Sara l’aria da regime, ma tra richieste, cortesie, favori, ciao-ciao, bene bravo sette più, il Gran Premio di Cina si chiude sotto l’insegna dell’ordine e della pulizia. L’obiettivo non è più, come si ricordava un tempo nelle gare velocistiche, quello di sfrecciare più di tutti, sorpassare e vincere; ma conservare, andare via ordinati e non fare colpi di testa, che Xi Jinping tutto sa e tutto vede, anche più del buon vecchio baffone russo.
La nuova parola d’ordine della Formula 1 contemporanea è non consumare: siamo al green in chiave red nella distopia tutta reale di una società del controllo. Auguroni, soprattutto a chi ancora si sveglia per godersi lo spettacolo. Era meglio leggersi Philip K. Dick anche questa volta.
E tra motori che recuperano energia, campagne “verdi” e materiali riciclati, la gomma intesa come quella degli pneumatici diventa la nuova protagonista assoluta. Come sta la gomma è la domanda che si pongono tutti, dal primo all’ultimo giro, al punto che di come sta la nonna, la zia e il cugino non frega niente a nessuno. Un’ossessione segnata dal terrore di consumi anomali e soprattutto di quel graining, parola nuova che ha sostituito negli incubi di appassionati, ingegneri e piloti il termine bouncing – il quale aveva allietato le prime stagioni con le monoposto a effetto suolo.
Così dopo una sprint race dominata dalla Ferrari di Hamilton e dalla sua gestione gomme, il panico si è scatenato tra tutti i team che hanno optato per un’impostazione di gara ultra-conservativa. Lo spettacolo è stato quello, triste, di un lungo trenino di auto distaccate le une dalle altre da una manciata di secondi. Ma con l’ansia perenne degli ingegneri di pista (e degli stessi piloti) di consumare precocemente i propri pneumatici, tenere la distanza è stata la parola d’ordine come ai bei tempi del Covid.
A partire da Lando Norris, ormai sempre sotto i riflettori per le sue indecisioni e imbarazzi continui, che ha addirittura chiesto che il suo compagno di squadra, Oscar Piastri, primo davanti a lui, andasse più veloce per non doverlo raggiungere e finire di conseguenza in aria sporca (che pare pure una presa in giro, detto in Cina).
Il trionfo della tattica si dirà, in uno sport in cui il controllo è diventata la prima parola d’ordine, ma in nome di una strategia profondamente deludente per gli spettatori a cui tocca sorbirsi una gara il cui ritmo è paragonabile a un ritorno in tangenziale la domenica sera. Salvo per gli ultimi giri, in cui il consumo non conta più nulla e le macchine sono libere di essere lanciate dai piloti ai loro estremi limiti. Un finale di gara che oltretutto ha ricondotto entrambe le Ferrari a quel quinto e sesto posto che nei momenti di crisi rappresenta una certezza quasi assoluta almeno dai tempi di Michele Alboreto e Gerhard Berger (per tornare agli anni del dominio McLaren) fino ai lunghi giorni strazianti vissuti con Jean Alesi.
Dopo le derisioni subite da Mattia Binotto per il suo «dobbiamo capire» tanto parodiato anche da Maurizio Crozza, bisognerà pur considerare quanto meno discutibile il «dobbiamo riflettere» che sta prendendo piede nella Ferrari di Frédéric Vasseur. Il quale, al suo terzo anno alla guida della squadra di Maranello, non sembra aver apportato modiche in grado di mutare radicalmente la posizione in classifica – in meglio – delle sue vetture, nonostante la presenza del sette volte campione del mondo Lewis Hamilton. Ma come si dice sempre, siamo solo all’inizio. Sperando poi che verso metà anno non si arrivi già a preconizzare il trionfo Ferrari, come sempre garantito per l’anno successivo.
Dopo due gare McLaren chiude a bottino pieno con due vittorie, una per Lando Norris e ora una in Cina per l’immarcescibile Oscar Piastri. Lo spettacolo è rimandato probabilmente ai primi Gran Premi europei con Verstappen costretto ora ad atteggiamenti più mansueti a causa di una Red Bull non proprio performante, Antonelli ancora in rodaggio e la Ferrari in cerca come sempre della propria anima, all’inseguimento perenne della propria ombra.
Salvo McLaren tutte le altre squadre sembrano alla ricerca ancora di un equilibrio ideale al momento facile da perdere, questione di pressione nelle gomme e temperatura della pista (oggi rispetto a ieri e alla vittoria di Hamilton nella sprint più fredda di qualche grado).
Le scene finali che ormai precedono il podio, con i piloti in una stanzetta a metà strada tra l’ambulatorio medico e il lounge di Emirates che rivedono le imprese compiute in pista pochi istanti prima, denota già il senso di un essere pilota profondamente mutato negli ultimi anni. Freschi, quasi riposati sembrano gli spettatori ideali di sé stessi, mentre noi a casa dopo una levataccia insensata ci ritroviamo ancora dubbiosi se tornare a letto, o metterci sotto la doccia, o assistere ammutoliti ai commenti dei commenti dei commenti fino a perdere totalmente conoscenza.
Tutto questo dà un po’ l’impressione di uno spettacolo a uso e consumo degli stessi attori in scena. Non un granché in sostanza, che ci lascia un po’ annoiati e un po’ ingannati. Pensavamo di aver capito tutto, un po’ come Orson Welles nei panni di Michael O’Hara in The Lady from Shanghai. Invece ci ritroviamo chi in pigiama, chi in sottoveste su un divano qualunque ad ascoltare l’inno australiano come massimo momento di entusiasmo della giornata. Come dice Arthur Bannister a Michael O’Hara: «Voi avete girato troppo il mondo e ciò vi ha impedito di conoscerlo bene». Baci, applausi e ricchi cotillon.
Tuttavia come in ogni gara che si rispetti una classifica bisogna pur farla. La nostra, totalmente irragionevole, prevede al primo posto Liam Lawson che ancora ci crede, ancora insiste novello Icaro a guidare la stessa macchina di Max Verstappen e soprattutto nello stesso team di simpaticoni. Segue Jack Doohan, che doveva lasciare il campo già dopo l’Australia e invece tiene duro, non va male e lotta fino in fondo, anche lui in una squadra la cui simpatia dei capi (o meglio del capo) è un po’ quella che è. Terzo Oliver Bearman, che il consumo delle gomme non sa cosa sia e se lo sa non gliene importa nulla: sorpassa e saluta tutti come in una biciclettata da ragazzi, il premio un panino con la mortadella e gazzosa.
Agli ultimi tre posti vanno invece Lando Norris che non vuole avvicinarsi, non vuole consumare nulla e finisce nonostante tutto senza freni, lui che ha solo due espressioni: quella triste e quella di quando sorride perché è triste. Penultimo Verstappen che con quattro mondiali ora si dà pure il tono da signore e da professore. Ci mancava solo questa, il bullo recuperato in società. Ultimo degli ultimi Fernando Alonso, che ormai prossimo al tagliando INPS insegue non si sa più nemmeno bene cosa, con una macchina così lenta che farebbe passare la voglia anche a un autista dell’ATAC. Sarà la comparsata nel video di Francesca Michielin, ma Alonso sembra avviato a un anno da autista. Speriamo di no per lui e per noi, ché da sempre quando la noia aumenta guardiamo a lui per un po’ di vecchia sana gloriosa gioia.
Un post-scriptum. Il 21 di marzo Ayrton Senna avrebbe compiuto sessantacinque anni. Un signore, un uomo adulto che abbiamo dovuto lasciare andare via quando ancora era ragazzo. Lasciando così andare via anche buona parte del nostro essere stati ragazze e ragazzi. Chissà in che parte del mondo o come si dovrebbe forse dire, del cielo vive quella parte di noi insieme a lui. Non smettere di riconoscere quella giovinezza, non smettere di amare in quel modo è quanto resta all’esistenza di quelli che ancora provano a spacciarsi per adulti in un mondo così tremendamente declinante e così tremendamente incapace spesso di riconoscere il dolore degli altri.
Una nota, alla fine di tutto: le Ferrari sono state squalificate al termine del Gran Premio della Cina. Per Leclerc si tratta di essere sotto il minimo di peso consentito, mentre per Hamilton la squalifica è frutto di un consumo eccessivo del pattino del fondo vettura.