Giovanni Robertini: Non abbiamo ascoltato in anteprima i pezzi di Sanremo come tutti gli altri giornalisti, ok… ma non sembra anche a te che il Festival sia già finito prima di iniziare? Manca solo la grande sfilata finale ai microfoni di Gianluca Gazzoli per BSMT, vaporoso podcast delle vanità che funziona, come Sanremo, per sfinimento: 30 chiacchiere di due ore con i cantanti in gara fanno 60 ore, sento già la fatica della maratona aneddotica. Come riscaldamento mi accontento delle interviste pre-gara, che spesso servono anche come controllo antidoping prima del giudizio del televoto. Prendi l’intervista a Tony Effe fatta da Teresa Ciabatti per Sette del Corriere della Sera, ottimo brand washing del trapper più odiato dagli odiatori social: il crollo in lacrime davanti a mamma per le polemiche del concerto di capodanno, la nonna che dormiva in salotto e cucinava per i suoi amici, le vacanze a Illica, frazione di Accumoli – altro che Ibiza, altro che samba, al massimo la sagra della pasta alla gricia! – e ancora, il terremoto, la Fiat Tipo dei genitori, Harry Potter. Grazie Tony, preferisco la caricatura: mi piaceva come eri fatto “naturale ma rifatto”! Ora però la spinta normalizzatrice dell’Ariston ti farà votare da mamme e nonne, e tra qualche anno in una di quelle lunghissime interviste a fine carriera che fa Aldo Cazzullo sul Corriere potrai finalmente dire che ci avevi presi tutti per il culo… fin dall’inizio.
Alberto Piccinini: Il ruolo delle nonne nel dibattito attuale: la nonna antifascista di Luca Marinelli e la nonna in salotto di Tony Effe. Comunque sì, il Festival di Sanremo c’è già stato. Lo ha vinto Achille Lauro. O Giorgia. O Simone Cristicchi. Pronunciare ora la stessa frase che rese celebri ai tempi loro Giucas Casella e Cavallo Pazzo mi dà un certo sollievo: «Riccardo Fogli» pronosticò Giucas e lo scrisse su un foglietto; «Pippo, Pippo! Il festival è truccato, lo vince Fausto Leali!», gridò quell’altro con negli occhi l’ebbrezza del dio nei primi 30 secondi di diretta. Lo ricordo ogni anno che viene Sanremo. Tutti a indignarsi allora, senza sapere che col tempo ci saremmo arrivati a rendere inutile l’imbarazzante carrozzone dell’Ariston. La notizia che il Festival se l’è giocato l’IA usando i giudizi dei giornalisti negli ascolti segretissimi della scorsa settimana è buona, tutto sommato. Ci rivela la finale decadenza della professione dove se vuoi contare ancora qualcosa devi: a) entrare nel circo dei talk di destra, a gettone; b) essere rapito dai guerriglieri, e non lo auguro a nessun*; c) essere ammesso all’anteprima delle canzoni di Sanremo. Ma soprattutto annuncia la liberazione finale: l’automazione totale dell’ascolto delle canzoni, lasciato in toto all’intelligenza artificiale ed evitato a me, nella fattispecie, che posso baloccarmi coi miei vecchi vinili senza nessuno che mi rompa le scatole con l’algoritmo. Hai fatto caso? In giro non si parla d’altro che del libro di Liz Pelly Mood Machine (qui l’intervista tradotta da Rolling Stone USA) dove si spiega che a Spotify non interessavano la musica né i musicisti, ma fare affari con le case discografiche usando le playlist per il pilates o cucinare il sugo. E ora viene fuori che Spotify ha finanziato la cerimonia di inaugurazione di Trump. Tenetevelo Spotify, tenetevi tutto. Spotify, le canzonacce, il Festival di Sanremo. Se la giochino tra loro: macchine, algoritmi, server, giro giro tondo (scusa la citazione da Kubrick). Elon Musk superospite.
G.R.: Musk superospite è una bella idea… Dopo l’insediamento di Trump, le deportazioni, Panama e la Groenlandia, i dazi, il braccio teso di Elon mi sembra che la mia libreria sia invecchiata di botto, nessun strumento teorico all’altezza del futuro, anzi scarico, spompo e obsoleto. Per non parlare del cinema, anche se ancora non ho recuperato Angelo Duro. Quanto alla musica, tra le uscite del venerdì ho trovato conforto solo in canzoni d’amore struggente, modernissime nel loro essere senza tempo: il punkettone Chiello che con Amore mio è il più sanremese dei non sanremesi, potrebbe essere uno scarto di valore di Carlo Conti, un passo falso delle discografiche che bluffando si sono lasciate a casa l’asso, un po’ Tenco un po’ Vanoni, “da podio” come dicono i colleghi; e poi questo EP di Prima Stanza A Destra, nome fin troppo indie e rivedibile che cita Air e M83, Portishead e il trip hop, e nasconde la propria identità come Liberato per farci scoprire un pezzettino della nostra al buio della cameretta in cui siamo costretti a chiuderci. L’altra sera camminando per il quartiere milanese di Nolo ho letto su un muro “meno podcast, più canzoni d’amore”. Daje!
A.P.: “Sta nel prendersi la merce/ Sta nel prendersi la mano/ Nel tirare i sampietrini/ Nell’incendio di Milano/ Nelle spranghe sui fascisti/ Nelle pietre sui gipponi”. Devo continuare? Visto che mi inviti alla tenerezza rendo omaggio a Gianfranco Manfredi scomparso l’altro ieri: cantautore cabarettistico/zappiano milanese, poeta del ‘77 poi sceneggiatore di fumetti, oggi dimenticatissimo eppure i versi della canzone farebbero ancora esplodere di rabbia i talk di Rete4, uno per uno. Lui la cantava sussurrando come fosse Claudio Baglioni. Sembrava che tutto fosse già accaduto: i fascisti, la rivoluzione, la merce, e restasse soltanto una specie di nostalgia. Invece a Rete4 coi decreti sicurezza, lo scudo per i poliziotti, gli immigrati da remigrare non gli passa più. Amen. Segnalo anche per chi andrà a vedere il film su Dylan con Chalamet una canzone del povero Woody Guthrie, che nel film sta in un letto d’ospedale ammutolito dal morbo di Huntington: Deportees. Racconta dell’incidente aereo in California dove nel 1948 persero la vita 28 messicani “qualcuno illegale, qualcuno col contratto scaduto”. Furono rimpatriati anzi “deportati” come dice adesso Trump, e li fa fotografare per nutrire la nostra cattiveria. Nessuno sapeva più i loro nomi, e allora Woody li canta: “Addio Rosalita, Jesus e Maria/ non hai più un nome quando ti caricano su un aeroplano/ Ti diranno soltanto deportato”. Già mi commuovo ma tranquilli: i cattivi non vincono mai nei film. Ce l’hanno spiegato gli americani.