Una mattina di diversi anni fa i bulldozer hanno iniziato a radere al suolo il quartiere a luci rosse più vasto della zona orientante di Giacarta, in Indonesia. Si chiamava Kramat Tunggak e dava lavoro a circa tremila persone. L’ordine era arrivato nel 1999 dal governatore della capitale, Sutiyoso che aveva dichiarato: «La chiusura è un segno di Dio». Diversi anni dopo, su quello stesso cemento è stata costruita la più grande moschea e centro islamico della città.
Quelle ruspe le ricorda bene Feby Indirani, scrittrice e giornalista indonesiana, autrice del libro Non è mica la Vergine Maria, pubblicato in Italia – grazie!- da Add editore. Cresciuta a pochi metri da quella moschea, Feby Indirani, 40 anni, ha osservato in silenzio il cambiamento della sua città e del Paese in cui è nata. Lo ha visto diventare sempre più radicale (lo scorso maggio Joko Widodo è stato rieletto presidente e ha scelto come ministro della Difesa Prabowo Subianto, ex generale molto vicino all’ala più tradizionale del Paese ed ex genero del generale Suharto, a lungo dittatore del Paese), sempre più legato a una dimensione molto conservatrice della religione, l’islam.
Si è chiesta perché e ha deciso di fare la stessa domanda al suo Paese pubblicando una serie di racconti, in cui, con tratto ironico e sarcastico, Feby Indirani mette sotto i riflettori tutte le contraddizioni della religione. E parla di quello di cui non si potrebbe parlare. Soprattutto se si è musulmani, come lei.
«Sin da piccola andavo con mia mamma alla moschea mentre lei pregava», racconta Feby Indirani seduta al tavolo di un bar romano. È arrivata per partecipare al Festival Inquiete. Sorseggia un cappuccino e sorride mentre ripete che non avrebbe mai immaginato di arrivare fino a qui con il suo libro. «Alle elementari ho frequentato la scuola statale la mattina e al pomeriggio quella islamica, per 4 anni, ogni giorno. La moschea è importante ancora oggi per me. Da qualche anno però è cambiato tutto. Dalla finestra di casa mia ho iniziato a sentire l’imam fare discorsi sempre più accesi, violenti, con gli altoparlanti a un volume altissimo. E mi sono chiesta perché». Negli ultimi anni la politica indonesiana ha iniziato ad essere caratterizzata da una presenza sempre più forte della religione. «Il centro dell’islam, che rispetto, è tutto nella giustizia e nell’uguaglianza. Il profeta Maometto non accettava le classi sociali, era marxista, a modo suo».
Nella vita quotidiana del Paese invece la sharia è tornata con prepotenza: è richiesto d’indossare obbligatoriamente abiti musulmani negli uffici pubblici, è vietata la vendita e il consumo di alcolici, nelle scuole pubbliche sono sempre di più le insegnanti e le studentesse velate. «Non mi piace l’idea che qualcuno pensi di custodire, nel suo credo, la verità assoluta. Per questo ho iniziato a scrivere, per scuotere il dibattito e spingere i lettori ad accettare diversi punti di vista». Quando il libro è stato presentato in Indonesia (dopo essere stato rifiutato da diversi editori che hanno scelto di non affrontare il tema), Feby Indirani è stata additata come una «donna infedele» e sono arrivate le minacce.
«Ho avuto paura ma sono ancora qui. Preferisco pensare a tutte le ragazze che mi hanno scritto ringraziandomi per aver dato ascoltato in qualche modo anche alla loro voce». In silenzio, Non è mica la Vergine Maria è diventato anche una dichiarazione d’indipendenza per molte. «Quando penso alle adolescenti, la mente corre subito alle mie nipoti. Essere una donna è sempre definito da troppe cose: relazioni, status. Vorrei che loro riuscissero a sentirsi libere di definire se stesse». Ma le battaglie per affermare i propri diritti, in tutti i Paesi, sono ancora molte.
«Ho scelto di essere ottimista anche se non è sempre facile. Uso la parola “ballare” al posto di “battersi”. Nella danza, a volte, dobbiamo fare un passo indietro prima di farne uno avanti, ma è sempre una danza bellissima. Ho visto molti uomini unirsi al viaggio per i diritti e di questo sono felice. Se la strada è ancora lunga, dobbiamo essere certe di stare bene nel tragitto, di continuare a ridere, mangiare buon cibo e ballare». Il suo viaggio per la libertà, iniziato quando ha deciso di scrivere già da piccolissima, Feby Indirani l’ha ribadito con questo libro. «Alla mia famiglia non l’ho fatto leggere, so che non lo accetterebbero. È un tema troppo delicato per loro. Sono le persone più care che ho e non vorrei mai perderle. Le mie sorelle mi supportano. Mia madre sa che l’ho scritto ma è dispiaciuta perché non le ho detto tutto. Penso che abbia compreso che sono una donna adulta oggi e posso fare ciò che desidero». Portare nel mondo una raccolta di storie umoristiche e sarcastiche sull’islam è stata una sfida. Feby Indirani l’ha vinta, esponendosi. «Un libro non è mai una minaccia, con questi racconti i lettori possono ampliare la loro immaginazione».