avvenuto, se si ascolta bene. E qui si tratta di evitare che ri-avvenga nella sua forma più completa, che ci coinvolgerebbe. E poi, se e quando tutto finirà per il non peggio, si vedrà quanta verve ci sarà ancora, a pace più o meno raggiunta e con tutti noi risollevati dallo stabilizzarsi di una situazione tornata vagamente normale, per tener viva l’indignazione e contribuire a raddrizzare un mondo che presenta le sue innumerevoli complessità: scommettiamo che a pace raggiunta si tornerà a farsi i cazzi propri?

Preciso che questo podcast è stato messo online a gennaio, prima del disastro in Ucraina, quindi non lo si può accusare di essere influenzato da una emozione a tinte forti.

Ecco, ora passo alla sintesi invocata da me in apertura di articolo con una frase che chiuderò con una esclamazione. Questa: è così assurdo arrivare a voler credere che le foto che abbiamo visto a Bucha siano una messinscena! Come si fa a farsi abbindolare così? E perché? Che ci siano dei manigoldi al lavoro per fomentare la gente con la propaganda è ovvio. Ogni guerra porta con sé propaganda, e come potrebbe essere altrimenti? Ogni parte difende le sue ragioni e lo fa narrando senza pudore una versione dei fatti che risulti eclatante e del tutto a detrimento della parte avversa (se si è in guerra perché mai si dovrebbe esser blandi col nemico? A che pro? Se è guerra il nemico lo si deve sconfiggere o neutralizzare quanto prima, e le sue ragioni non possono essere utilizzate per favorirne la comprensione: perché mai si dovrebbe? Certo, per avere quanto prima la pace a tutti i costi si dovrebbe fare qualsiasi cosa, anche arrivare alla comprensione delle ragioni del nemico per acquietarlo e sedarlo, e sono cose di cui si parla molto in questi giorni. Ma ascoltatevi quel podcast e fatelo con intelligenza: il passaggio della “pace a tutti i costi”, esposto in modo del tutto neutro come tessera consequenziale di una semplice successione di fatti storicamente accertati, vi dovrebbe portare alla facile conclusione che in certi frangenti fatali quell’attitudine tentennante per “la pace a tutti i costi” favorì nient’altro che l’escalation verso il disastro della seconda guerra mondiale. (E dunque potrete intelligentemente concludere che nessuna certezza comportamentale e aprioristica è possibile, in uno scenario di difficoltà inaudita).

Detto ciò mi chiedo: com’è possibile decidere di scegliere, se di scegliere si tratta, la propaganda russa? Nella sua semplicità questa mia domanda credo abbia un suo fondamento piuttosto inattaccabile: se sei in guerra sei costretto a scegliere (è una delle tante brutture della guerra immagino). E come dissi in un mio precedente articolo, per quel che riguarda me e molti altri come me, non coltivando un sentimento anti-americano cieco e onnicomprensivo non ho dubbi a preferire la narrazione che mi sento fare qua, dove vivo, in un paese cosiddetto occidentale, anziché credere alle balle della controparte. E a chi vuol credere alla propaganda russa, come ho già scritto, non resta che sperare che prima o poi da queste parti la democrazia cessi e si inizi un bel percorso sovranista, con “Dio, patria, famiglia e lavoro” come capisaldi, e con corollari tipo discriminazioni alle donne (da relegare ai confini della famiglia e dei doveri coniugali, senza troppi grilli per la testa), eventuale abolizione dell’aborto, mortificazione delle “anomalie” sessuali, diritti non garantiti per tutti, e tante altre prelibatezze simili (ovvero i valori per i quali dall’illuminismo in avanti il mondo occidentale si è pregiato di immaginarsi, a ragione, progredito). Speranza che invero in molti stanno coltivando: alcuni con convinzione ideologica radicata e ben comprensibile, altri semplicemente perché fagocitati dalla rete e dal loro credere di cercarvi e trovarvi la contro-informazione liberatrice (a proposito di questo aspetto, ecco un piccolo spunto di riflessione: in Russia in questo momento chi cerca di restare aggrappato alla contro-informazione va in rete e con fatica e a suo rischio e pericolo si connette ai siti clandestini in lotta col mainstream di regime, che se lo becca non gliela perdona e lo sistema per benino, mentre qua, sempre in questo momento, chi vuole restare agganciato alla contro-informazione non ha che da andare oziosamente in rete ogni giorno, indisturbato, ingaggiando la sua lotta da-culo-sulla-sedia-e-polpastrello-agile col mainstream, dicendo tutto quello che vuole senza nessun rischio per la sua libertà di agire, dire, pensare, fare. Vien proprio da esclamare: paese che vai, mainstream che trovi).

Questa precisazione sulle ragioni delle propagande l’ho fatta in verità assecondando il mio solito desiderio di comprendere le contro-ragioni di chi leggendomi mi detesta a prescindere, collocandomi all’istante dalla parte avversa dello schieramento. Ma in realtà, nello specifico delle aberrazioni di Bucha, è una precisazione fin troppo generosa: quelle foto fino a prova contraria testimoniano uno scempio. Punto. Uno fra i tanti scempi possibili in qualsiasi guerra. E, propaganda o non propaganda, fino a prova contraria (e non ce n’è, semmai ci sono quelle a favore documentate in queste ultime ore dai droni), un’attitudine normalmente umana ed empatica dovrebbe determinare sdegno, orrore e indignazione. Senza se e senza ma. A maggior ragione in un conflitto che ci riguarda così tanto da vicino da farci sentire tutti possibili vittime. E se poi avrà avuto ragione il giornalista Capuozzo coi suoi dubbi ormai piuttosto noti, si saprà fare ammenda, senza però dover ritrattare su un comportamento che ritengo normale e auspicabile da chi tiene alla democrazia come antidoto ai regimi: alla vista di corpi in strada in una guerra dove si sa che l’invasore ha tutte le colpe e la resistenza del popolo invaso ha tutte le ragioni, senza se e senza ma, il sentimento di indignazione come prima e irremovibile reazione è l’unica opzione possibile e giustificabile, sempre, fino a prova contraria, senza cedere al canto di sirena della propaganda avversa).

(La sintesi Cristiano, la sintesi…)

Avevo scritto altre tre capoversi per cercare di includere nei miei ragionamenti tutti i possibili “sì, ma” di una deriva da polpastrello compulsivo e sparate contro, ma arrivo al punto, fregandomene di tutte le obiezioni che so prevedere (avevo addirittura contemplato, e ne avevo scritto, l’indispettita reazione di persone la cui intelligenza è da me stimatissima e invidiata, come i Travaglio, i Cacciari, gli Odifreddi, che si lamentano, secondo me un pelo troppo, della protervia del cosiddetto pensiero unico – di sinistra ovviamente – che accusa di filoputinismo chiunque “desideri ragionare”. E avevo immaginato, in più, di mettere tutti a conoscenza dell’indignazione di Edith Bruck, 80enne sopravvissuta all’olocausto, a proposito della negazione della validità delle foto di Bucha e dunque di questi cazzo di negazionismi assurdi ormai diventati un must ineludibile in quasi qualsiasi ambito dei contesti sociali; o le affermazioni rassegnate di Kirill Martynov, vicedirettore di Novaja Gazeta, giornale che fu anche della Politkovskaja, ora chiuso dal regime russo perché scomodo). E il punto è questo: devo confessare che quando ho appreso qualche giorno fa che stava propagandosi in rete la convinzione di molti che in quelle foto ci fossero dei figuranti e che dunque fossero false, a un primo sbigottimento risentito e incredulo, indignato, arrabbiato, inconsolabile, si è propagata dentro, a seguire, come una scossa interiore ingestibile, una risata caustica, sincera, contagiosa, istantanea e secca. E lo ammetto: ho riso dell’idiozia, e un po’ come se mi appropriassi, che ne so, di quella celebre frase che si attribuisce a Einstein sulle due cose che sono infinite, l’universo e la stupidità, con qualche dubbio sulla prima, o quell’altra, un po’ meno celebre, di Dumas (“Il genio ha dei limiti, la stupidità no”), e ve lo scrivo, fregandomene della suscettibilità altrui. E chi si sente offeso ha la coda di paglia.

PS: ricordo molto bene di quell’attentato a Nizza nel luglio del 2016, a opera di un uomo di origine islamica che, alla guida di un autocarro, travolse le persone che partecipavano ai festeggiamenti della festa nazionale francese. Dovreste ricordare. Ebbene: anche lì c’era chi si fece intortare (pochi invero: la manipolazione della rete stava facendo i suoi primi esperimenti), perché anche lì si cercò di far credere che quei morti disseminati sulla strada (esattamente come i morti disseminati lungo le strade di Bucha) fossero degli attori. E tanto dovrebbe bastare per non aver dubbi sull’idiozia come categoria certificata e potenziale dell’essere.

PS2: purtroppo ho il sospetto che larga parte del popolo russo sia in certo qual senso correa (ma con ovvie “scusanti” che qui non ho il tempo di illustrare). “Noi russi dobbiamo ripulire il nostro paese da soli, Putin è un sintomo ma non è la malattia”, così dice lo scrittore Mikhail Shishkin in un articolo che ha scritto per il Guardian di questi tempi, e che meriterebbe una lettura. Qui un suo passaggio in un’altra intervista. Anche questo lo lascio così, sapendo non convincerà nessun “si, ma” del caso, ma fa lo stesso. 

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