Come diceva la mia bisnonna, un’aforista à la Oscar Wilde, “par ogni quel, gh’è al so parché” (per ogni cosa, c’è una ragione). Sembra un’ovvietà ma noi la contraddiciamo spesso. Esempio: se ci siamo lasciati una ragione c’è, è chiaro, ma a volte fingiamo di scordarcela. Se ci provassimo di nuovo ritroveremmo quella stessa ragione, lì in agguato, ad aspettarci. Che siamo single o impegnati, viviamo nella migliore delle condizioni sentimentali possibili. Leibniz come psicoterapeuta. Gli errori, “ho sbagliato io…”, i tradimenti, “dopo mi ha fatto schifo”, le incomprensioni, “io non volevo…”, le bugie, “se solo fossi stato sincero…”: tutte congiunture, tutte inezie. Se gli errori non fossero stati quelli, sarebbero stati altri. Tu sei tu, lei è lei, e invertendo l’ordine degli addendi il risultato non cambia. La somma delle vostre personalità ha dato zero? Allora darà zero per quanto ritentiate l’operazione. Il destino è l’inevitabile frutto delle nostre inclinazioni, da un seme di melo non nascerà un pero per quante volte lo piantiate.
Eppure capita che rimuginiamo, che ripercorriamo mentalmente i bivi della nostra vita, che confrontiamo realtà parallele, che ci immaginiamo in un eterno presente dove possiamo scegliere tra le relazioni passate come tra le pizze di un menù, che ci lamentiamo del qui e ora. Mentre dovremmo dirci: se è andata così, doveva andare così. Amor fati. Per convincersi di questo principio di ragion sufficiente sarebbe buon costume obbligare chiunque a festeggiare San Valentino a letto con il proprio ex. Per il bene di tutti. Addio rimpianti, addio rimorsi, addio insofferenza per il presente. Sperimenteremmo piuttosto la gioia del sopravvissuto.
Prima vai a cena. Un brindisi ai vecchi tempi. Cosa fanno gli amici in comune, come stanno i parenti. Ha imparato un nuovo anglicismo, ha cambiato tinta, ha finalmente visitato la Patagonia, ma, se tendi l’orecchio, emette ancora quel suono gutturale quando deglutisce: all’inizio ridevi, poi tolleravi, infine soffrivi. Glup. Ora soffri subito, già saturo. Vi scambiate i regali, che devono essere da veri innamorati. Un ciondolo d’oro con le vostre iniziali: naturalmente, nel San Valentino tra ex, andrà cestinato a fine serata. Il suo sorriso non potrà che essere falso, d’accordo, tuttavia non è più falso di quanto non fosse negli ultimi mesi del vostro rapporto, quando era diventata una ginnastica facciale che impediva alle labbra di formulare l’unica parola sincera: infelicità. Anche come scarta i regali ti infastidiva, solo ora te lo ricordi. Troppo lenta, oppure una villana squarcia tutto, non importa, quello che conta è che sia lei a scartare: il vecchio amore, il vecchio nemico, la vecchia vita, tutto ciò che sa di muffa, così stantio, pesante, ancora lì, non si è mai mossa, manca l’aria.
Come da prescrizione, vi avviate a consumare la vostra salutare condanna sessuale. Dovete farlo. Se non ce la fai, ingollati un pillolone. Poi il tuo presente ti sembrerà il migliore dei presenti possibili, fidati. Ecco di nuovo la sua stanza, i vestiti delle stesse marche poggiati sulla sedia, qualche libro in più: manifestazione alfanumerica di una personalità di cui conosci ipocrisie, contraddizioni, fissazioni: non è evoluta, si è solo dilatata, come una metastasi tra gli scaffali. Non ti ricordavi l’odore della sua pelle, ma anche le narici hanno una loro memoria ed eccoti a rivivere cilecche ed erezioni annoiate, fluidi pleonastici, eccoti a sussurrarle nell’orecchio “ti amo”, una promessa d’eternità non più avventata di quelle di una volta, visti i risultati, eccoti a risprofondare nelle sue antiche fantasie, nelle sue perversioni usurate da anni di coazione a ripetere. Il modo in cui freme e gridacchia, il modo in cui poi aspetta il tuo turno come svenuta. Forse è morta. Sì, è morta e tu l’hai uccisa. Tu per lei sei morto, lei ti ha ucciso. Così, nel rivestirvi, assisterete a un miracolo: non vi direte più “è andata così”. Vi direte: “ho voluto così”.