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Il problema non è la ditta del padre di Di Maio, il problema è Di Maio

Il lavoro nero nella ditta del padre non è una questione politica, la questione politica è la sua incapacità patologica a dire la verità.

Il problema non è la ditta del padre di Di Maio, il problema è Di Maio

Luigi Di Maio durante un comizio a Caserta

Foto di Giuseppe Ricciardiello/Kontrolab/IPA

Ieri sera Le Iene, la trasmissione che ha promosso l’anti-rigore giornalistico a scienza esatta, ha mandato in onda un servizio sulla ditta del padre del ministro del Lavoro Luigi Di Maio, oggi divenuto socio dell’azienda, in cui un ex lavoratore sosteneva di essere stato impiegato in nero tra il 2009 e il 2010 e di aver subito pressioni a seguito di un infortunio per dichiarare il falso ai medici del pronto soccorso onde evitare che lo stesso padre di Di Maio “passasse dei guai”.

Il vicepremier ha risposto visibilmente imbarazzato da par suo, e cioè con un’affermazione totalmente aliena rispetto alla domanda: «Tieni presente che io e mio padre per molto tempo non ci siamo neanche parlati, te lo dico col cuore». Col cuore – di panna? – o senza, la vicenda ha mostrato ancora una volta la cifra stilistica del vicepremier: essendosi imposto di non eludere le domande, quando non sa che cosa dire improvvisa. E l’improvvisazione, si sa, è raramente amica dell’opportunità politica, assioma ancor più assoluto se ti chiami Luigi Di Maio.

Vogliamo essere chiari: la questione sollevata dalle Iene non è una questione politica. Di Maio non è suo padre, le responsabilità sono individuali, quindi le responsabilità – eventuali, è bene ricordarlo – sono, eventualmente, del padre. La naturale conseguenza di questo ragionamento basico è che, contrariamente a quanto richiesto questa mattina dai senatori del Pd, Di Maio non deve andare in Parlamento a riferire un bel niente. Fine della storia.

I tentennamenti, le scuse banali, i “vedrò, verificherò” artati del vicepremier invece sono la piccola spia luminosa che si accende per segnalare il problema superiore. E il problema superiore è il seguente: Luigi Di Maio è patologicamente incapace di dire la verità. A questo proposito, e al solo scopo storicistico-divulgativo, vogliamo ricordare in forma d’elenco le 10 più incredibili bugie pronunciate dal ministro del Lavoro negli ultimi tempi:

1) Al primo Consiglio dei ministri dimezziamo gli stipendi ai deputati
2) Abbiamo eliminato la povertà
3) Una manina ha manipolato il testo sulla pace fiscale, vado in Procura
4) Il movimento 5 stelle non è disponibile a votare nessun condono
6) Ho letto il contratto del Tap. Ci sono penali per 20 miliardi
7) L’Italia ha importato dalla Romania il 40 per cento dei suoi criminali
8) Diverse migliaia di poliziotti risultano positivi al test sulla tubercolosi per aver soccorso i migranti
9) Fateci fare il Governo e lo spread scenderà
10) Stiamo già stampando 5 o 6 milioni di tessere per il reddito di cittadinanza

Come detto e ampiamente documentato da più parti, nessuna delle affermazioni precedenti ha passato la verifica dei fatti. Gli stipendi dei deputati sono rimasti inalterati, la povertà non è stata abolita, il testo sulla pace fiscale l’hanno scritto – e approvato – 5stelle e Lega, non ci sono penali nelle carte del Tap, l’Italia non ha importato il 40 per cento dei criminali romeni, i poliziotti positivi alla tubercolosi sono poche decine, lo spread è salito a oltre i 300 punti, non è vero che si stiano già stampando le tessere per gli aventi diritto al reddito di cittadinanza dal momento che il reddito di cittadinanza non è nemmeno stato approvato in Parlamento.

Quel che consegue è quindi evidente: il modo di fare politica di Di Maio passa per l’utilizzo sistematico di bugie e fake news. È possibile che Di Maio fosse a conoscenza del ricorso al lavoro nero nella ditta del padre? Sì, è possibile dal momento che in pubblico ha spesso dichiarato di aver lavorato “per intere estati” nei cantieri dell’azienda di famiglia e addirittura ora ne è socio al 50 per cento. Ma a meno che non sia dimostrato che il ricorso al lavoro nero sia una pratica in atto anche da quando il ministro del Lavoro ne è diventato socio, la questione non è politica. Un’opposizione seria, invece di rincorrere la deriva populista e manettara che è la principale responsabile della più ampia deriva sfascista del Paese, dovrebbe semplicemente inchiodare Di Maio alle sue bugie e quindi alle sue responsabilità politiche. Le scorciatoie propagandistiche hanno portato Lega e 5 stelle al Governo, questo è vero, ma saranno il motivo per cui presto o tardi questo Governo finirà e con esso, si spera, anche l’intera stagione giacobina verrà messa alle spalle. Continuare a fare politica in modo serio e responsabile è l’unico modo per raccogliere i dividendi alla fine della sbornia populista, quando tanti scopriranno l’amara verità, quando tanti si saranno fatti, purtroppo, molto male.

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