A volte, in questo mondo freddo, nasce un topo speciale. Gigio è nato con uno strabiliante istinto omicida.
Neonato, soffocò sua madre con la propria coda – rosa, glabra, terribile – che da allora tenne nascosta dentro i pantaloni. “La mia pistola da giarrettiera”, come vezzosamente la chiamava.
Imparò a modulare una vocina rassicurante e tenera. Si sottopose a interventi di chirurgia estetica che lo resero rotondotto e morbidoso. Si fece deformare un dentino per scardinare il cranio delle vittime: “Il mio apriscatole per fagioli rossi”, come vezzosamente lo chiamava.
Nessuno doveva immaginare che Gigio fosse un sadico ratto di fogna.
Se ti sorrideva e ti squittiva con la sua vocetta “Ma cosa mi dici mai?”, significava che eri morto.
Ma Gigio era ambizioso. Gli omicidi lo annoiavano. Sognava la strage su vasta scala. Gli servivano aiutanti, complici, adepti.
Bastava dire agli altri topi che andava tutto bene, che anche i gattacci più feroci erano micini, che il formaggio era inesauribile, che le trappole erano attrezzi da palestra… e gli altri topi lo idolatravano.
Per assoggettarli andavano intrattenuti. E Gigio adorava intrattenere. Era un giocherellone, l’anima della festa. Si sceglieva un compagno per le sue esibizioni e insieme confortavano il pubblico con giochetti e battutine. Naturalmente questi compagni non vivevano a lungo. Ma a volte si affezionava così tanto a uno di loro che gli scuoiava la faccia, ne ricavava una maschera, e obbligava il compagno successivo a indossarla. Il pubblico apprezzava la lealtà di Topo Gigio, un topo che non scaricava gli amici.
Oggi Gigio è il gran dittatore del Topostan. Milioni di criceti – così patetici e deformi, quasi senza coda – sono stati internati in campi dì concentramento, costretti a correre nella ruota fino all’infarto. “Ruote della fortuna”, come Gigio pretende vezzosamente che vengano chiamate. I topi, tutt’attorno, applaudono, ridono, scommettono sui tempi di sopravvivenza.