Già, ci concentriamo sul bacio omosessuale del «famosissimo e assai macho cantante italiano» in piena pandemia. Il punto è che non lo facciamo nonostante la pandemia, lo facciamo a maggior ragione perché c’è la pandemia.
Negli anni ’90 andava di moda il termine vip, ora va di moda celebrity – pure abbreviato in celeb per far intendere che siamo così in contatto con la celebrità, che ripetiamo quella parola così spesso, da non avere tempo per quattro lettere superflue – ma in italiano si dice personaggi. I personaggi sono quelli dei film, dei romanzi, delle canzoni, delle saghe. E sono anche le persone che crediamo di conoscere pur senza conoscerle. Crediamo di conoscerle perché tutti ne parlano e i media ne parlano e al bar ne parlano e così collezioniamo aneddoti e idee tanto che la loro esistenza si trasforma in un grande racconto collettivo. Perché le persone vivono una vita, mentre i personaggi vivono una storia. E cioè una vita dotata di senso intrinseco e di temi ricorrenti, una vita in forma emblematica, potenziata e stilizzata, depurata dagli interminabili stati di noia e ripetitività delle nostre esistenze quotidiane. Nessuno seguirebbe un personaggio intanto che compila il 730 o intanto che sgombera la cantina per le pulizie di primavera.
Il personaggio deve fare soprattutto una cosa: cadere. Non può sentirsi a casa nella realtà. Noi dobbiamo sentire l’attrito del mondo, ascoltare la volontà del personaggio sfregare contro le circostanze, dobbiamo percepire la costante possibilità che tutte le sue conquiste vengano perdute irrimediabilmente. Il personaggio deve tendere a uno stato di completezza senza mai raggiungerlo compiutamente, dev’essere fallibile e incompleto. Dovremmo potere indicare il personaggio a un alieno perfetto e dirgli: “Vedi? La nostra vita funziona così”.
In Massa e potere Elias Canetti paragona l’atteggiamento degli esseri umani a quello delle iene ridens. La scena-archetipo che scatena la nostra risata è la caduta. Potremmo facilmente avere la meglio su qualcuno che inciampa e rovina per terra, potremmo finirlo, dargli il colpo mortale, e invece lo risparmiamo, e quindi ridiamo. La risata è il supremo attestato di superiorità, una grazia atavica.
La scena della caduta è declinabile all’infinito e, a seconda di come viene descritta e del contesto di riferimento, può suscitare compassione, terrore, gioia, comicità. Resta il fatto che un personaggio senza cadute non è il personaggio di una storia ma di un’agiografia. Qual è l’ultima agiografia che vi ha appassionato? Ecco, appunto. Perfino Dio ha dovuto farsi inchiodare a una croce della Palestina per conquistare il grande pubblico. È dovuto cadere. Amiamo tutti quelli che cadono perché cadiamo pure noi. Anche noi non facciamo che tentare, e fallire, non facciamo che fallire ancora, di nuovo, meglio. Immedesimarsi in un personaggio immune alla forza di gravità è un’impossibilità emotiva. Un personaggio pacificato è una contraddizione in termini. Il gossip è il livello zero del racconto, la trama in purezza. Perché chiunque, a prescindere dalle proprie esperienze e competenze e inclinazioni, può potenzialmente identificarsi con qualcuno che scopa. Il gossip è una storia appiattita sulle funzioni biologiche.
Ognuno di noi è pure un po’ il Tuco di Sergio Leone: ci piacciono i tipi grossi perché quando cascano fanno tanto rumore. Che lo ammettiamo o no, più il personaggio è importante più la nostra risata è liberatoria. Perché, forse all’oscuro della nostra coscienza, pensiamo: addirittura lui è caduto. E senti che tonfo. Non importa quanto sia sciocco scandalizzarsi nel 2020 per il bacio omosessuale di un adulto con facoltà di intendere e volere, importa che per lo più quel bacio venga percepito come uno scandalo, cioè come una caduta. E, in un momento in cui caschiamo in molti, nulla ci libera dalle nostre cadute come il tonfo di un tipo così grosso.