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Elon Musk è la reincarnazione di Howard Hughes?

Per capire il magnate di Tesla e X bisogna riscoprire il leggendario “Aviator”. Aerei, razzi, miliardi e potere: la vita dell’eccentrico miliardario texano e quella del proprietario di SpaceX si somigliano sempre di più

Howard Hughes

Howard Hughes

Foto: Bettmann via Getty Images

Nonostante i risultati raggiunti, linfluenza del suo mito e le trame di potere, una delle figure più controverse del Novecento è oggi quasi dimenticata: parliamo di Howard Hughes.

Dopo una vita da prima pagina, negli ultimi vent’anni il fantastico signor Hughes è tornato alla ribalta solo grazie a due film: The Aviator di Martin Scorsese e L’imbroglio – The Hoax di Lasse Hallström. Le due pellicole hanno fatto quello che potevano con il tempo a loro disposizione, purtroppo raccontare in modo completo questo personaggio è un lavoro titanico e forse solo Christopher Nolan (che appunto si interessò all’argomento) avrebbe potuto farlo in modo più esauriente (figuriamoci questo articolo).

Del più recente L’eccezione alla regola, di e con Warren Beatty, ahimè non resta traccia, tanto lezioso da diventare trascurabile. Eppure, le gesta e il carattere di Hughes hanno fatto la storia e affascinato folle. Ha incarnato per primo il ruolo del “miliardario, playboy, filantropo” fornendo l’ispirazione per personaggi come Tony Stark e Bruce Wayne. Un nome che un tempo era leggenda è caduto nell’oblio, proprio quando – grazie ancora al cinema – abbiamo riscoperto e reintrodotto nel dibattito comune un’altra figura controversa come quella di Robert Oppenheimer.

Se guardiamo da vicino il tycoon texano, si trovano significativi punti di contatto con uno dei maggiori protagonisti del nostro tempo: Elon Musk. Seguitemi nel parallelismo. Innanzitutto, Howard Hughes aveva stabilito quattro obiettivi per la sua vita: diventare il più grande aviatore, il produttore cinematografico più famoso, essere l’uomo più ricco al mondo e il giocatore di golf più bravo di tutti. Tre su quattro di questi propositi sono diventati realtà: se non si fosse rotto entrambi i gomiti per una bravata, sarebbe stato anche il miglior golfista dei suoi tempi, non c’è dubbio.

Il poliedrico Hughes era capace davvero di ogni cosa, come realizzare un reggiseno push-up su misura per Jane Russell al fine di valorizzarne i seni durante le riprese di Il mio corpo ti scalderà. Dal canto suo, Musk ha deciso invece “semplicemente” di colonizzare Marte. Ma oltre alla smisurata ambizione e allimmenso patrimonio, cosa avvicina i due miliardari?

Come Elon con Tesla, anche Howard aveva pensato di affrancare le auto dai combustibili fossili. Esistevano già vetture su strada a vapore e Hughes stesso ne possedeva una, opportunamente modificata e capace di arrivare fino a 214 km/h. Tuttavia, non era soddisfatto dalle prestazioni. Lamentava una partenza lenta (2-5 minuti) e un’autonomia ridotta (voleva percorrere la tratta San Francisco-Los Angeles con un solo pieno d’acqua).

Secondo quanto riportato da Noah Dietrich, suo principale amministratore del periodo, nel 1926 vennero contattati due ingegneri della Caltech di Pasadena per trovare una soluzione. Non fu facile e nemmeno economico, ma tre anni dopo e con un conto di 550mila dollari Howard Hughes aveva la sua auto a vapore capace di partire nello stesso tempo di una a benzina e coprire 600 km con un pieno d’acqua.

Anche l’estetica era azzeccata. Quando gli ingegneri presentarono l’auto al giovane magnate, questi ne fu davvero contento. Di lì a poco, la reazione si sarebbe tramutata in orrore. Gli spiegarono infatti che, per funzionare, ogni spazio del telaio comprese le portiere fungeva da radiatore. Disperato dalla prospettiva che, in caso di incidente, ne sarebbe uscito totalmente ustionato, Hughes ordinò immediatamente di smantellarla e di farla a pezzi con una fiamma ossidrica, specificando “pezzi piccoli”. Un uomo che avrebbe fatto poi diversi incidenti aerei e stabilito numerosi record come aviatore rimase terrorizzato da quello scenario e preferì distruggere tutto. Iniziavano a emergere le sue poi note contraddizioni e fobie.

Dopo le prime esperienze nella Silicon Valley con Zip2 e PayPal, Elon Musk ha trovato la missione della sua vita nella colonizzazione di Marte. Per riuscirci servono razzi con capacità straordinarie, che ha poi costruito e che ora sta mettendo a punto per il viaggio. Il nome che ha dato al veicolo spaziale è Starship.

Questa fissazione con il volare aveva contagiato anche Hughes, principalmente però per quanto riguarda l’atmosfera del nostro pianeta. Conquistò record su record pilotando aeroplani: velocità, giro del mondo, addirittura uno stabilito mentre andava a ritirare un premio a New York per il suo contributo all’aviazione (volò sugli Stati Uniti, da costa a costa, in 7 ore e 28 minuti, velocità media: 535 km/h).

Nel 1938, dopo il suo viaggio intorno al globo vennero fatte parate in diverse città in suo onore e fu invitato alla Casa Bianca, le stesse celebrazioni riservate poi all’equipaggio dell’Apollo 11 di ritorno dalla Luna. Tuttavia, questi mirabili risultati non lo hanno coinvolto e sfiancato quanto la seguente sfida. Quello che per Musk è lo Starship per Hughes fu l’Hercules, un’imponente nave volante anch’essa da record che fu al centro di numerose critiche.

La prima idea per questo enorme aeroplano risale al 1942, in pieno conflitto mondiale, e vedeva Hughes quale costruttore supportato da finanziamenti del governo. L’Hercules avrebbe dovuto evitare lo spostamento di truppe e rifornimenti tramite mare eludendo così gli U-boot tedeschi. Inoltre, doveva essere realizzato in legno, a causa delle limitazioni dei materiali in tempo di guerra.

Il velivolo non fu pronto per il suo scopo a causa sia dei molti progetti che Hughes portava avanti, sia del suo comportamento. Oltre alla costante ricerca della perfezione preoccupavano i suoi disturbi mentali (in quel periodo non aprì la bocca per una settimana perché convinto di avere qualche malattia alla gola; qui, più che Elon Musk viene in mente Woody Allen). Dopo la guerra Hughes venne chiamato a rispondere davanti a una commissione del Senato per l’impiego dei contributi pubblici, ma ne uscì vincitore e continuò a costruire l’aereo con i suoi soldi. La spesa alla fine fu di 23 milioni di dollari del tempo, cioè 246 di oggi.

L’Hercules (malignamente chiamato dai suoi detrattori “Spruce Goose”) volò solo una volta, il 2 novembre del 1947, con Hughes ai comandi, davanti alla stampa di tutto il Paese la quale voleva vedere se il miliardario avrebbe rispettato il giuramento fatto: «Se non vola, me ne vado per sempre dagli Stati Uniti». Con i suoi 24 metri di altezza e 97 di apertura alare, è stato l’aereo più grande mai costruito, superato solo nel 1988. Se guardiamo più in alto, al settore dei satelliti e all’esplorazione dello spazio, questo è ora dominato da SpaceX e Starlink, ma negli anni Sessanta era affare della Hughes Aircraft con i satelliti Syncom per la NASA, i satelliti-spia per la CIA e le missioni spaziali Surveyor.

La più discussa impresa di Elon Musk non ha riguardato lo spazio (per ora) ma la comunicazione di massa, nello specifico Twitter, ora X. Per Musk è sempre stato un aspetto fondamentale la connessione tra più persone: già ai tempi di PayPal voleva coniugare una banca virtuale con un social network.

Anche Howard Hughes era interessato alla comunicazione di massa e ai suoi tempi l’avanguardia in materia era la televisione. Aveva già conquistato il cinema negli anni Trenta in qualità di produttore e regista, ci provò poi con la Tv verso la fine degli anni Sessanta. Il risultato fu un fiasco, ma il tentativo venne fatto con molta determinazione.

Dopo essere stato un celebrato aviatore, il produttore più famoso di Hollywood e il più ricco degli Stati Uniti (se non del mondo) Howard Hughes era entrato in una fase oscura della sua vita, totalmente dominata da disturbi mentali comprese un’ingestibile germofobia, scopofobia (paura di farsi vedere), segretezza, svariate manie ossessivo-compulsive e altre abitudini malsane. Si rinchiuse per quattro anni (senza mai uscire) nella stanza di un attico del Desert Inn di Las Vegas (hotel che poi comprò pur di non liberare la stanza) e si concentrò sul suo nuovo obiettivo: governare in modo occulto il Paese.

Tumulato vivo dentro la sua camera, scivolò nella pazzia, una condizione rispecchiata dal suo aspetto, con capelli lunghi fino a metà schiena, barba fino al petto, emaciato, con piaghe da decubito e lunghe unghie ricurve. Il bel playboy che un tempo si accompagnava ad attrici come Ava Gardner e Katharine Hepburn era ora irriconoscibile. «Sembra il fratello di una strega», fu il commento di uno dei pochi che riuscirono a vederlo.

La sua nuova sfida erano i giochi di potere, e per farlo gli serviva lo strumento giusto. Comprò sei hotel con casinò a Las Vegas, a cui va aggiunta anche una televisione locale, quest’ultima solo perché voleva vedere i film che gli piacevano durante le notti insonni (in altre parole, una costosissima versione di Netflix). In questo modo riuscì a influenzare le politiche del Nevada. Dopodiché, in vista delle elezioni presidenziali, capì che gli serviva una cassa di risonanza più grande per poter partecipare alle decisioni a livello nazionale. Si fece avanti per acquisire una rete televisiva, la ABC, che ai tempi se la passava male. La situazione venne subito ostacolata dai dirigenti della compagnia per due motivi: nessuno aveva più visto Howard Hughes da almeno dieci anni (si dubitava fosse vivo); nessuno fino ad allora era mai stato lunico proprietario di una rete tv (spaventava la concentrazione di tale potere in una sola persona).

Dopo molte opposizioni e con Commissione Federale e Dipartimento di Giustizia alle calcagna, Hughes fu convinto a desistere dal suo intento ma non dalla finalità, cioè dialogare con i potenti da pari a pari. Sovvenzionava da anni sia il Partito Democratico che Repubblicano, come Musk per l’appunto.

Nel tempo, i finanziamenti per le campagne elettorali divennero poi tangenti. Riuscì in questo modo a ottenere un canale diretto con il Presidente Richard Nixon, ma contribuì anche a innescare una catena di eventi che culminò con la più grande crisi politica degli Stati Uniti. Infatti, tra le informazioni che gli uomini di Nixon cercavano di carpire con le cimici piazzate nella sede del Comitato Nazionale Democratico, nell’Hotel Watergate, c’era anche una delle più oscure paure del presidente: scoprire se i democratici sapevano delle mazzette che aveva ricevuto da Howard Hughes. Nel valzer tra media e politica, Hughes ha fallito prima con la mancata scalata all’ABC e ha sbagliato poi nei rapporti con la Casa Bianca. Nello stesso ballo Musk è riuscito invece a condurre in porto l’affare Twitter/X e a partecipare attivamente (e legalmente) al governo oggi in carica.

Da giovane Hughes era un uomo bello, ricco e impavido, capace di conquistare donne, Hollywood e record. Un eroe americano. Nel momento di maggiore fama, dopo aver girato il mondo in tre giorni, c’era chi lo voleva come Presidente e se solo avesse avuto questa ambizione è certo che ci sarebbe riuscito. Con gli anni però si è trasformato in altro. Complice anche la sua (mancata) salute mentale, è diventato una sorta di Keyser Söze senza scrupoli e con un potere tentacolare.

Tornando alla trasposizione cinematografica e romanzata del personaggio-Hughes, precisamente al Cavaliere oscuro firmato Nolan, viene in mente una frase che si confà al caso: «O muori da eroe, o vivi tanto a lungo da diventare il cattivo». Così è stato. Se guardiamo poi ancora una volta a Elon Musk, notiamo che a parere di molti questo capovolgimento di giudizio è nuovamente in atto. Anni fa era considerato un sognatore e pioniere, interessato al miglioramento della vita con Neuralink e alla preservazione della civiltà umana, portandola anche a essere mutiplanetaria, con SpaceX. Oggi invece è sempre più divisivo se non addirittura già identificato come il cattivo.

Concludiamo, quindi, con due suggerimenti. Il primo è per un’originale teoria del complotto: Howard Hughes non è morto nel 1976 (in questo giorno, 5 aprile, tra l’altro) ma nel 1971, anno in cui si è reincarnato in Elon Musk per sviluppare nuove fasi dei suoi progetti evitando gli errori compiuti a suo tempo. Il secondo è la necessità di riscoprire questo personaggio tanto interessante quanto controverso, utile per capirne altri, magari attraverso una stagione di American Crime Story o una miniserie targata HBO.

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