La Chiesa ha corretto il Padre Nostro, là dove dice: “e non indurci in tentazione”, calco del latino “et ne nos inducas in tentationem”. Teme che i fedeli pensino a un Dio che tenti al peccato: i fedeli, e già Gesù Cristo, hanno recitato quelle parole (anche in aramaico e in greco) per duemila anni senza sospetto. Del resto, se Dio è uno, tutto viene da lui, anche la tentazione e la libertà di sfuggirle. Per togliere a Dio, quello buono, ogni responsabilità, bisogna immaginare che ce ne siano due in lotta fra loro, e che la tentazione sia del secondo, quello cattivo. Nella lettura vigente Satana sta sotto Dio, è una specie di suo Pubblico Accusatore, il suo Tentatore – carriere separate. Un po’ come “l’agente provocatore” che oggi gli oltranzisti della presunzione di colpevolezza (“Non ci sono innocenti, ci sono soltanto colpevoli non ancora provati”) vorrebbero legalizzare, così da indurre alla corruzione spacciatori, scafisti, politici, imprenditori: tentati e presi con le mani nel sacco che i giusti aprono loro.
Fin dall’inizio, fin da Eva, il Pubblico Ministero ha trasferito le sue funzioni alla donna, che è diventata lei la Tentatrice, e l’uomo il Tentato. “Non desiderare la donna d’altri”: il comandamento si indirizza solo agli uomini: le donne non hanno desideri proibiti né leciti, e sono o di altri o di nessuno. Perfino ai nostri tempi sembrò uno scherzo che inalberassero cartelli con su scritto “Io sono mia”.
Sottile è il discrimine fra tentazione e desiderio. La tentazione è desiderio cui si è messo un guinzaglio preventivo. È anche sorella dell’orgoglio, e l’orgoglio della superbia. Poiché l’orgoglio è tentato altrettanto dal bene che dal male, la proibizione riguarda anche la seduzione al bene. E non basta il principio di fare il bene nascostamente. Alla vanità basta anche un solo spettatore: se stessi.
Il mondo sarebbe bello. Si maltratta il creato come una vorace macchina tentatrice. Un albero delle mele. Il mondo è spaccato in due, come una mela, fra la tentazione della bellezza e l’odio per la bellezza. I poveri pittori per raffigurare la nuda bellezza si rassegnavano a rappresentarla punita e torturata. C’è un racconto meraviglioso sulla tentazione, Padre Sergio di Tolstoj (se ne trasse un film, Il sole anche di notte, dei fratelli Taviani: leggete il racconto). C’è un principe, il più brillante della corte dello zar, promesso alla dama più affascinante. Scopre quello che sanno tutti, che lei è stata l’amante dello zar. Lascia lei, la corte, il mondo e si ritira in monastero, là vive in santità. Le tentazioni sono in agguato, della carne, del dubbio, e dell’orgoglio, l’umiliazione vissuta come una più alta superiorità. La fama della sua virtù si spande, le donne sognano di lui. Si ritira in un romitaggio. Un’irresistibile signora si introduce da lui e ricorre a tutte le proprie grazie. Lui, quando teme di cedere, si mozza di netto un dito con un’accetta. Lei chiede perdono, fugge, diventerà una penitente. Lui cambia ancora luogo. La fede dei pellegrini lo fa diventare un miracoloso guaritore. Un mercante gli porta la figlia malata: una giovane “straordinariamente bassa”, grassoccia, goffa, debole di mente. Questa creatura animalesca se lo tira addosso senza che lui se ne dia conto, senza che sappia opporre resistenza.
C’è un seguito e una morale, lui va pellegrino, disprezzandosi, finché ritroverà una vecchia contadina la cui vita poverissima e piena di dolori gli mostrerà il segreto della semplicità che è il vero bene. Racconto formidabile: Tolstoj che vuole eroicamente prevalere sul mondo e su se stesso conosce bene la facilità inspiegabile con cui si cede alla tentazione più meschina. Quasi a tradimento, a tradimento di se stessi.