Rolling Stone Italia

Quando si parla di fascismo la destra sembra giocare a ‘Taboo’

Uno scambio sul lessico utilizzato delle forze politiche per il 25 aprile, sulla musica scelta alle manifestazioni (va molto Ghali, per nulla Baby Gang) e i tafferugli in Piazza Duomo («hanno getto benzina sul fuoco, ma il fuoco c'era già»)

Foto: Sara Bottino

Alberto Piccinini: Prima che i meme su Fassino e il profumo Chanel ci travolgano volevo chiederti di restare lucidi se possibile: ti ricordi come funzionava quel gioco di parole in cui era proibito pronunciarne una e ci si arrangiava coi sinonimi e perifrasi? Ho fatto qualche ricerca: gli americani hanno un gioco da tavolo, si chiama Taboo, in italiano Le parole proibite. C’è un mazzo di carte, una parola da indovinare e tre proibite. Chessò indovina “auto” senza dire “macchina”, “ruota”, “guidare”, capito? Io sono convinto che ci sia qualcosa di meno complicato ma a parte questo è il principio che conta. La parola tabù è fascismo. Quelle da non dire: antifascismo, partigiani, liberazione. Così ho capito l’altro giorno che il fascismo è un incubo semantico, un trabocchetto orwelliano. Tra i tweet del 25 aprile segnalo le parole: conculcato, totalitarismo, libertà. E lo straordinario post di Giorgia Meloni in cui c’è scritto “fine del fascismo”: la parola tabù in questo caso è “sconfitta”. Vuoi dei sinonimi? Fogna, testa in giù, antifa. Ecco come mi sento dopo questo 25 aprile, dentro un mediocre quiz preserale presentato da Marco Liorni, quello che ha detto che l’oro alla patria fu un gesto patriottico e poi è stato cinque minuti su X ad arrampicarsi sugli specchi di povera nonna per scusarsi. Non va bene. Non va bene per niente.

Giovanni Robertini: Reazione a catena, come il quiz: in tv ci sono solo antifascisti che chiedono ai fascisti di dirsi antifascisti, sembra un’installazione della Biennale. A proposito, sono qui a Venezia, sto per entrare ai Giardini, poi ti dirò. Intanto permettimi un sussulto di sincera indignazione per questo inno urban dell’Inter cantato da Madame, Tananai e Rose Villain, Ho fatto un sogno. Sembra il plagio di un brutto pezzo di Blanco, dopo tanta fatica noi interisti non ce lo meritavamo. Inizia con Madame che canta: “Internazionale, con te è irrazionale”. È vero che arriviamo da quello scempio compositivo che è Pazza Inter ma non immaginavo si potesse fare di peggio. La cosa migliore è l’autotune, fa molto telecronaca di Novantesimo Minuto.

AP: Uhm, sentito l’inno, un sotto Max Pezzali. Comunque Rose Villain è dei nostri, è passata da Propaganda Live venerdì, già che c’eravate non potevate cominciare l’inno con “una mattina mi son svegliato”? Ah, e ho letto la tua recensione a Baby Gang. Che poi la vera delusione è uscire con un disco il 25 aprile con tutti i trapper italiani e non trovarci dentro nemmeno un Palestina Libera, una rima con Gaza, un dissing a Parenzo, Paolo Mieli, Belpietro, la Brigata Bulli dei talk. Allora nel mio piccolo corteo di quartiere a Roma Est, che da anni è una meritoria iniziativa di questa zona il giorno della Liberazione, ho preso qualche appunto coi dj del camioncino. Molto gettonata Al Pacino di Izi, un pezzo di due anni fa, te lo ricordi? “Dammi un Oscar, sono un film by Al Pacino/ Morirò in Sicilia come un clandestino”, dove Izi ha campionato un sorprendente vocione che canta “Fischia il vento, infuria la bufera”, e la cosa è sempre di grande effetto. Tra le altre hit Long live Palestine di Lowkey, rapper militante inglese, e Casa mia di Ghali a palla. Avvistato in giro anche Gemitaiz. Insomma qua siamo stati in pace a fare festa, cos’altro il giorno della Liberazione? Da voi a Milano invece un saggio di postpolitica contemporanea: lo scontro finale tra maranza e Brigata Ebraica (che poi qualcuno dovrebbe spiegare bene che cos’è oggi e perché ha monopolizzato le piazze) di fronte al McDonald’s in Duomo coi City Angels a fare da scudo. Come clash di simboli non c’è male davvero. Eri lì? Hai visto? Che prospettive abbiamo?

GR: Ero lì, dopo aver percorso tutto il corteo che partiva da Porta Venezia dietro a un camion con un selection musicale nostalgica anni Novanta (guarda caso erano quasi sempre pezzi che contenevano la parola “antifascista”, dagli Assalti Frontali a Rigurgito antifascista dei 99 Posse) sono arrivato in piazza Duomo e mi sono messo in fila al bagno del McDonald’s. E ho visto quegli stessi ragazzetti di seconda e terza generazione che da un po’ di tempo a questa parte “fanno piazza” in centro o nella zona del Bosco Verticale. Sono maranza, sì, sono arabi, sì, sono pro Palestina, forse si. Sono antifascisti? Sicuramente no, ma non sono d’accordo con chi dice che quella non era e non doveva essere la loro piazza. Quale sarebbe la loro piazza? La loro casa, come canta Ghali? Non c’è, proprio come la Palestina. Certo i ragazzetti erano pieni di rabbia, hanno menato con i bastoni delle bandiere ma quello più grande di loro, che cercava di calmarli, intervistato da uno con la telecamerina, diceva che i suoi «avevano gettato benzina sul fuoco, ma il fuoco c’era già». Ecco, il suo commento è l’editoriale della giornata.

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