Se il signoraggio bancario fosse un grande complotto, come da anni sostiene un’agguerrita minoranza soprattutto in Rete, sarebbe il più sgangherato di sempre. Perché il meccanismo non è poi così occulto, dato che si possono trovare informazioni a riguardo sulla maggior parte dei siti istituzionali, a cominciare da quello della Banca d’Italia. Solo che ora, nel nuovo corso gialloverde, il tema è pronto a essere cucinato per le masse, come dimostrano i due minuti scarsi del (dibattutissimo) video mandato in onda dal programma di Rai2 Povera patria (qua sotto).
Andiamo per ordine. Per signoraggio – che deriva dalla figura Signore medioevale, e dai suoi privilegi – si intende di fatto la differenza tra il costo di produzione della moneta (una volta metallica con contenuto variabile di oro o di argento) e il suo valore nominale o di scambio, e ciò che ne consegue nell’economia reale. Nei secoli passati, essendo il costo per produrre una moneta minore del suo valore di circolante, il Signore guadagnava potere d’acquisto. Oggi, con la sostituzione delle monete a contenuto metallico con la cosiddetta moneta fiat, ovvero basata sulla fiducia e con valore instrinseco tendente a zero, lo Stato centrale ha un costo di produzione della moneta ancora più ridotto. Dunque il signoraggio contemporaneo può essere definito come il potere unicamente detenuto dagli Stati di generare moneta, e dunque potere d’acquisto.
Ci sarebbe poi un altro tipo di signoraggio, un po’ più complesso, ma rilevante, legato al guadagno che le banche commerciali – come, in altro modo, le banche centrali di aree valutarie quali la zona Euro o gli Stati Uniti – ricevono dal loro ruolo di “creatori di moneta”, che gli permette di incassare denaro sotto forma di interessi da parte degli utilizzatori (famiglie, imprese, etc.) del credito.
Veniamo al servizio di Rai 2, e alla tesi su cui si fonda. Sostiene il giornalista che due eventi cardine nella storia del nostro Paese abbiano fatto venire meno questo privilegio, innescando l’esplosione del nostro debito pubblico. Anzitutto il cosiddetto divorzio tra la Banca d’Italia e il ministero del Tesoro, avvenuto nel 1981, che sancì la fine del rapporto privilegiato tra lo Stato e la nostra banca centrale. Prima quest’ultima finanziava parte della spesa statale con creazione di denaro e, soprattutto, assorbiva i titoli di stato non venduti agli investitori, dando al Ministero del Tesoro un controllo sui tassi di interesse (cioè il costo di indebitamento dello Stato).
Esito del divorzio fu che la Banca d’Italia non era più tenuta ad acquistare titoli di debito invenduti, e così i tassi di interesse sul debito emesso dallo Stato, non più fissati dal ministero, vengono definiti da meccanismi di mercato. Questo processo, sostengono gli autori del servizio come altre persone in Rete, fu messo in moto al fine di “aggiustare” il funzionamento del sistema di finanza pubblica italiana sulle basi dei parametri richiesti per l’ingresso nell’Euro. E veniamo al secondo “punto di rottura”: l’adesione alla moneta unica, che avrebbe reso la Banca d’Italia una “succursale” della BCE, con la conseguente perdita di “sovranità monetaria”, ovvero, semplificando, di decisionalità politica sulla gestione delle finanze pubbliche.
La messa in onda del video sul signoraggio di Povera patria ha scatenato reazioni forti, in tanti hanno bollato le informazioni come bufale. Gli esempi sono qui oppure qui, o nel video qua sotto. La maggior parte degli interventi proviene da economisti di professione, che si sentono tirati in causa dalla mistificazione della realtà e che dalla scarsa scientificità dei contenuti divulgati (à la Burioni, insomma, giusto per farsi qualche nemico). Un contrattacco che, però, non chiarisce del tutto l’oggetto del contendere.
Forse perché l’alzata di scudi potrebbe essere dovuta principalmente al fatto che nel servizio, indirettamente, si fa riferimento all’eventualità per cui lo Stato potrebbe spingere la crescita economica, se sostenuto da una Banca centrale accomodante verso la spesa pubblica (e quindi il debito). In presenza di vincoli di pareggio di bilancio – ovvero tra entrate ed uscite dello Stato, o tra tasse e spesa pubblica – l’attore pubblico ha invece le mani legate, non potendo incidere più di tanto sulla dinamica economica del Paese. Perché, tra tanti difetti, il servizio pone una questione interessante: qual è la ragione per cui, nonostante il nostro attuale sistema economico lo permetta, non siamo in grado di potere giocare la carta della spesa pubblica come è stato fatto in un’altra epoca storica?
Scrivere di economia non è quasi mai semplice. Soprattutto se si tratta di affrontare una diatriba non accademica, ma sviluppata a suon di contributi video, tweet e post, spesso banalizzanti. Tuttavia con ogni probabilità quella che emerge dal “caso signoraggio” è, in fin dei conti, una divergenza di base nell’interpretazione della natura e del funzionamento del contesto socio-economico.
Secondo alcuni l’economia è una scienza esatta (anche la Società Italiana degli Economisti, in una lettera al presidente Rai Foa, parla di scientificità), per cui l’unica cosa necessaria e possibile è la guerra tra “custodi della tecnica” e “bufalari” (ci sono anche le versioni per i piccini, qua sotto). Secondo altri l’economia è anzitutto politica (come si chiamava ai tempi dei grandi economisti classici come Adam Smith, David Ricardo e Karl Marx), ovvero una scienza a dimensione sociale, aperta a interpretazioni che risentono di una diversa visione del mondo, che non può omettere considerazioni intrinsecamente politiche, di scontro, di conflitto.
Se il servizio dovesse contribuire a dare una dimensione più pubblica a questo dibattito, qualcosa di positivo lo avrebbe fatto. Non è che la cosa fosse cercata e voluta, perché probabilmente la missione di chi lo ha confezionato era solo di attaccare il potere finanziario cattivo – o meglio, di mettere il “capitale Europeo” contro quello nazionale –, con l’intento ultimo di screditare gli schieramenti che hanno sostenuto le scelte di politica economica degli ultimi decenni.
Inoltre quei due minuti non spiegano nulla, e non aggiungono nulla sul signoraggio, che rimane una conseguenza della struttura del sistema finanziario passato e presente. Soprattutto, non aiuta a mettere in luce e a comprendere le dinamiche di potere che caratterizzano i rapporti tra sistema bancario, sistema produttivo e lavoratori. Quelle, paradossalmente, le spiegano meglio le reazioni, alcune abbastanza scomposte, degli oracoli dalle tastiere fumanti.
* L’autore è docente in Finanza alla Open University Business School di Milton Keynes, Inghilterra.