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Gucci: la fine del regno di Alessandro Michele (e il fantasma di Tom Ford)

Una violenta scossa sta facendo tremare il mondo della moda e degli uffici stampa: all’indomani dell’addio di Raf Simons al suo marchio, il direttore creativo di Gucci lascia la Maison. Perché? Dove andrà? E soprattutto, chi prenderà il suo posto?

Foto: Marilla Sicilia/Archivio Marilla Sicilia/Mondadori Portfolio via Getty Images)

Dai primi rumor all’annuncio ufficiale, uscito ieri in tarda serata dopo la chiusura dei mercati: Alessandro Michele lascia Gucci. Alessandro Michele has left the building. Un po’ come Elvis nel biopic di Baz Luhrmann. Il re se ne è andato. Dopo sette anni, il suo personale laboratorio di idee, che dal 2015 ha portato la Maison fiorentina a essere la punta di diamante del gruppo Kering, chiude i battenti. L’annuncio sarebbe dovuto arrivare in occasione della festa di Natale di Gucci, così come era accaduto, tempo addietro, per il precedente direttore creativo Frida Giannini, ma la fuga di notizie e il titolo in Borsa che, martedì mattina, aveva già perso lo 0,6% ha anticipato i tempi canonici, costringendo il brand a un comunicato stampa.

Perché Alessandro Michele ha lasciato Gucci? Stando a voci autorevoli, la colpa è da imputare alle continue pressioni sul fatturato dell’ultimo quarter, in leggera flessione dopo anni di forte crescita, e a uno scontro con François-Henri Pinault, presidente e amministratore delegato di Kering, che avrebbe chiesto ad Alessandro Michele un cambio di rotta radicale al suo immaginario per donare nuova linfa al brand e risollevare le vendite. Richiesta che non sarebbe stata accolta da Alessandro, e da qui lo scollamento con i vertici aziendali. E ora, tutti si chiedono: dove andrà? Chi sarà nominato come suo successore? Marco Bizzarri rimarrà CEO di Gucci? Bizzarri rimane, ma ancora non sappiamo come sarà il giro di poltrone, anche se diverse idee sono già sul tavolo degli addetti ai lavori, alcune di queste davvero stravaganti.

Dal ritorno in Gucci di Tom Ford, il cui marchio è stato acquisito da Estée Lauder (quindi improbabile) a un possibile ingresso di Demna Gvasalia, che ha già collaborato con Gucci in The Hacker Project e che potrebbe lasciare la guida di Balenciaga all’Intelligenza Artificiale. Scherzi a parte, il candidato più verosimile potrebbe essere l’attuale direttore dello studio creativo di Gucci – o Ufficio Stile che dir si voglia – il cui nome non è mai stato svelato, e che da quest’estate corrisponde a un senior designer della Maison. Dove possa continuare il suo percorso Alessandro Michele è ancora più difficile da indovinare: da Fendi a Chanel, passando per Raf Simons – ormai chiuso a doppia mandata, quindi no! – fino all’ipotesi di un salto acrobatico, a piè pari, in uno dei tanti ambiti in cui Alessandro ama spaziare, oltre alla moda. Scrittore? Regista? Direttore di una Wunderkammer agli Uffizi? Con la sua creatività imprevedibile e ricca di significato potrebbe davvero fare di tutto.

L’addio di Alessandro Michele è la fine di un’epoca. Era l’inizio del 2015 quando venne nominato direttore creativo, pochi giorni dopo l’uscita di scena di Frida Giannini e Patrizio Di Marco. Dopo un’esperienza prima a Les Copains, e poi in Fendi, dal 2002 era già braccio destro di Frida, e fu il nuovo CEO Marco Bizzarri ad affidargli la sua prima sfilata, con soli sette giorni per prepararla. Quando debuttò, era ancora un Signor Nessuno, comparso per pochi minuti nel documentario The Director su Frida Giannini, in cui veniva vessato per aver proposto una borsa ritenuta «da vecchia» a una modella a cui stava facendo un fitting. Da quella sfilata in poi, collezione dopo collezione, Alessandro iniziò a riscrivere i codici di Gucci, intrecciandoli coi propri simboli e la propria sensibilità per creare una filosofia totalmente nuova e disruptive.

Vade retro, quindi, al concetto stantio di tailoring, ai soliti mocassini in pelle e ai colori tutto legno e oro dei negozi, e benvenuta l’Inghilterra degli anni ’70, il rock, il romanticismo e una spruzzata di era vittoriana. E poi fenicotteri, pavoni, Berlino ma anche Firenze, sale operatorie, citazioni di Deleuze, libri di botanica, bestiari, i B-movie anni ’80 e gli omaggi all’arte performativa. Come un alchimista, campagna dopo campagna, Alessandro è riuscito a trasformare il brand Gucci in un essere mutaforma, ogni volta diverso e ogni volta riconducibile a un’estetica comune: la sua. Sovvertendo, perfino, le regole implicite della moda, come quando ha giocato con il concetto di “originale” e “falso” o esibendo il making of di una collezione, schiacciando continui strike a suo favore, lasciandosi contaminare da altre realtà (vedi le collabo con Balenciaga, Adidas e North Face) e diventando, al tempo stesso, un potente riflettore per una community sempre più segmentata e fluida, scardinando i confini di genere e cancellando, addirittura, il concetto di stagionalità nelle sfilate.

Sono stati due, forse, i momenti più emozionanti da ricordare: la (non) sfilata donna Fall/Winter 2020, sulle note del Bolero di Ravel, in cui, come in una danza, le mani di truccatori e designer mostravano la realizzazione dei look in tempo reale, partecipando attivamente a una performance ispirata a Fellini; e poi la sfilata stellare su Hollywood Boulevard, per celebrare i cento anni di Gucci, che nel 2021 culminò con un colpo di scena fulminante, ovvero coreografando una vera e propria parata, una manifestazione di libertà in cui i modelli rompevano le righe della passerella per tornare a essere persone nel mondo, ciascuno fiero della propria identità, al ritmo di All Is Full of Love di Björk.

Per non parlare delle numerose celebrity, e amici, che nel corso degli anni hanno prestato il proprio volto, e tutto il loro amore, alle creazioni di Alessandro Michele. Da Achille Lauro ai Måneskin, passando per Harry Styles, Elton John, Billie Eilish, Florence and the Machine, Dakota Johnson, Miley Cyrus e ovviamente Jared Leto, sua anima gemella. Non solo, anche l’artista Maurizio Cattelan, Gus Van Sant, i Baustelle e una stola di attori nostrani, da Miriam Leone a Benedetta Porcaroli ad Alessandro Borghi, fino alla performer Silvia Calderoni. Ciò che li connota tutti è la visione in comune con Alessandro Michele: non unitaria, ma in continua evoluzione. Spesso provocante, certo, ma sempre anticipando (o indirizzando) i cambiamenti della società.

Particolarmente emblematica è stata la sua rivoluzione nel mondo beauty, in cui ha accentuato i difetti, le imperfezioni e promosso un’immagine lontana dalle convenzioni, anche maschili, sdogando molti tabù. La sua fonte di ispirazione è sempre stata la sua vita, il suo passato e la sua idea di bellezza rinascimentale per dare un significato al presente, combinando l’alto e il basso, il cosmo e la vita terrena, con l’aiuto e le riflessioni preziose del suo compagno Vanni. Questo non significa che Alessandro abbia avuto campo libero al cento per cento: come in tutte le grandi aziende, anche Gucci ha i suoi tornaconti e scheletri nell’armadio, censurando alcune campagne considerate “forti” in Medio Oriente o rivedendo il tiro su alcune scelte di comunicazione e marketing. Non è certo un segreto l’evidente spinta, in tutta l’industria della moda, delle capsule fast-fashion in edizione limitata e l’eccessiva ricerca, nelle campagne vendita, degli accessori must-have, come sneaker, marsupi e cinture, che dopo le borse sono la principale fonte di reddito per molti brand a discapito del ready-to-wear. Allo stesso modo, ci sarebbe da dire qualcosa anche sulla continua corsa all’ultimo trend, come quello della sostenibilità o sull’effettivo Made in Italy di molti attori nell’industria, ma questo fa parte del gioco. Da una parte c’è stato il sogno immersivo di un direttore creativo, come Alessandro Michele, consapevole delle sue battaglie ideologiche e sociali, e dall’altra l’esigenza di fatturare di una multinazionale. E purtroppo, oggi, ha prevalso quest’ultima.

Tuttavia, il mondo che gravita intorno alla Gucci di Alessandro Michele è, tutt’ora, un complesso sistema di corto-circuiti e ramificazioni che estendono i codici del brand su più livelli di esperienza, includendo musei, ristoranti, castelli e altri luoghi iconici, festival di cinema e di musica e, non ultimi, la realtà virtuale, il gaming e il Metaverso. Pensare che questo ecosistema crossmediale possa finire è impossibile, ma un cambio di rotta è già alle porte. Prima dell’arrivo di Alessandro – e prima ancora di Frida Giannini – c’era Tom Ford a dettare le regole, e molti pronosticano un ritorno a quell’estetica per rilanciare il brand: un’estetica elegante, impeccabile e dalla forte impronta sartoriale. Gli indizi ci sono già tutti: basti pensare alla borsa Diana o al recente rilancio delle borse Gucci Beloved che riprendono gli iconici design tanto amati, negli anni Cinquanta e Sessanta, da Jackie Kennedy e Grace Kelly, così come il grande ritorno del morsetto e degli elementi equestri, fino alla valigeria di lusso. D’altra parte, il vintage è uno dei temi su cui Gucci sta puntando fortemente con la sua neonata Vault, una piattaforma che vuole attrarre sia una fetta di  pubblico molto giovane, tramite collaborazioni speciali che strizzano l’occhio al mondo urban, sia una clientela più esigente e affezionata alle glorie del passato.

E a proposito dei fasti del passato, anzi, della veste dei fantasmi del passato, come canta Battisti, riaccendiamo le luci su Tom Ford, il cui ricordo oggi si fa ancora più presente e ingombrante. Era il 1990 quando iniziò il periodo di Ford alla guida di Gucci, un marchio che fino a quell’anno si trovava in forte crisi e che era alla ricerca di una nuova identità per conquistare il mercato americano e non solo. Tom Ford riuscì a compiere lo stesso miracolo di Alessandro Michele, a modo suo: trasformando Gucci in un brand esclusivo, sexy e peccaminoso, adorato da Madonna e da Kate Moss. I completi in gessato per lui e i look neri e audaci per lei – in una visione della donna che oggi risulterebbe altamente oggettificata – furono protagonisti di numerose campagne di successo passate alla storia.

Nel 2021, la collezione Aria di Alessandro Michele aveva reso omaggio a questo DNA fordiano, trovando il consenso del regista e stilista texano, il quale, oggi, smentisce ogni possibilità di un suo ritorno come direttore creativo. Che sia questa, in ogni caso, la direzione futura di Gucci? Un ritorno a un’idea di stile più sobria e accattivante, dominata – come dicevamo prima – da una sartorialità contemporanea? Per il momento, le redini della prossima collezione sono affidate al team creativo rimasto orfano di Alessandro Michele. A loro è destinato il messaggio commosso dello stilista, pubblicato su Instagram qualche ora fa: «Senza di loro niente di tutto quello che ho costruito sarebbe stato possibile. A loro quindi il mio augurio più sincero: che possiate continuare a nutrirvi dei vostri sogni, materia sottile e impalpabile che rende una vita degna di essere vissuta. Che possiate continuare a nutrirvi di immaginari poetici ed inclusivi, rimanendo fedeli ai vostri valori. Che possiate sempre vivere delle vostre passioni, sospinti dal vento della libertà». Come considerazione finale, spiace prendere atto che Alessandro Michele non sarà più l’anima pulsante di Gucci, soprattutto per le ragioni che sono trapelate, ma siamo sicuri che sentiremo presto parlare di lui. Ciao, Lallo25.

(Consiglio spassionato per chi cerca un investimento sicuro: acquistate Gucci prima che i capi delle ultime collezioni vengano spazzati via con l’arrivo del nuovo direttore creativo. Tra poco potrebbero valere oro.)

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