In un tempo in cui se non si è un fenomeno si è comunque obbligati a esserlo, con il risultato di un trionfo di disastri e del ridicolo – quando non del tragico –, come è facile vedere quasi quotidianamente in un mondo che più che condotto e diretto è in libera uscita permanente, il Gran Premio del Giappone restituisce il senso e la misura dell’essere per davvero fenomenali. Fenomenale è stato Max Verstappen che è riuscito a vincere imponendosi su tutti gli avversari con una Red Bull inferiore rispetto a quella degli anni passati, ma con uno stile che ricorda da molto vicino il mito. La precisione e la determinazione di Verstappen definiscono un pilota che non ha mai certo spiccato per simpatia, ma che ora dimostra anche ai più dubbiosi una qualità e una consistenza fuori dall’ordinario. Qualità che viene facile affiancare a quelle di Ayrton Senna durante le sue due peggiori stagioni in McLaren, quelle del 1992 e del 1993 dove a fronte di un mezzo meccanico inferiore (e in quel caso di molto) mostrò a chiunque una tempra e una tigna inscalfibili. Oggi Verstappen sembra ripercorrerne i passi, tenendo duro nel momento in cui la macchina non è al suo livello e dimostrando una felicità e una libertà di guida per altri inavvicinabile.
Ma fenomenale è stato anche Andrea Kimi Antonelli, diciotto anni e da oggi il pilota più giovane della storia della Formula Uno a finire in testa a un Gran Premio e non per pochi giri. Antonelli ha rivelato un gran passo e una confidenza sempre maggiore con la sua Mercedes fino ad arrivare alle calcagna di un George Russell che deve iniziare a guardarsi seriamente negli specchietti. Una gara che ha mostrato eccellenze assolute, tra cui le performance dei giovanissimi Oliver Bearman e del francese Isack Hadjar, ancora a punti entrambi con monoposto non certamente eccelse. Ma la gara ha anche dato corpo all’apparire di un malinconico e speriamo veramente passeggero, tramonto. Un’ombra che aleggia sulla testa di chi fenomeno lo è senza ombra di dubbio, a partire da Fernando Alonso. Una ventina di stagioni all’attivo e avviato verso le quarantaquattro primavere, Alonso si trova tra le mani un’Aston Martin che non vale certamente il podio e forse nemmeno la zona punti, ma la fatica con cui è costretto a guidarla e a performare sembra segnare inevitabilmente una stagione all’insegna di una depressione assoluta. E se l’età non è un problema per uno che è nato pronto dal primo secondo della propria esistenza, è anche vero che dopo tanti anni senza vittorie anche la ghirba più ostinata inizia a perdere i colpi e la voglia che rimane è un po’ quella che è (anche le mamme asturiane alla fine imbiancano).
Discorso simile è purtroppo anche quello che vede coinvolto Lewis Hamilton, con un grado decisamente diverso di soddisfazione, successo, gloria e tappeti rossi, mondanità e moda, lusso e tutto quello che non serve per vincere sempre a disposizione. Hamilton esce battuto da Charles Leclerc in maniera abbastanza evidente, ma soprattutto sembra aver cambiato solo colore alla sua monoposto e navigare faticosamente nelle medesime posizioni degli ultimi anni trascorsi in Mercedes. La speranza è sempre quella di un ritorno, certamente più possibile per lui che per Alonso, ma in ogni caso il tempo urge e in uno sport che corre veloce la fretta non aiuta e l’età nemmeno. Discorso a parte invece per Lando Norris che per l’ennesima volta esce sconfitto da uno scontro diretto con Max Verstappen pur guidando una monoposto decisamente più competitiva. Tuttavia, nonostante il momento di nevrosi acuta all’uscita dai box quando ha preferito tagliare l’erba più che tentare di sfidare Verstappen, Norris ha mostrato una nuova e inedita tenuta che per il momento lo tiene in testa al mondiale. Il pilota britannico sembra portarsi via dal Giappone una visione del mondo ispirata al wabi-sabi, ovvero un’accettazione dell’imperfezione delle cose e della loro transitorietà. I fenomeni non si sfidano sul loro campo, ma prendendone la distanza e riconoscendone prima che la superiorità la diversità. Lando Norris sembra riconoscere i propri limiti e iniziare ad accettarli, mostrando anche esteticamente quella bellezza triste che lo contraddistingue ogni volta che si leva il casco dalla testa. Si sta parlando ovviamente di uno con un piede pesantissimo e una qualità altissima, ma al tempo stesso non vanno sottovalutate mai le fragilità di chi riesce ad avvicinare vette così altissime. E un po’ di anima giapponese non può che far bene a un pilota che riconoscendo le proprie fragilità può ambire a un traguardo in altro modo difficile da ottenere. Certo non ha vinto, ma Lando Norris ha tenuto a bada l’ansia che evidentemente lo muove ogni volta che Verstappen è nei dintorni, e ha gestito un compagno di squadra come Oscar Piastri la cui ferocia è ormai conclamata. In un mondo di fenomeni – fenomeni veri – va dunque dato atto a chi come Lando Norris non può e non deve fare a meno della propria gentilezza. Si può vincere anche così, senza faccia cattiva, senza ferocia e con quella sindrome dell’impostore che colpisce proprio sul più bello quelli che ci tengono di più, ci tengono per davvero, ma si dimenticano ogni volta di dirlo e di farlo sapere e ancor meno di vantarsene. Bravo Max, sei tutti noi, ma bravo anche Lando che sei come noi (o almeno ci piacerebbe).
E ora il podio dei migliori, stravincono in ordine Charles Leclerc e George Russell, entrambi appaiono segnati da un destino simile, uno predestinato l’altro sottovalutato, ma l’esito non cambia: lontani dalla lotta che conta, lontani dalle telecamere, hanno navigato come potevano con quel che avevano. Hanno ancora una voglia e una fame pazzesca, l’età è ancora utile per un trionfo, ma del futuro non ne possono più, pretendono e a ragione un presente diverso. Terzo posto obbligato per Yūki Tsunoda, pilota di giornata per il pubblico mondiale, ovvero per il 110% dei giapponesi. È salito su una Red Bull che sa guidare solo Verstappen e non ha fatto figuracce. Per ora si è salvato, e non è poca cosa in quel covo di austriaci ottuagenari.
Per i tre peggiori non si può che segnalare un Lance Stroll in gita permanente, non si capisce se non ha voglia, non ha digerito, non ha dormito insomma non gli andava proprio questa domenica, meglio provare con il minigolf che rilassa di più. Non va meglio per Carlos Sainz: abituarsi alle ultime file non è facile, ma ultimamente sembra che ci stia addirittura prendendo gusto e non è troppo rassicurante. Un po’ troppo lontano dal compagno di squadra, Carlos inizia a tentare strategie azzardate che spesso sono sinonimo di disperazione. Ma anche il suo compagno di squadra sale sul nostro personalissimo (e assurdo) podio dei peggiori. Va bene tutto, ma una camomilla per Alexander Albon potrebbe renderlo meno agitato. Gran gara e nulla da dire, ma sbraitare come un tassista romano contro il proprio ingegnere di pista non sembra proprio il caso. Un grappino per entrambi a fine corsa e passa la paura.